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Fondazione Bassetti. La stoffa degli innovatori.

  • Pubblicato il: 16/12/2018 - 09:54
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI DI FAMIGLIA
Articolo a cura di: 
Amerigo Nutolo
Una piccola fondazione penetra nel sistema sanguigno della nostra società, attraverso l’innovazione tecnologica, i suoi prodotti, i suoi consumi, e giunge dove la si progetta. Fondazione Giannino Bassetti persegue il sogno avvincente, improbabile ma realizzabile, di un cambiamento responsabile, dove pubblico-comunità e impresa, istituzioni e policy maker collaborino attivamente a stabilire regole, approcci, prodotti e servizi, azioni, confini, direzioni e priorità del mondo che viviamo. Per farlo si deve sbloccare il sapere e dare spazio alle potenzialità collaborative che questa rete di soggetti trattiene fra le sue maglie – per rimetterli in circolo.

Nel 1987, Isaac Asimov pubblica Destination Brain, romanzo in cui un equipaggio di scienziati viene miniaturizzato e iniettato nel corpo di un collega in coma, la cui conoscenza e sopravvivenza hanno un peso nello sviluppo di tale tecnologia. Nel viaggio in “direzione cervello” li accompagna un ricercatore americano, inventore di un software e sistema di tracciamento dei pensieri umani: tenterà di estrarre e salvare, da dentro, il sapere accumulato dallo scienziato. Nel momento clou della missione – spoiling – si scopre che questa tecnologia del pensiero, se applicata in reti mentali di più persone, apre a forme di attività intellettiva condivisa che svelano scenari inesplorati, essenziali per la stessa ricerca scientifica.
 
 
L’attività di Fondazione Giannino Bassetti, a prima vista, dà l’idea del fantastic voyage di Asimov: entra tutto in gioco nei frangenti progettuali in cui è coinvolta, ogni lato della vita scientifica e sociale – rischi e potenzialità. Per generare effetti di larga scala, agisce chirurgicamente sul sistema nervoso del corpo sociale, dov’è disponibile e rischia di restare inerte, intrappolato, il sapere utile allo sviluppo collettivo. Usa tattiche di micro-penetrazione nei sistemi linfatico e sanguigno della società – quelli istituzionale e dei servizi, industriale e dei consumi – per giungere a agire dall’interno, dove il futuro viene progettato.
 
 
Il core di Bassetti è l’innovazione responsabile, e il suo strumento principale la cultural suasion, agita attraverso attività di disseminazione, “formazione di innovatori” e ricerca applicata e metodologica, o tramite l’influenza sulle istituzioni ed i corpi intermedi, con il coinvolgimento attivo degli stakeholder in contesti di co-progettazione e auto-progettazione. La Fondazione indaga l’effetto economico-sociale di servizi, prodotti o processi innovativi, sui destinatari e sugli ambiti di applicazione, per anticipare e gestirne le criticità emergenti.
 
 
Anna Pellizzone, ricercatrice dell’ambito delle scienze naturali, giornalista scientifica, è approdata alla Fondazione dopo un’indagine sociale condotta per un dottorato su geotermia e public engagement, tra Statale di Milano e CNR, con la supervisione di Agnes Allansdottir. Vigor, poi affiancato da Atlante, è un progetto di verifica del potenziale geotermico del sud Italia: Anna, dopo avere indagato immaginari e percezione diffusa della geotermia nelle popolazioni locali, ha seguito diverse attività in Fondazione, che si è prestata a descrivere per il nostro giornale.
 
 
“Le attività toccano diverse categorie. Quella di formazione universitaria s’intreccia ai corsi tenuti da quattro anni al Politecnico di Milano dal Direttore scientifico, Francesco Samorè – fra noi se ne occupa più da vicino Fabio Besti in qualità di designer interdisciplinare –e lì sono invitati ospiti dall’esterno” Le lezioni, o lecture, ruotano sulle tematiche del design del prodotto per l’innovazione, e su una serie di aspetti collegati ai contesti produttivi di innovazione: comunicazione, approcci, ricadute, setting, pre-condizioni. Approfondimenti come quelli della Summer School di Bicocca (FGB ha finanziato borse di studio sul tema della bio-based economy) o i focus sui metodi di finanziamento della ricerca avanzata, la promozione di modelli di welfare crowdfunding (Università di Pavia), o di nuove realtà universitarie per l’innovazione (U4I, University for Innovation) mostrano una sensibilità al tema della sostenibilità economica. Da qui a scavare i canali della nuova filantropia e del crowdfunding civico e per l’impresa innovativa il passo è brevissimo.
 
 
L’intento di Fondazione Giannino Bassetti si chiarisce alla luce di alcune considerazioni che Francesco Samorè espose in occasione di un incontro su Adriano Olivetti, dove sottolineò il ruolo delle istituzioni nella gestione degli effetti dello sviluppo tecnologico, ricordando come Olivetti, dal suo esilio, volesse riempire un vuoto, quando si occupò di ordine politico delle comunità. Samorè attribuì a John Dewey la frase per cui “le società tecnologiche generano costantemente ‘problemi’ [issues] resistenti alle soluzioni [disponibili] nell’ambito delle istituzioni esistenti” per dirci che c’è da lavorare, fra singolo e istituzione, soprattutto sull’innovazione – che oggi unisce e separa. Su di essa la Fondazione opera sia in termini di storytelling di alto livello, con la convinzione che vincere una sfida di cambiamento è possibile perché le cose divengono anche “perché sono narrate” sia facendo “incontrare una dotazione di potere e una di sapere”.
 
 
E qui la rete di Fondazione Giannino Bassetti si fa più sottile – ci ricorda Anna – e tocca le tecnologie a disposizione dell’uomo da più tempo: legge, governance, etica. “A livello di istituzioni europee va detto che Fondazione Giannino Bassetti è la sola organizzazione italiana di società civile (CSO) in AI4People, il primo forum europeo sugli impatti sociali, e etici, dell’intelligenza artificiale. Così pure ha seguito il percorso di consultazione che ha portato all’elaborazione della Legge Regionale 29/2016 [“Lombardia è ricerca e innovazione” n.d.r.]: da quando la Giannino Bassetti è divenuta fondazione di partecipazione, la Regione è entrata a far parte dei soci. Anche con il ruolo chiave e il contributo della Fondazione è nato il Foro regionale per la Ricerca e l’Innovazione, organo consultivo dell’ente locale: un comitato scientifico di livello internazionale, composto da dieci membri che si occupano di diversi aspetti: social innovation, RRI – Responsible Research and Innovation, technology assessment…”. Tra questi, alcuni, intervistati per la piattaforma regionale Open Innovation, erano attivi in AI4People (come Guido Romeo, attivista, alfiere dell’ambito Open Data) o già noti come la già nominata Agnes Allansdottir; molti membri sono stranieri o di duplice esperienza italiana e internazionale. “Attualmente il Foro è anche coordinato, a livello di moderazione e istruzione tecnica degli incontri proprio dalla Fondazione.”
 
 
Oltre agli impegni in materia di sicurezza digitale, già in agenda, il Foro, sulla base delle proprie competenze, potrebbe trovarsi ad accompagnare Regione Lombardia nell’ambito della ricerca genomica. Probabilmente si occuperà anche della ipotesi, già vagliata negli Stati Uniti e in UK, di sequenziamento dei nuovi nati (new born sequencing) scenario che sposterebbe l’azione pubblica da un orizzonte di cura a uno di prevenzione. Un’ipotesi in cui il coinvolgimento consapevole e capillare della popolazione non si potrà che rivelare essenziale.
 
 
Sulla medicina di precisione e personalizzata, la Fondazione Giannino Bassetti è coadiuvata da Angela Simone, biotecnologa, giornalista, che si è spesa anche sui fronti delicati di carattere etico e ha seguito il progetto Smart-MAP, di cui sono state esposte le conclusioni da poco: progetto made in Fondazione, in rete con diversi partner (qui il website ufficiale). “Smart-MAP è un progetto che tocca l’ambito della salute e delle tecnologie industriali responsabili, dove il ruolo delle persone è centrale.” E in Smart-MAP lo è stato già in fase sperimentale, attraverso una struttura di workshop dove “i pazienti sono inseriti al fianco di enti di ricerca e imprese e collaborano su diversi fronti a definire il prodotto con nuovi metodi di progettazione partecipata: nella ricerca e raccolta genomica, sul ruolo della stampa 3D negli scenari di medicina personalizzata, etc. Percorsi su cui la Fondazione proseguirà il suo cammino approfondendo la strada fatta finora.” In questo scenario, che va oltre il settore sanitario, si prospetta l’adozione di standard e certificazioni RRI, in futuro (qui un buon tutorial per comprendere i tratti salienti della ricerca e innovazione responsabile). Dopo anni di bilanci sociali d’impresa dal sapore di marketing forse c’è uno spiraglio di cambiamento.
 
 
Il portato dell’adozione di approcci RRI si fa sentire, più che mai, in termini di prevenzione del conflitto e completezza della progettazione consensuale in ambito pubblico e industriale: una relazione equa ed equilibrata fra istituzioni, privati e cittadini può dar luogo, oggi, a un migliore e diverso modo di fare sia ricerca che impresa. E l’UE ha investito in questa direzione nel quadro di Horizon 2020.
 
 
Smart mobility, intelligenza artificiale, formazione e mondo del lavoro che cambiano, sono altri temi su cui facciamo lavoro di progettazione e per la riflessione sui quali la Fondazione si spende nel dibattito pubblico.” Sulla formazione “fuori dalla scuola” Anna Pellizzone ha partecipato per la Fondazione, di recente, alla terza Fiera del Lavoro Intraprendente di Rozzano, “Un evento ideato da Multilab, realtà legata al Comune di Rozzano, che usa la stampa 3D oltre che dal punto di vista artigianale anche sotto il profilo sociale, occupandosi di inserimento lavorativo: si parlerà di formazione fuori dalla scuola, di come anche i fablab, il circo sociale e altri strumenti possano collaborare al compito formativo e a sviluppare quelle competenze oggi necessarie per il mercato del lavoro. In questi giorni sto leggendo proprio Teste ben fatte, [di Edgar Morin n.d.r.]: perché il problema è lavorare dove l’istituzione scolastica non riesce a arrivare, ripensare a come trasmettere la conoscenza, ai contesti che possono contribuire a costruire una testa ben fatta, oltre che ben piena, uscendo fuori dai limiti dei programmi ministeriali: nel panel ci sono anche persone che lavorano nel territorio e sperimentano l’adozione e promozione della lettura digitale, i suoi effetti sulle persone, i giovani, le relazioni familiari.” Anche se resta in sospeso il tema dei low e high skill in cui si va dividendo il mercato del lavoro, e quello delle reali aspettative di occupabilità, di fronte al prosciugamento della natura produttiva dei nostri territori e all’introduzione dell’automazione: una società dove i lavori più pagati sono quelli digitali, di strategia di promozione e vendita, e tutto il ciclo produttivo è dematerializzato o delocalizzato, non c’è quasi posto per l’artigianato o scenari produttivi dove s’intercettino e valorizzino conoscenze non allineate coi nuovi profili (sempre meno numerosi) o l’adattività compulsiva che oggi si cerca in un lavoratore. Il fatto che andiamo verso una società senza lavoro è uno scenario possibile? Il lavoro è già un bene da ripensare nell’ottica di una qualsiasi risorsa naturale o culturale, anche in termini di redistribuzione, anzitutto per il suo valore sociale? Nel tempo del reddito di cittadinanza c’è molto da approfondire su questo tema, oltre all’aspetto educativo. La Fondazione riflette sul ruolo dell’algoritmo – vi sono diversi articoli di Alessandro Scoscia sul sito, interviste e contributi significativi che toccano il rapporto fra policy making e innovazione – segue le comunità del new craft, del nuovo artigianato digitale (in molte occasioni proprio in partnership con Confartigianato Varese).
 
 
Ci chiediamo come innovare.” E torna a galla il problema che indicato da Dewey proprio novant’anni fa in The Public and its problems dove si descrive la struttura carsica della soggettività collettiva, legata a quelle fasi storiche dove l’ingovernabilità degli effetti dell’innovazione si fa più sentire sulle persone, e il disagio emerge dall’introduzione di cambiamenti che sfuggono al controllo sia dei cittadini che delle istituzioni. “Vi sono studi che dimostrano che il coinvolgimento a monte nelle decisioni di rilievo pubblico, incoraggia il dialogo e la capacità di scegliere nella maniera più democratica possibile. Uno dei draft di progetto della Fondazione sulla driverless society punta a una fase di consultazione pubblica. Abbiamo dedicato anche un approfondimento a tutti i fenomeni di consultazione pubblica sull’intelligenza artificiale.” La tecnologia agisce sulla materia grezza della soggettività collettiva: e la Fondazione su quella dell’innovazione che in parte la plasma e che influenza anche i decisori pubblici sotto la spinta anche di forti tendenze autorappresentative collettive che passano attraverso consumi e interazioni di natura tecnologica e digitale – la Fondazione affronta il problema dall’alto, dà attenzione ai temi legati a nuova cittadinanza e nuove tecnologie. “Come il Danish Board of Technology che sulla partecipazione pubblica lavora a 360°, ad esempio, così il progetto di Foro di cui abbiamo parlato per la Regione mette in campo una strategia differente. Sappiamo che le esperienze di partecipazione possono essere simulate, ma, ad esempio sul climate change, si pongono questioni di responsabilizzazione personale, individuali, anziché degli intermediari politici o dei policy maker: non si sono sviluppate ancora strategie efficaci. In Smart MAP abbiamo – senza alterare i fini di profitto dell’impresa – messo in luce la possibilità di una diretta collaborazione fra impresa e persone. Alessandro Scoscia ha, invece, tenuto un seminario sul caso di Cambridge Analytica, al polo opposto. L’approccio della Fondazione è ecosistemico: agisce su pubblico (società civile, etc), amministrazione, politica, impresa ed altri nodi.”
 
 
La Fondazione si pone in competizione asimmetrica coi soggetti – detti neo-intermediari dallo studioso Gabriele Giacomini, collaboratore e autore di molte interviste nel sito – che generano trend e pressioni collettive mirate, o piegano algoritmicamente le linee del campo da gioco per arrivare a risultati voluti:  gli opinion maker nei social media o chi influenza i comportamenti di massa con agende setting tirano in direzione opposta la loro palla – Fondazione Bassetti influenza gli operatori di alto livello impegnati in ambito tecnologico e digitale, facendo loro metabolizzare in modo compatibile con le loro mission, le istanze di coinvolgimento pubblico. Genera un movimento, così, prevalentemente top-down e segue la linea di minima resistenza, ponendo domande, e aiutando a individuare le soluzioni, prima di trovarsi davanti ai problemi. Giocare d’anticipo. In un gioco che ricorda un po’ la partita di tennis del sogno di David Foster Wallace in Infinite Jest, dove il campo da gioco sembra smaterializzarsi e le linee sfuggire in ogni direzione, moltiplicandolo, e dando vita a una partita in cui è difficile, ormai, anche individuare l’avversario, e capire come tirare il servizio. Ma, in fondo, la missione della Fondazione sta proprio nel realizzare l’improbabile.
 
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