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A Veddel, abitanti, istituzioni, fondazioni, gruppi religiosi, artisti, insieme nell’arte del convivere

  • Pubblicato il: 15/01/2017 - 22:47
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DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di: 
Amerigo Nutolo

Nell’Europa del terrore e delle paure e incertezze sociali, da Amburgo abbiamo una lezione di prevenzione dei conflitti: Veddel, quartiere-isola incastonato sull’Elba, resistente ai tentativi di gentrification, residenza di tedeschi poveri e immigrati da 60 paesi. Da qui salpavano i migranti tedeschi per le Americhe. Oggi, più soggetti pubblici e privati, affrontano le sfide di rinnovamento istituzionale e della convivenza con New Hamburg: progetto scritto e prodotto con chi abita Veddel con gli artisti, al servizio di Amburgo. Björn Bicker e Malte Jelden, tre anni dopo l’avvio dell’esperimento, fanno il punto: “Se vogliamo che questi processi funzionino e portino cambiamenti nelle persone bisogna partire con anticipo, prepararli bene, fare molta comunicazione. Non è importante l’artista, ma la convivenza fra le persone.Riconoscersi come comunità in tutte le proprie radici, condividere luoghi, segni, gesti, azioni. Tutto questo è già arte” dicono i dramaturg


Abbiamo incontrato a Venezia la Nuova Amburgo con Performing Architecture (incontri pubblici, culinari, artistici, concepito e organizzato dal Goethe-Institut), contrappunto al Padiglione Germania della 15ma Mostra Internazionale di Architettura, dedicato al tema dell’heimat [casa/luogo dell’appartenenza n.d.r.] e dell’accoglienza. Architettura, danza, performance pubblica compenetratesi nel territorio lagunare, evase dai dati statistici su migranti e profughi del Padiglione, hanno raggiunto il corpo “abitante”.
La delegazione di un quartiere di Amburgo, Veddel Embassy, è approdata per una settimana all'Abbazia della Misericordia per uno scambio sull’esperienza: New Hamburg. L’isola urbana di Veddel, zona “degradata” a due fermate dalla stazione centrale, nel mezzo dell’Elba, da cui salparono centinaia di migliaia di tedeschi per il Nuovo Mondo è una periferia centrale di 5000 abitanti che accoglie, a fianco di tedeschi non abbienti, immigrati d’epoche diverse, da sessanta paesi.

New Hamburg è un intervento nato dalla committenza del Teatro Civico di Amburgo, cui si sono aggiunti gli apporti fondamentali di istituzioni pubbliche, culturali, educative, religiose e fondazioni – statali, federali, locali, di comunità, legate a industrie, banche, real estate. Festival, iniziative dal contenuto civico, artistico, interreligioso, formativo e culturale (per ogni età), ibridazioni musicali e collage performativi basati su memorie di comunità, luoghi condivisi, commensalità e collaborazione: tutti interventi a gentrificazione , prodotti dal quartiere con la guida abilitante dei due primi direttori di progetto, professionisti di ambito teatrale impegnati da tempo nelle comunità urbane. Destinatario: l’intera città. Dal reciproco stimolo fra abitanti inizia ad emergere un nuovo tessuto sociale, utile anche ad istituzioni pubbliche e culturali per ricalibrarsi ed evolvere con una comunità locale.
A Venezia gli abitanti di Veddel sono entrati in contatto diretto con le omologhe parti etniche, civiche, religiose e culturali della città. A Venezia, come ad Amburgo, una dimensione L2L, local to local: dallo scambio fra quartieri della città anseatica si è passati a uno scambio fra quartieri internazionale. Björn Bicker e Malte Jelden, gli artisti che hanno avviato New Hamburg e guidato la delegazione in laguna, ce ne hanno parlato.

Abitiamo a Monaco. Karin Beier, direttrice della Schauspielhaus di Amburgo, ci invitò a sviluppare un progetto per riconnettere il teatro alla città.”, dice Björn Bicker, “Dovevamo trovare il contesto locale adatto”, aggiunge Malte Jelden, “Non sapevamo da dove partire. Abbiamo scelto Veddel, dando inizio alla relazione coi suoi abitanti, dopo l'incontro con la pastora luterana dell’Immanuelkirche.” La pastora ha dato realtà al passo evangelico del “bussate e vi sarà aperto”: nata a Est, nella DDR, pacifista, alla mano, non vedeva l’ora di “dare” la chiesa a chi ne avesse avuto bisogno. Far messa, domenica, per cinque persone, in un quartiere di migranti, era motivo sufficiente per aprire la chiesa al vicinato e ad attività culturali, e giungere a comunità di fedi diverse, distanti: era anche un primo passo per gli artisti, per costruire un altro possibile vicinato. “E – continua Jelden – senza la pastora e il racconto dei suoi desideri ed esigenze non avremmo mai continuato in un luogo come Veddel questo progetto. Noi lavoriamo sulle esigenze che vengono espresse, nei luoghi in cui andiamo, dalle persone, con cui collaboriamo.”
Lisola di Veddel è simbolo tanto di migrazioni tedesche che recenti. Un’arca delle differenze utile per la rifondazione di una comunità della convivenza da qui l’idea di un’Embassy, di una Veddel autorappresentativa di cui ognuno è ambasciatore.
Cerchiamo di stimolare nuove comunità per i singoli progetti. Se mettiamo in scena uno spettacolo e le persone partecipano da tutte le comunità, esso diventa la nuova comunità. A Veddel, abbiam provato a far diventare la Chiesa un luogo che molte comunità riconoscano come proprio luogoUn processo lungo, quello in cui le comunità che l'utilizzano insieme iniziano a sentire il luogo di tutti. “Spesso il trucco sta nel non parlare di nazionalità, lingue, religioni, ma delle differenze: dove quel che differenzia è visto come risorsa e apporto positivo ad una nuova comunità.” Il palcoscenico di Veddel serve ad agire per la intera città, compiendo gesti di condivisione spesso semplici ma di alto valore collettivo, in grado di influire sull’equilibrio delle relazioni future. E Veddel è la Cenerentola di Amburgo.

Ai due dramaturg preme sia saper portare il teatro alle persone, sia la coscienza che esiste per loro un teatro. Teatralizzare le relazioni sociali significa far esprimere molte persone. “I teatri finanziati con fondi pubblici operano per target assai ridotti di cittadini: l'”alta cultura” d’élite” afferma Jelden.
Intervenire nel territorio è un lavoro che per loro inizia dodici anni fa, dal Teatro Civico di Monaco, uno dei primi ad aprirsi ai quartieri e agire in essi: qui fu la Kulturstiftung des Bundes, fondazione culturale della Repubblica Federale che finanziò il progetto e, entusiasta, lo volle replicare in tutta la Germania, stanziando milioni di euro per progetti di teatri pubblici, mirati al coinvolgimento della città.
Jelden, regista, e Bicker, autore, agiscono sui rapporti fra gruppi sociali e ne accompagnano le trasformazioni agendo a livello delle relazioni di prossimità e dei valori legati a luoghi e istituzioni.
A Stoccarda, in un intervento nella zona della stazione, divisa tra Nord ricco e Sud povero, dal titolo Voltare il Nord, trenta allievi dai due quartieri si sono scambiati la scuola, dalla classe della ricca scuola privata del Nord a quella di una di una scuola statale del Sud, e viceversa. “Vi fu la co-produzione della Robert Bosch Stiftung, impegnata in progetti educativi e di partecipazione: su richiesta del Goethe-Institut ha sostenuto anche l’iniziativa veneziana.” spiega Björn Bicker. “L’intero progetto di Veddel ha avuto la copertura della Deutsches Schauspielhaus, da sola, per l’ammontare di circa 450.000 € su tre anni, poiché non vi fu tempo per la ricerca sponsor. Dopo aver avviato il progetto abbiamo lasciato la guida agli attori locali e sono subentrate tutte le fondazioni localia dare continuità.”
Da qualche anno i due artisti han scelto di collaborare con istituzioni a cui chiedono il sostegno per ricerca fondi e coinvolgimento di fondazioni: New Hamburg oggi va avanti da solo. “Il motivo profondo per cui il fundraising lo lasciamo alle istituzioni con cui lavoriamo è che vogliamo siano loro, specialmente quelle dell’alta cultura a finanziare i nostri progetti. La maggior parte delle fondazioni finanzia – in abbondanza – perché le istituzioni si innovino, ma spesso i fondi vanno su progetti senza intraprendere cambiamenti sostenibili. La Schauspielhaus però è un ente cittadino, finanziato da fondi pubblici dalla Città e il Direttore ha un’ampia libertà di manovra. Per loro Veddel è interessante perché è il futuro.”
In Germania le porte sono aperte per questi progetti culturali di innovazione sociale , se non richiedono fondi”, ma per gli artisti la criticità di base è il pericolo, per l’arte, di divenire il cerottino da applicare al momento del bisogno .Se le strutture delle istituzioni non cambiano – e questo è un nostro fallimento .
La parte artistica tradizionale, in questa drammaturgia sociale è essenziale e rilevante. Jelden conferma, Tutto il processo è già arte, ma non sono un prete o un sociologo. M’interessa però ciò che posso e so fare: anche quest’evento di Venezia, come New Hamburg, per noi, è una messa-in-scena. Abbiamo appreso in teatro che ” ribadisce Bicker, il come metto in scena è uno strumento di progetto. Chiunque sia il committente, arriviamo sempre ad un punto in cui ci viene chiesto cosa stiamo facendo”. Jelden rincara la dose “Chi fa teatro dice che il nostro approccio è interessante ma non è teatro e così chi fa arte.” Ma questa domanda non riguarda la stessa Arte? “ Se si risponde semplificandosi può affermare che la stessa vita è arte, ma è una domanda complessa. E’ la parte centrale del mio lavoro come artista che mi porta costantemente a riflettere su cos’è l’Arte. Garantisce che lo si faccia, ci costringe a farlo.

Alle poetiche di Josef Beuys o Christoph Schlingensief, a cui gli artisti s’ispirano, s’aggiungono qualità naturali dei quartieri. Veddel, come Porta Palazzo a Torino, sono versioni sociologiche del paradosso di Bertrand Russell, insiemi di elementi che non appartengono a nessun insieme. Nel propagarsi dell’onda omologante dell’inclusione gentrificatrice appaiono come una deformazione spazio-temporale. Si ha l’ impressione che vi si possa sviluppare una forma di appartenenza inversa, fra chi li abita, estranea a strutture o vincoli di reciprocità, basata piuttosto su un patto non dichiarato di libertà delle singolarità.
Forse solo una comunità radicalmente incostituibile è anche inviolabile: e in questi quartieri consiste la forma di una familiarità di estraneità. Comunità sconfinate, che non hanno heimat se non in sé, fondate sullo sradicamento, la cui identità si completa nell’attesa continua dello straniero che già sono: e perciò paradossalmente inclusive. C’è luogo migliore per ospitare la rielaborazione delle identità e, soprattutto, rappresentarle di questi luoghi ad identità mobile, resistenti alle seduzioni speculative?

Se la realtà passa per il teatro, gestirla significa agire la messa in scena delle sue possibilità, con tutti i rischi che questo tentativo comporta. A Venezia, ad esempio, l’anno precedente, nell’ex chiesa scelta per Veddel Embassy è andato in scena uno spettacolo assai diverso: quello di una comunità islamica cui è ancora interdetta la disponibilità di un luogo di culto nel Centro Storico. L’Islanda, per la Biennale d’Arte, ospitò nell'edificio un artista svizzero che vi allestì la Moschea della Misericordia: per quanto si fosse dichiarato il fine culturale dell'allestimento, il fatto di farne uso come sala di preghiera senza una autorizzazione ad hoc, provocò la precoce chiusura del padiglione e l’aggravarsi delle relazioni tra la città e la comunità islamica locale. Dice Bicker: “Scoprimmo on-line, a posteriori, che era stata sede del Padiglione islandese: ne discutemmo. Da quando siamo entrati nell’Immanuelkirche, il nostro progetto ha avuto a che fare con tematiche religiose, e ne ripercorre le pratiche: incontrarsi, riunirsi – una chiesa per me era un buon posto.” e Jelden rimarca “Avremmo comunque fatto qualcosa di molto diverso. Abbiamo fatto in modo che Amin Al Ahdab [n.d.r. Presidente della Comunità Islamica di Venezia, dipendente comunale, siriano e veneziano] e un gruppo di fedeli della comunità fossero qui per l’evento: per parlare, pregare e mangiare e discutere con noi. La maggior parte di loro si è mostrata molto interessata. E’ stato un momento felice.” Ma è di nuovo Bicker a sottolineare il punto fondamentale “Ci ho messo molto a capire che cosa non ha funzionato con l’altro progetto ed è stato interessante capire come gli artisti lavorano con questo argomento.” In comune con l’installazione precedente, hanno notato il pulpito islamico vicino all’altare [n.d.r. Veddel Embassy ha riservato uno spazio dietro l’altare alla preghiera, per tutte le religioni], ma la memoria dell’accusa di “star occupando una chiesa” è una ferita aperta. “A Veddel, noi abbiamo stravolto l’assetto della chiesa, tolto le panche, introdotto un tappeto e messo un lampadario sul modello di Hagia Sofia a Istanbul. Vi abbiamo ospitato i festival e una scuola coranica aperti a tutti [n.d.r. nel giardino della chiesa sono state ospitate le rotture rituali del digiuno islamico]. Se vogliamo che tali processi funzionino e portino cambiamenti nel pensiero delle persone bisogna partire con molto anticipo, preparare a lungo e bene la cosa, fare molta comunicazione, e condivisione. Non ha importanza l’artista, ma ottenere la convivenza delle persone: dalla vostra comunità islamica abbiamo avuto l’impressione che questo lavoro qui sia proprio mancato.Gli artisti evocano la domanda aperta da Venezia ma valida per tutte le città “A chi appartiene la città?”: per una settimana una chiesa sconsacrata privata diventa un luogo aperto e d’incontro: luoghi così mancano, qui come in Germania. “Il percorso per arrivare alla comunità islamica di Marghera dal centro storico, superando turismo, ponti, zone industriali, per trovare là, alla fine, la moschea, – afferma Bicker – ci rimarrà impresso. La comunità ci ha mostrato il rapporto fra centro e periferia. Un argomento europeo non solo veneziano. E’ una immagine negativa: ma Venezia rappresenta molto bene questo contrasto.” Contrasto che affonda le radici nel fatto che Venezia l’estraneità che fu fondativa di una città di scambi, è divenuta, al contrario di Veddel, fondamento di quella che passerà forse alla storia come la prima città a tal punto dissolta dal suo valore di scambio e valorizzata, da essere di fatto di venuta inabitabile. E d’altra parte anch’essa è patrimonio di tutti, da recuperare – come suggerisce la sfida culturale di Veddel – inclusivamente.
Tornando indietro, dicono i dramaturg, lavorerebbero anche a Marghera, Mestre e Sacca Fisola. Le zone di contrasto tra esclusione e centralità, centri dell’opera culturale e relazionale di Veddel, sono quelle su cui investire, in format fortemente autodiretti, per la prevenzione dei conflitti, una maggiore coesione sociale e la riscrittura delle identità locali e collettive, per il rafforzamento di comunità locali e nazionali, resistenti alle influenze xenofobe e all’effetto di disagi economici e febbri terroristiche. Un lavoro lento, che va iniziato immediatamente.

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Ph | Christian Bartsch. Rottura del digiuno islamico, Iftar, presso la Immanuelkirche, Veddel, Hamburg