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Utopian Hours 2018. La città è un’arma mentale

  • Pubblicato il: 15/11/2018 - 08:00
Rubrica: 
DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di: 
Giangavino Pazzola
Grande successo di “critica e pubblico” per la seconda edizione di Torinostratosferica Utopian Hours, primo festival italiano di urban culture per immaginare la città del futuro. Tre giorni per raccontare esempi delle migliori pratiche urbane mondiali in un format capace di attirare l’attenzione di quasi tremila persone. Contenuti non sempre di facile lettura ma ormai interessanti per un pubblico allargato di tecnici e appassionati, venti incontri con professionisti e osservatori internazionali di city imaging, workshops e incontri per mettere in pratica l’immaginazione, sei mostre dedicate alla vita delle città e alle idee del progetto Torinostratosferica – esperimento collettivo di visione urbana che viene da lontano per influenzare il futuro di Torino. Lei, per qualcuno l’austera e decadente capitale sabauda, ancora una volta culla della sperimentazione e della novità. Ne abbiamo parlato a caldo con Luca Ballarini, founder e Creative Director dell’agenzia creativa Bellissimo e principale ideatore del laboratorio collettivo e del festival, insieme a Giacomo Biraghi - esperto internazionale di strategie urbane.
 
Torino. Tutto è iniziato tre anni fa con incontri informali animati da Ballarini, Biraghi e un team dinamico a supporto, un contenitore aperto – messo a disposizione con tanta ironia – di creativi a vario livello e visionari per ripensare la Torino di domani. Un ambiente di sperimentazione e ricerca che ha incrociato tipi di sapere, conoscenza ed esperienza diversi per liberare idee da gabbie mentali e generarne di nuove per proiettare Torino su una scala internazionale. Poche regole: ipotizzare di avere un budget illimitato per ideare, sognare, superare il limite dell’understatement sabaudo. Poco più di un gioco, forse, ma con un obiettivo chiaro: adeguare la città alle aspettative – ma anche alle abitudini – dei suoi abitanti contemporanei (e temporanei). Una parte nuova di città, da scoprire e raccontare, praticata da professionisti e cittadini che girano almeno l’Italia intera in lungo e largo per lavoro e l’Europa per dovere e piacere, se non gli altri continenti. Incontri che, con il passare delle settimane, hanno coinvolto a cadenza regolare oltre un centinaio tra architetti, urbanisti, docenti, ricercatori, imprenditori, sociologi, artisti, designers, scrittori, operatori culturali, generando una community di pensatori e sognatori. Due anni fa il team ha fondato un’associazione capace di dare il via al festival Torinostratosferica Utopian Hours, progetto legato naturalmente all’architettura, al design urbano e a tutte le componenti decisive per la qualità di vita urbana: cultura, creatività, impresa, mobilità, tecnologia, innovazione. Contestualmente, Torinostratosferica si caratterizza come un progetto di comunicazione e di branding, in cui il copywriting —nella creazione di nomi, slogan e claim – risulta determinante per ridefinire l’identità del contesto urbano. Se la proposta della prima edizione del Festival è stata ripescata nella seconda tornata dei vincitori del Bando ORA! – Linguaggi contemporanei produzioni innovative di Compagnia di San Paolo, il grande entusiasmo generato dalle potenzialità espresse dal progetto ha fatto sì che, oltre alla Fondazione torinese, la seconda edizione trovasse il proprio supporto di altri soggetti privati come Edison. Ai main sponsor bisogna aggiungere il patrocinio della Città di Torino e il contributo di Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Torino e diversi creative partner e sponsor tecnici. È in questo modo che ospiti e osservatori internazionali del calibro di Aaron Foley, (Chief Storyteller di Detroit), Sverre Landmark (coinvolto in prima persona nelle trasformazioni lungo il corso del fiume di Oslo) e Jean-Sébastien Lebreton (architetto e curatore al Pavillon de l’Arsenal e Faire Paris), Mikael Colville-Andersen (esperto di qualità urbana da Copenhagen), e tanti altri ancora, si sono alternati sul palco con altri speakers allo stesso modo “brillanti”, ma autoctoni, per portare racconti, visioni e sogni sulla città contemporanea: tra loro Paolo Ruffino (esperto di mobilità e cultura della ciclabilità ad Amsterdam), Matteo Robiglio (architetto e Professore Ordinario al Politecnico di Torino), Enzo Biffi Gentili (autore, curatore ed esperto di design e grafica), Erika Mattarella (responsabile dei Bagni di Via Agliè e esperta di innovazione sociale e periferie). Abbiamo discusso a caldo con Luca Ballarini dell’edizione appena conclusa, cercando di individuare i punti di forza e le potenzialità del progetto.

 
Cosa ci racconta la seconda edizione di Torinostratosferica Utopian Hours?
Abbiamo due grandi conferme: il tema della città interessa un pubblico sempre più largo e – secondo – abbiamo adottato un format ideale per raccontare, riflettere e divulgare tali contenuti. Con un contenitore canonico avremmo avuto un decimo dei risultati. Per esempio, vedere 500 persone in sala ascoltare dei guests senza giocare con il cellulare – buonaparte dei quali in inglese stretto che parla quella lingua per professione - significa che il festival funziona. I giornali ci hanno aiutato nel comunicare l’evento, ma essendo alla seconda edizione e avendo deciso di cambiare location per stabilirci in un luogo ancora non troppo conosciuto dai torinesi, abbiamo riscontrato un pubblico più numeroso rispetto alle nostre aspettative. Non abbiamo fatto Utopian Hours al Carignano o alle OGR dove sarebbe stato più semplice avere un riscontro ancora maggiore per prestigio e accessibilità. Il tema della città contemporanea, il suo racconto e la sua immagine, trattato in un certo modo è un dispositivo capace di coinvolgere.

Parlare di urban contemporary culture con la vostra impostazione agevola e stimola la riflessione, le esagerazioni non sono più evanescenti ma danno forma ai sogni...
In tanti ci hanno confessato che questa edizione ha permesso loro di capire il motivo del nostro percorso. L’altra constatazione è l’effettiva potenza dei contenuti. Lo spazio per le mostre era grande e accogliente, noi ideatori siamo saliti sul palco e abbiamo letteralmente condotto le sessioni, i concetti che il progetto incarna dà cinque anni di lavoro – e che solo per noi erano chiari – ora hanno trovato la piena applicazione e concretezza, anche grazie a un lavoro di comunicazione e grafica che ha facilitato la comprensione del modo di raccontare la città e di sognare. Ogni visitatore si è sentito generatore di idee, e questo passaggio è galvanizzante. Lo step importante di creare una community e un sentimento propositivo attorno al testo della città è un passaggio molto forte. Mi ha fatto piacere vedere quante persone, lontane dalla nostra filosofia e approccio al progetto di città, abbiano cambiato idea e siano entusiasti. Essere collaborativi e collettivi non è solo un pour-parler, ma è un dar voce alla Torino (Stratosferica) post-industriale, non nostalgica, propositiva, coinvolgente.
Tutti gli ospiti, a quali va il nostro ringraziamento, si sono messi di impegno e hanno accettato la sfida che c’è dietro il festival: come possiamo rendere Torino una città stratosferica? La città ha delle potenzialità enormi che devono emergere anche grazie al nostro contenitore, in cui racconto di progetto, pratiche e innovazione vengano fuori.
 
Quali prospettive per il futuro?
Oltre quanto anticipato, abbiamo capito un ulteriore elemento: Torino ha un nuovo “festival figo”, oltre tutti quelli interessanti che già ci sono. L’offerta culturale della città avrà un nuovo appuntamento fisso – il primo festival italiano dedicato alle città. E questo fatto è in linea con dna di città sperimentale e di avanguardia. Il nostro messaggio è stato assorbito dalle persone e, così come certi media vogliono convincerci del declino, c’è una parte di città energetica, professionale, che continua a produrre idee, contenuti e innovazione. Il percorso di avvicinamento costruito con persone che negli anni hanno partecipato segna una differenza di format fondamentale: Torinostratosferica come ongoing project di city imaging e branding che coinvolge 200 creativi e, allo stesso tempo, si allarga ogni giorno coinvolgendo altri pensatori. Tutte queste persone diventano portatori di contenuti e ambassador della visione del progetto. Ci sono tutte le premesse per trasformare il progetto in un processo di branding e comunicazione urbana, è necessario reperire fondi e risorse perché tanti elementi sono già nell’aria. Per esempio, continuare a far crescere contenuti, ruoli, professioni che il festival ha evidenziato, perché questi possano trovare una forma stabile e permanente di ufficio per la promozione della città. Lo status possiamo averlo, dobbiamo essere bravi a provarci dal basso e tracciare delle direzioni. Per il futuro abbiamo le date, che sono dal 18 al 20 ottobre 2019, e una programmazione che è già in costruzione. La sede ancora è sconosciuta, dipende da tante cose, ma mi piacerebbe rimanere al di qua della Dora e illuminare un nuovo centro di Torino.
 
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