Paesaggio, tra percezione e valore
A provare a metter ordine a tale complessità, in principio, per l’Italia, fu la nostra Carta Costituzionale, all’art. 9: “La Repubblica promuove la cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Un tratto giuridico netto, di eccezionale lungimiranza ed innovazione (datato 1947) che, collegando la promozione della cultura e della ricerca alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, “non proclama un principio astratto, ma stabilisce una concreta linea d’azione collegata ai diritti essenziali del cittadino […] diritti che contribuiscono al progresso spirituale della società e allo sviluppo della personalità individuale” (Settis).
In ambito comunitario invece abbiamo la Convenzione Europea del Paesaggio (COE, 2000) a delineare una chiara indicazione sul tema e della sua importanza. Qui il paesaggio diviene “elemento chiave del benessere individuale e sociale” costituito essenzialmente dalla e sulla “percezione del territorio che ha chi ci vive o lo frequenta a vario titolo”. Una svolta epocale nell’idea stessa di paesaggio, delle sue proprie prerogative di habitat umano come bene complesso e mutevole, legante della comunità, garanzia di cittadinanza e strumento di eguaglianza fra i cittadini, dunque di democrazia.
L’Italia, inoltre, nella ratifica della stessa Convenzione (DL 9 gennaio 2006, n. 14), aggiunge anche che “le persone hanno il diritto di vivere in un paesaggio che risulti loro gradevole”. Una svolta nella svolta, che porta con se inedite prospettive e responsabilità per ciò che concerne non solo la tutela, ma che riguarda anche il miglioramento della qualità percettiva del paesaggio. È infatti “la percezione delle popolazioni, ossia il senso socio-culturale attribuito da esse ai propri luoghi di vita, che segna il passaggio dalla porzione di territorio al paesaggio”. (Michela Saragoni).
L’uomo e il suo ambiente sono così legati da una interrelazione “circolare”, in una reciproca capacità di influenza e modifica. Un processo di elaborazione culturale e di significati, comuni e personali, non solo come mero processo fisiologico, in cui la sfera emotiva e quella identitaria della società, assieme ai processi di identificazione e senso di appartenenza, assumono una valenza nuova: la percezione sociale è elemento strutturale del paesaggio tanto quanto il paesaggio stesso è elemento strutturale della società.
In linea con quanto di cui sopra, il libro “PERCEZIONE E VALORE DEL PAESAGGIO” di Tiziano Tempesta e Mara Thiene (Francoangeli ed.2013) raccoglie alcune esperienze che vanno in questa direzione – dalla Valle dei Templi di Agrigento ad alcuni casi del Veneto e a molti altri – dimostrando come il desiderio “di godere di un paesaggio di qualità e di svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione” sia un sentimento presente anche in Italia, ma caratterizzato ancora da uno sviluppo “disordinato”, che chiede adeguati strumenti per definirsi.
Perchè considerare la qualità del paesaggio in un’ottica di reciprocità significa, da un lato, che la percezione del paesaggio ha (dovrebbe avere) un ruolo fondamentale nella definizione del livello di qualità stessa del paesaggio; e dall’altro, che la qualità del paesaggio ha, a sua volta, capacità di incidenza sulla qualità di vita dell’uomo. Sfortunatamente, però, stando alle ultime analisi BES dell’ISTAT (2017), che riscontrano che “mentre la qualità percepita dei luoghi di vita tende a peggiorare, sempre meno italiani considerano prioritario il problema del degrado del paesaggio”, o ancora, guardando alla “fiacca” seconda Giornata internazionale del Paesaggio del Consiglio d’Europa, tenutasi il 20 ottobre scorso, il quadro d’insieme che ci appare è a tinte fosche e costellato di molte questioni ancora aperte, soprattutto riguardo la percezione dell’importanza personale e condivisa del paesaggio.
Come il più blasonato “patrimonio culturale”, difatti, anche quello paesaggistico, naturale o urbano, purtroppo paga il fatto di esser percepito ancora troppo spesso come un elemento estraneo al proprio se. E se considerato, lo è quasi sempre in chiave limitante piuttosto che come un elemento di potenziale sviluppo sociale ed economico. Per invertire questa pericolosa tendenza che spinge all’abbandono ed alla noncuranza, foriere di degrado e lacerazioni, allora occorre che le “politiche del paesaggio”, oggi considerate sempre più strategiche nell’ambito di una governance del territorio sostenibile, mirino a valorizzare il ruolo delle comunità locali nelle dinamiche di gestione e partecipazione attiva di quegli stessi territori, soprattutto nelle nuove generazioni. Occorre riaffermare una nuova cultura del paesaggio che nasca dalle sue narrazioni, dalle sue voci, per facilitare la conservazione e la diffusione delle singolarità dei luoghi e delle diversità territoriali in generale; che esprima i bisogni e valori essenziali di chi di quel territorio ne è rappresentanza e testimonianza viva, per rafforzare il sentimento di appartenenza e di radicamento; che curi i soggetti più sensibili e vulnerabili, con particolare riferimento ai bambini (che erediteranno ciò che noi lasceremo) per ri-costruire le relazioni tradizionalmente esistenti tra società e territorio. Si lavori su questo allora, nelle scuole, nei comuni, nelle università, nelle biblioteche, in ogni presidio culturale del territorio e non solo. Si lavori per creare una consapevolezza basata su di un principio di sana appartenenza e responsabilità. E non tanto per ottenere un livello della qualità del paesaggio accettabile, gradevole secondo le statistiche, ma piuttosto perché lo sviluppo di sensibilità e consapevolezza diffusa è oggi l’unico vero garante per il raggiungimento di un equilibrio dinamico nello sviluppo tanto di città e territori, quanto di cuori e menti di chi quei territori li vive. Uno sviluppo equo in grado di limitare l’attuale disuguaglianza nella qualità dei tessuti urbani, quanto di ridurre, se non eliminare, l’accrescimento delle disparità sociali, economiche e territoriali.
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