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Il welfare come relazione: mettere in rete bisogni e desideri

  • Pubblicato il: 14/02/2016 - 11:40
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Elisa Fulco

Johnny Dotty nel libro «Buono è giusto. Il welfare che verrà» della Luca Sossella editore, invita a pensare al welfare non più come a un servizio di tipo assistenziale ma come a una relazione, attorno a cui costruire esperienze conviviali, affettive, professionali e politiche, in grado di attirare investimenti e interessi collettivi nella gestione e risoluzione di bisogni (salute, educazione, ambiente, cultura). Nell’intervista ci racconta il ruolo chiave del territorio, della comunità e dei legami per avviare il cambiamento. Emerge un ritratto inedito dell’Italia e degli imprenditori sociali, che stanno trasformando il welfare in un settore strategico capace di coniugare economia e solidarietà: dalla piccola società di trasporti che mette insieme autisti e passeggeri, agli housing che progettano la casa integrando i bisogni futuri dei proprietari, alla rete delle badanti, agli asili nido gestiti dai genitori. Attraverso la presentazione della case history si comprende come la sperimentazione a base territoriale e la replicabilità di queste esperienze possa generare una crescita collettiva.
 

Economia, interesse, estetica sono le parole che usa per ripensare il welfare. Eppure nella percezione comune del terzo settore il fare profitto e la bellezza sembrano bandite per statuto. Come si fa a reintegrarle?
Penso che sia fondamentale ricordare che l’ordine, l’armonia sono alla base dell’etimologia dell’economia, che l’interesse ha a che fare con la relazione con l’altro, e che è soltanto negli ultimi tre secoli che abbiamo separato ciò che storicamente era unito: il bello e l’utile, l’economia e la solidarietà. La tradizione italiana del welfare è di natura conviviale, partecipativa, e la stessa sharing economy che accogliamo come neologismo e innovazione è una «pratica» che appartiene storicamente alla nostra identità, alla nostra cultura, che non si fondava sulla contrapposizione tra pubblico e privato ma sapeva conciliarli e tenerli insieme. Come dimostra la storia dei Comuni italiani che nascono dopo le corporazioni, così come gli ospedali pubblici sorgono dopo la nascita delle Misericordie, confraternite private a cui si devono capolavori dell’arte nei luoghi di culto e di cura, in cui la bellezza era parte integrante dell’assistenza. Bisogna pensare al welfare in maniera olistica, e trovare nuove forme di collaborazione e di dialogo tra pubblico e privato, tra dimensione economica, estetica e sociale. Si tratta di incrociare i saperi, di mettere in rete la bellezza, il paesaggio, la cultura, l’educazione e la salute. In fondo, non occorre inventare nulla ma ritrovare e innovare la dimensione partecipativa dei cittadini alla vita della Comunità.

Come si possono coinvolgere concretamente i cittadini nella gestione dei beni comuni?
Bisogna ripartire dal territorio, dalla comunità, dai legami, trasmettendo un’idea meno astratta del bene comune, che sembra non appartenere più a nessuno. Termini come erogazione e utente rafforzano la convinzione che c’è una separazione reale tra risorse e consumo, e non lasciano immaginare nessuno spazio di libertà e di progettazione. La sfida è di collegare il singolo bene ad un bisogno reale, sia che si tratti di un museo, di una biblioteca di quartiere, di un ospedale, creando istituzioni di comunità in cui la persona, l’impresa, l’associazione possano investire per la sua tutela, o valorizzazione. Bisogna ripartire dal basso, da best practice locali che si prestano ad essere replicate in altri contesti, con la consapevolezza che il benessere, la cura, non possono essere delegati alla politica, al pubblico, ma che al contrario sono le soluzioni innovative adottate che possono, domani, diventare prassi politiche e non viceversa.
 

Che tipo di economia può generare il welfare?
È un comparto economico a tutti gli effetti che può generare profitti e utili, la cui lettura come servizio assistenziale, o area di costo, ha penalizzato gli investimenti, impedendo forme di gestione collettiva e di produzione ex ante capaci di mettere insieme domanda e offerta per rispondere a bisogni comuni. Il dato evidente è che non è più economicamente più sostenibile pensare a delle soluzioni individuali, soprattutto in ambito sanitario, educativo.
La crisi economica può essere vista anche come opportunità per recuperare la dimensione comunitaria che abbiamo perso di vista negli ultimi trent’anni.
 

Le imprese sociali che ruolo giocano nella costruzione del nuovo welfare?
Occupano un ruolo chiave nell’adozione di modelli innovativi di gestione capaci di coniugare valore economico e solidarietà, e testimoniano come il welfare oggi vada ben oltre i settori tradizionali della salute e dell’educazione per includere cultura, turismo, beni culturali e ambientali. Non è un caso, che molte delle esperienze di innovazione sociale in Italia siano maturate all’interno della rete di imprese sociali del gruppo CGM, che oggi raccoglie oltre mille tra associazioni, consorzi e cooperative, fornendo una fotografia della vitalità del settore, della crescita a livello locale che produce effetti a livello nazionale e internazionale.
 
Che tipo di strumenti giuridici possono facilitare il cambiamento?
In base ai vari ambiti del welfare si possono adottare soluzioni specifiche. Si possono immaginare dei trust per famiglie, soprattutto per quelle che hanno figli disabili, la cui gestione condivisa può aiutare a trovare soluzioni che garantiscano non soltanto la tutela economica ma una vita più dignitosa all’interno di una rete sociale. Così come è da ripensare il ruolo delle Fondazioni Bancarie in dialogo con il no profit, che possono comportarsi da vere e proprie venture philantropy, prevedendo utili e ritorno economico dalle imprese sociali su cui hanno scelto di investire. Ancora una volta non si tratta di erogare ma di partecipare e sostenere mettendo a disposizione gestione manageriale e competenze organizzative nell’ottica di creare capacity building del no profit. È un cambio di paradigma. Si investe in qualcosa che vale, in cui ci si riconosce. Ci sono esperienze straordinarie anche tra le Fondazioni di Comunità, quella di Messina rappresenta sicuramente un modello di riferimento.
 
Quali sono i settori del welfare che se ben gestiti possono trasformarsi in opportunità economica?
Sono tutti settori strategici. Acqua, energia rinnovabile, beni culturali, le stesse municipalizzate rappresentano delle occasioni di partecipazione straordinaria. Si tratta di introdurre nuove narrazioni del no profit, che si è raccontato poco e male e non sempre è stato in grado di comunicare il danno individuale e collettivo della cattiva gestione del bene comune. Basti pensare all’acqua, risorsa preziosa, che lasciamo disperdere senza aver cura degli acquedotti. Oltre a dare risposte ai bisogni, bisogna però tenere in vita i desideri, perché sono gli unici che possano motivarci e guidarci nel cambiamento.
 
Johnny Dotty, Maurizio Regosa, Buono è giusto. Il welfare che costruiremo insieme, Lussa Sossella editore, 2015
 
Johnny Dotti è un imprenditore sociale e pedagogista.
 
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