Enel Cuore Onlus: l'importanza di fare rete per affrontare le sfide della contemporaneità
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Rubrica:
FONDAZIONI D'IMPRESA
Articolo a cura di:
Vittoria Azzarita
Enel Cuore Onlus è un ente filantropico nato 15 anni fa «con l'obiettivo di ottimizzare le risorse dedicate alle attività di beneficenza che le aziende del Gruppo Enel portavano avanti singolarmente». Per conoscere meglio la visione, le strategie e i progetti realizzati dall'Associazione in diversi ambiti, che spaziano dal contrasto alla povertà educativa all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, abbiamo posto alcune domande a Novella Pellegrini, Segretario Generale di Enel Cuore. Con più di 600 iniziative realizzate in tutta Italia, l'Associazione ha fatto della costruzione di reti e partenariati tra soggetti filantropici il tratto distintivo del proprio agire. Alla luce di tale esperienza, per Novella Pellegrini «il nuovo ruolo della filantropia istituzionale potrebbe essere quello di facilitare il dialogo tra le pubbliche amministrazioni e il Terzo Settore, due mondi che viaggiano spesso su frequenze diverse». Dal suo punto di vista «se non è possibile una capitalizzazione dell'impegno economico, è però possibile – fin da subito – una capitalizzazione della conoscenza di tutto il mondo della filantropia, messa a disposizione della mediazione tra Terzo Settore e istituzioni pubbliche, che oggi sono molto più aperte al dialogo perché hanno capito che da sole non sono più in grado di affrontare le nuove sfide sociali ed economiche delle società contemporanee».
Come nasce l'Associazione Enel Cuore Onlus e quali sono i suoi obiettivi principali?
Enel Cuore nasce il 3 ottobre del 2003, esattamente 15 anni fa, con l'obiettivo di ottimizzare le risorse dedicate alle attività di beneficenza che le aziende del Gruppo portavano avanti singolarmente, attraverso la costituzione di una realtà formalmente separata, che avesse la natura giuridica di ente non profit. Fin dalla sua fondazione, la filosofia di Enel Cuore è stata quella di sostenere le iniziative promosse dalle organizzazioni non profit volte a tutelare e preservare il benessere della persona e della famiglia, in particolare nella comunità in cui Enel è presente. In linea con l'evoluzione del settore filantropico a livello nazionale, questo macro-obiettivo, questa finalità alta si è concretizzata in una serie di esperienze che ci hanno fatto acquisire la consapevolezza di avere una responsabilità non solo verso i soggetti del Terzo Settore che sosteniamo finanziariamente, ma anche nei confronti del Gruppo aziendale a cui facciamo riferimento e delle comunità con cui entriamo in contatto. Questo cambio di prospettiva ci ha spinto a stabilire dei criteri erogativi che non fossero solo relativi agli ambiti di intervento, ma anche alla qualità progettuale delle proposte e delle iniziative che scegliamo di incoraggiare. In questo senso, sono state definite delle linee giuda, con particolare riferimento all'analisi dei bisogni della società civile. Rispetto a questo aspetto, il fatto di essere legati ad un'azienda come Enel che ha la possibilità, oserei dire il privilegio, di entrare nelle case delle persone e di instaurare un dialogo diretto con i territori, ci ha permesso di poter osservare da vicino i bisogni e le necessità delle persone e delle famiglie e di conoscere la complessità delle realtà locali. Questa conoscenza puntuale del territorio ci ha consentito di indirizzare la nostra attività sulla base della domanda, dei bisogni e delle specificità di ciascuna comunità. Più che in risposta ad una leva emotiva, legata all'espressione di una restituzione in termini di beneficenza, dopo pochi anni dalla sua costituzione, Enel Cuore ha capito che doveva agire a un livello diverso per poter provocare un cambiamento reale nelle comunità. Oggi le nostre azioni si basano su un'analisi preventiva dei bisogni della società civile e sulla massima attenzione alle persone e ai contesti sociali e ambientali in cui operiamo.
Enel Cuore lavora spesso attraverso la costruzione di partenariati con altri soggetti del Terzo Settore e della filantropia istituzionale. Come avviene la creazione di tali collaborazioni? Quali sono i principali punti di forza e quali le principali criticità quando si realizza un progetto congiunto?
Abbiamo intuito fin da subito che tutto ciò che volevamo realizzare non lo potevamo fare da soli, non solo perché il contributo annuale che riceviamo dalle aziende del Gruppo non poteva essere sufficiente, ma anche perché la conoscenza stessa del territorio, per quanto vasta, non poteva essere così precisa come quella, ad esempio, delle fondazioni bancarie che operano all'interno di una specifica area geografica. Consapevoli dei nostri limiti e desiderosi di superarli, siamo stati dei pionieri nel promuovere la costruzione di partenariati e di reti tra soggetti filantropici, nel sostenere bandi promossi da altre fondazioni e nello stimolare altri enti erogativi a supportare progetti ideati da noi. Al contempo collaborare con altre realtà è un meccanismo complesso che richiede un maggior impegno, perché ciascun ente ha il proprio sistema di lavoro, di valutazione, di rendicontazione, di monitoraggio e quindi è necessario far incontrare e dialogare modi diversi di lavorare. Nonostante il settore filantropico sia un sistema governato da procedure non sempre coincidenti tra fondazioni - per esempio nel caso delle fondazioni bancarie e delle fondazioni d'impresa – devo dire che alla fine l'innovatività dei contenuti e la voglia di contribuire al raggiungimento di un risultato comune riescono sempre ad essere molto persuasivi, non solo per il nostro Board ma anche per i CdA delle altre fondazioni. Per cui la criticità più grande è legata ai tempi e agli aspetti formali più che alla visione, perché bisogna fare un grande sforzo per comprendere e rispettare le esigenze procedurali delle varie realtà coinvolte. In ogni caso, nel momento in cui si decide di realizzare un progetto insieme ad altre realtà, ognuno deve mettere a disposizione del team la propria esperienza e la propria capacità vera. A questo proposito, l'aspetto che caratterizza Enel Cuore nei partenariati è il fatto di avere una possibilità unica che deriva dal poter contare su Enel e sulle sue persone: questo ci permette, ad esempio, di poter essere in contatto con le aree terremotate perché le persone di Enel sono le prime ad arrivare insieme agli addetti della Protezione Civile. Per la buona riuscita delle nostre attività l'aspetto del partenariato è fondamentale e, oggi, possiamo contare su dieci anni di esperienza di lavoro basato sulla cooperazione, da cui abbiamo imparato molto e che ci ha dato anche l'opportunità di essere un esempio per gli altri.
Enel Cuore, nel quadro dell’iniziativa europea Epim (European Programme for Integration and Migration) e insieme alle più importanti Fondazioni Bancarie Italiane (Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo, Fondazione CON IL SUD, Fondazione CRT, Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Fondazione Monte dei Paschi di Siena), nel 2015 ha promosso il bando “Never Alone” per potenziare e innovare le modalità di presa in carico dei minori e giovani stranieri non accompagnati sul territorio italiano. Vista la stringente attualità del tema, ci può raccontare qualcosa di più su questa iniziativa e sui risultati raggiunti?
“Never Alone” è un'iniziativa che nasce nel maggio del 2015 in un contesto internazionale, ossia quello della Conferenza Generale dello European Foundation Centre, in un momento in cui c'era una assoluta urgenza di fare qualcosa per affrontare il fenomeno migratorio. In quella occasione otto fondazioni italiane hanno deciso di mettersi insieme e di lavorare con la piattaforma europea Epim (European Programme for Integration and Migration), che si occupa di progetti relativi ai temi dei migranti e che ci ha aiutato a formulare un'iniziativa rivolta in maniera molto focalizzata ai minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia. L'idea si è concretizzata nella promozione di un bando rivolto a soggetti in rete tra di loro, quindi proposte che venissero da partenariati finalizzati a migliorare l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in Italia. Nel dicembre 2017 è stata lanciata la prima edizione del bando e sono arrivate più di 120 proposte, di cui 30 sono state ammesse alla fase di valutazione e 8 sono state sostenute. Per cui è quasi un anno che le organizzazioni vincitrici stanno lavorando per portare avanti i propri progetti sul territorio. In particolare, le 8 iniziative sostenute mettono insieme 55 organizzazioni non profit e 16 amministrazioni locali in 12 regioni. Alcuni di questi progetti sono multi-regionali, nel senso che il capofila è un ente nazionale. La maggior parte dei progetti cerca di accompagnare i minori verso l'autonomia, concentrandosi sulla seconda accoglienza, ossia sul tipo di percorso da intraprendere nel momento in cui il minore arriva in una comunità. In particolare, abbiamo cercato di pensare a come non perdere questi ragazzi, perché questo è il vero problema, nel senso che molte volte spariscono poco tempo dopo essere arrivati e una volta che li perdi, non li recuperi più. L'idea alla base del bando è capire come riuscire a sviluppare un progetto personalizzato per ogni ragazzo o ragazza, per mettere ciascun minore nelle condizioni di proseguire il proprio progetto di vita cercando di imparare l'italiano, di finire la scuola e quindi tutelandosi. Vista l'esperienza molto positiva della prima edizione, abbiamo deciso di impegnarci in una nuova edizione di “Never Alone” e alcuni mesi fa abbiamo lanciato un nuovo bando che si è chiuso ai primi di settembre. In questo caso il bando è focalizzato sul portare i ragazzi verso l'autonomia lavorativa e di vita, attraverso la realizzazione di progetti in grado di sostenere i minori che non riescono ad accedere autonomamente al mercato del lavoro, grazie all'attivazione di percorsi personalizzati volti a sviluppare competenze e ad attivare capacità individuali. Si tratta di un'esperienza che è cresciuta nel tempo, stimolando altri soggetti a partecipare, come ad esempio la Fondazione Peppino Vismara, che quest'anno ha aderito all'iniziativa.
Tra le tematiche al centro delle attività portate avanti dall'Associazione, vi è quella dei giovani e del contrasto alla povertà educativa. Quali progetti avete realizzato in quest'ambito? Rispetto a questa tematica, quali sono i bisogni e le priorità d'intervento che avete riscontrato nei contesti in cui operate?
La nostra presidente, Patrizia Greco, tiene molto a questo tema, che per lei rappresenta una priorità rilevante a livello nazionale, su cui ci ha chiesto fin dall'inizio di impegnarci e di comprendere quali fossero i bisogni e che tipo di risposta potevamo dare a questi bisogni. La nostra scelta è stata quella di concentrare i nostri sforzi su iniziative che avessero una valenza nazionale e che puntassero a contrastare la povertà educativa attraverso la possibilità di migliorare la relazione all'interno degli ambienti scolastici. Sembra un discorso molto astratto, ma in realtà è molto concreto: l'azione che abbiamo immaginato è un'azione che punta a migliorare gli ambienti scolastici intesi come contesti di apprendimento e luoghi di relazione. In linea con questa visione, abbiamo costruito insieme alla Fondazione Reggio Children un progetto che portiamo avanti da tre anni e che si chiama “Fare Scuola”, con l'obiettivo di realizzare 60 interventi in 60 scuole statali, concentrandoci sulla fascia di età dai 3 ai 10 anni, quindi sulla scuola dell'infanzia e sulla scuola primaria. Abbiamo impostato questo lavoro, che per noi era completamente nuovo, partendo dalla consapevolezza che oggi gli insegnanti sono i veri protagonisti dell'ambiente scolastico, nel senso che sono i depositari di tutti gli strumenti didattici. Così abbiamo iniziato a fare una mappatura delle scuole che, dal nostro punto di vista, potevano essere interessate ad accogliere questa opportunità di cambiamento, a discutere con ognuna di queste scuole, con gli insegnanti e con i dirigenti scolastici rispetto al come poteva essere cambiato l'ambiente della scuola di appartenenza. Le loro idee ed esigenze sono state raccolte ed elaborate da un team composto da pedagogisti e architetti e ha dato luogo a degli interventi che hanno cambiato in maniera significativa alcuni ambienti scolastici, offrendo nuove opportunità educative e didattiche, che i bambini hanno colto immediatamente senza che fosse necessario spiegarle. Quegli stessi spazi in cui i bambini avevano sempre fatto le stesse cose sono diventati dei luoghi nuovi, destinati ad attività di tipo diverso. Il progetto “Fare Scuola” ha dato vita a un vero e proprio modello, in quanto l'esperienza di queste scuole è oggi un'esperienza unica per la sua originalità, perché si agisce sulla relazione, sul benessere degli insegnanti, dei bambini, dei genitori, che passa attraverso il rapporto con l'ambiente scolastico. Come dicevo prima, la Fondazione Reggio Children è partner del progetto e si occupa di seguire con le scuole l'aspetto della formazione degli insegnanti, di come utilizzare questi spazi. Tutte le scuole che hanno partecipato all'iniziativa oggi manifestano gli effetti positivi del cambiamento, in una maniera davvero sorprendente. A me piace dire che “Fare Scuola” è un progetto “fuori controllo”, che può sembrare una cosa negativa e invece rende proprio l'idea della riuscita del progetto, nel senso che gli insegnanti sono entusiasti, si vedono, si sentono, si scambiano esperienze. Ad esempio la scuola di Verbania è andata a vedere quella di Scicli nel ragusano e la scuola di Scicli è andata a vedere quella di Verbania, in maniera del tutto spontanea. I risultati raggiunti attraverso questo progetto ci hanno confermato che questo dovrà essere il nostro impegno anche nel futuro. In particolare, lavorare per la cultura della scuola e la cultura dell'educazione sarà la nostra focalizzazione per il prossimo anno.
In che modo la vostra Associazione monitora l'erogazione dei propri contributi? Siete soliti fare una valutazione dell'impatto sociale generato dalle vostre attività?
Abbiamo portato avanti delle valutazioni su alcuni progetti specifici, in particolare sul progetto “Viva gli anziani. Una città per gli anziani, una città per tutti”, che è un progetto pluriennale che realizziamo insieme alla Comunità di Sant'Egidio e che cerca di aiutare gli anziani a vivere in autonomia, assistiti nelle pratiche quotidiane. Questo progetto è stato valutato da Human Foundation, che ne ha analizzato l'impatto in particolare sulla città di Roma e sulla popolazione anziana di Ferentino. Inoltre, con Fondazione Reggio Children stiamo mettendo a punto uno strumento di valutazione per il progetto “Fare Scuola”. Dal momento che Enel Cuore ha sostenuto più di 600 progetti nel corso di 15 anni di attività, preferiamo concentrarci maggiormente sulla valutazione delle iniziative pluriennali, per capire dove e come continuare ad investire. Questo perché i nostri risultati contribuiscono agli obiettivi di sostenibilità più generali dell'azienda e quindi interessa anche all'azienda misurare il ritorno sociale delle attività di Enel Cuore.
A questo proposito, l'essere un ente del Terzo Settore legato ad un grande Gruppo industriale come Enel Spa, richiede un'attenta riflessione sul grado di indipendenza e su quanto le vostre attività siano modellate e/o influenzate dal funzionamento delle aziende a cui fate riferimento. Come viene gestito questo non semplice equilibrio, tra autonomia e interessi aziendali, dalla vostra Associazione?
Enel Cuore, da un punto di vista organizzativo, rientra tra le attività che Enel realizza nel campo della sostenibilità, ma abbiamo una nostra governance, un nostro bilancio, quindi da un punto di vista giuridico siamo un ente autonomo e indipendente. Però, di fatto, è per noi molto interessante cercare di integrare le nostre azioni con quelle che Enel porta avanti nell'ambito della sostenibilità. Quindi c'è indipendenza dal un punto di vista delle nostre scelte erogative, ma allo stesso tempo c'è un allineamento importante da un punto di vista di macro-obiettivi, come ad esempio gli SDGs, su cui Enel ha preso un impegno a livello globale. Per Enel Cuore l'azienda è una grande opportunità, perché ci aiuta a vedere tantissime questioni che da soli non vedremmo e ci offre una possibilità di osservazione della realtà che non è vincolante. Quindi più che di equilibrio, parlerei di una grande solidarietà, di uno scambio ricco di stimoli reciproci che noi diamo all'azienda e che a sua volta l'azienda dà a noi.
Avete mai pensato di diventare una Fondazione d'impresa?
A questo proposito ci stiamo facendo delle domande, perché vorremmo valutare attentamente le opportunità offerte dalla riforma del Terzo Settore. Siamo in osservazione e in ascolto e stiamo facendo un'analisi accurata sull'eventuale cambio di natura giuridica.
Secondo lei, quali azioni e interventi sono necessari per rendere il contributo del settore filantropico maggiormente incisivo ed efficace?
Pensando alla nostra esperienza, credo che oggi i soggetti filantropici siano diventati dei buoni facilitatori e mediatori con il mondo delle istituzioni. A partire da ciò, ritengo che il nuovo ruolo della filantropia istituzionale potrebbe essere proprio questo, ossia quello di far comprendere particolari contesti alle istituzioni e quindi facilitare il dialogo tra pubblico e Terzo Settore, che sono due mondi che viaggiano spesso su frequenze diverse. La filantropia istituzionale ha la possibilità di regolare le frequenze, perché ha compreso molto bene come opera il Terzo Settore e, in qualche situazione, ha compreso anche come si rapportano le pubbliche amministrazioni rispetto a determinate tematiche. Pertanto se non è possibile una capitalizzazione dell'impegno economico, è però possibile – e potrebbe esserlo non da domani, ma già da oggi – una capitalizzazione della conoscenza di tutto il mondo della filantropia, messa a disposizione della mediazione tra mondo delle istituzioni e Terzo Settore. Oggi le istituzioni pubbliche sono molto più aperte al dialogo, sono molto più in ascolto, perché hanno capito che da sole non sono più in grado di affrontare le nuove sfide sociali ed economiche delle società contemporanee, e questa è un'occasione che la filantropia istituzionale dovrebbe cogliere.
Per concludere, ci sono delle nuove aree di intervento nelle quali Enel Cuore sta pensando di lavorare nel prossimo futuro?
Enel Cuore nel prossimo anno concentrerà le proprie azioni su interventi rivolti alla cultura dell'educazione e dell'istruzione, perché abbiamo visto che concentrando i nostri sforzi su obiettivi molto precisi il cambiamento può essere provocato più facilmente. Questo obiettivo sarà sicuramente portato avanti in collaborazione con altri enti, attraverso la costruzione di partnership e reti. Quello che stiamo cercando di capire è in quali ambiti calare le nostre attività, perché l'educazione e l'istruzione sono contesti molto vasti e vorremmo individuare dei settori più specifici per cercare di focalizzare in maniera molto mirata i nostri interventi. Sicuramente continueremo a lavorare in Italia, nei territori che manifestano un disagio maggiore. In linea di massima, non vogliamo essere i creatori di modelli da applicare, in quanto crediamo che il vero cambiamento che possiamo provocare sta nel cambiare la cultura. Non vogliamo cambiare i modelli, ma la cultura di chi ha la responsabilità di cambiare tali modelli e le conoscenze per poterlo fare.
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Photo credits: Courtesy of Novella Pellegrini