L'impresa sociale si racconta
Si è svolta a Firenze l'undicesima edizione del Colloquio Scientifico sull'Impresa Sociale organizzato da Iris Network, la rete nazionale degli istituti di ricerca sull’impresa sociale, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa (DISEI) dell’Università degli Studi di Firenze. Il Colloquio Scientifico ha rappresentato un'importante occasione di confronto e riflessione per tracciare le linee evolutive di questa particolare forma di impresa privata che persegue obiettivi di interesse generale, e che si presenta come un soggetto ibrido rispetto all'agente economico classico.
In un momento storico in cui i fallimenti del mercato si sono progressivamente allargati, e la capacità d'azione della sfera pubblica si è indebolita – attivando nuovi spazi per attività non puramente capitaliste – l'impresa sociale diventa un soggetto capace di contribuire alla creazione del benessere collettivo attraverso la produzione e l'offerta di beni comuni e relazionali. Con l'intento di indagare il fenomeno, sia da un punto di vista teorico che pratico, la due giorni fiorentina ha visto la partecipazione di esperti e studiosi del settore, rappresentanti del mondo accademico e della ricerca, imprenditori sociali ed esponenti del Terzo Settore.
La giornata di venerdì 26 maggio è stata dedicata alla presentazione e discussione di paper e progetti di ricerca, che hanno esplorato molteplici tematiche nell'ambito dell'impresa sociale, volte a indagare la propensione all’imprenditorialità sociale, l'adozione di strumenti e metriche di valutazione d'impatto sociale, i modelli di innovazione diffusa, il rapporto tra impresa sociale e welfare, e le azioni di ricerca e sviluppo atte a favorire la nascita e lo sviluppo delle imprese sociali. Numerosi i paper presentati, tutti di elevato valore scientifico e tutti concordi nel ritenere che l'impresa sociale e le nuove frontiere del Terzo Settore siano due ambiti di studio che necessitano di dati, di tempo e risorse, e soprattutto di competenze specifiche per essere analizzati e compresi data la loro elevata complessità.
Tra le ricerche al centro del Colloquio Scientifico, il contributo di Giacomo Boesso e Fabrizio Cerbioni del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell'Università degli Studi di Padova, si è concentrato «sulle Fondazioni e sulla loro governance, condividendo la tesi che esse rivestano un fondamentale ruolo di “innesco” o “motore” di iniziative sociali, sussidiarie ed integrative rispetto all’azione pubblica, e individuando nella qualità e nell’articolazione dell’azione degli organi di governo le principali discriminanti per garantire il successo delle loro iniziative». Partendo dalla distinzione tra approccio deterministico alla filantropia, tipico dei contesti anglosassoni, e approccio solidaristico di matrice europea, lo studio di Boesso e Cerbioni ha evidenziato che «la declinazione della filantropia istituzionale promossa dalle Fondazioni Italiane passa per la ricerca di un delicato equilibrio tra un approccio più deterministico ed uno maggiormente solidale, alla ricerca dei vantaggi di entrambi. Approcci che non necessariamente sono in conflitto, ma la cui convivenza nella stessa Fondazione deve essere oggetto di opportuna discussione e mediazione da parte degli organi di governo. Ciò anche in considerazione del fatto che non può esistere un modello unico di filantropia, valido per ogni occasione e per qualsiasi contesto».
La ricerca presentata al Colloquio Scientifico da Giacomo Boesso costituisce un esercizio di analisi su dati soggettivi e di opinione, raccolti intervistando un campione ristretto di decision maker del settore filantropico italiano. I risultati ottenuti evidenziano che la filantropia strategica di stampo anglosassone risulta essere maggiormente efficace per gli enti filantropici italiani quando vi é: «un’azione di governo in grado di qualificare la Fondazione come un filantropo più sofisticato rispetto all’agilità ed alla dinamicità di singoli donatori individuali; un’attività di pianificazione che consenta alla Fondazione di erogare delle risorse come se si trattasse di un “seme” su cui poi far germogliare una più complessa progettualità sociale; la presenza di consiglieri e amministratori attivi sul territorio per supportare la partecipazione civile e l’associazionismo sociale di altri soggetti privati; la concreta possibilità di valutare in maniera consapevole e per quanto possibile oggettiva l’impatto degli interventi finanziati; un livello di contabilità analitica molto dettagliato con strumenti manageriali, quali il budget, declinati a livello di singolo intervento». L'indagine empirica, che in una prima fase ha riguardato il rapporto tra governance e filantropia strategica in 35 diverse Fondazioni di Origine Bancaria, risulta essere ancora in corso presso altre Fondazioni diverse dalle FOB grazie alla collaborazione di ASSIFERO e della Fondazione Lang Italia.
La giornata conclusiva del Colloquio Scientifico sull'Impresa Sociale ha visto il susseguirsi di due sessioni plenarie dedicate rispettivamente alla riforma del Terzo Settore e alla Valutazione di Impatto Sociale (VIS). Durante la prima parte, interpreti e operatori si sono confrontati sui contenuti dei decreti di attuazione, a quasi un anno dalla Legge Delega per la riforma del Terzo Settore e dell'impresa sociale. Lasciando aperti alcuni interrogativi, i relatori invitati a discutere hanno messo in luce i punti controversi che, dal loro punto di vista, rischiano di complicare ulteriormente il funzionamento degli enti del Terzo Settore invece di semplificarlo. Maria Vita De Giorgi dell'Università degli Studi di Ferrara ha sottolineato, ad esempio, che il nuovo codice del Terzo Settore prediligendo un intervento del diritto amministrativo e del diritto tributario sarà un codice in movimento, in cui le normative restano tante e in cui il “groviglio” legislativo rimane. In linea con la posizione della professoressa De Giorgi, Carlo Borzaga dell'Università degli Studi di Trento ha affermato che «i decreti di attuazione da un lato giustamente identificano nuove tipologie di organizzazioni – come gli enti filantropici - che mancavano, perchè oggi un ente che fa raccolta fondi non ha un suo status giuridico, ma dall'altro non eliminano tutta una serie di organizzazioni e contrapposizioni che probabilmente non hanno più senso di esistere, complicando la normativa».
Nella sessione finale della seconda giornata, è stato affrontato il tema della Valutazione di Impatto Sociale con l'intento di fornire alcune raccomandazioni e di metterne in evidenza le potenzialità, quale strumento capace di permettere un confronto alla pari tra realtà molto diverse tra loro. A questo proposito, Paolo Venturi - direttore di AICCON, Centro Studi promosso dall’Università di Bologna e dall'Alleanza delle Cooperative Italiane, e di The FundRaising School – ha richiamato l'attenzione sul fatto che «non possiamo eliminare l'evidenza della variazione tra uno stadio e l'altro, perchè questa variazione è un elemento rilevante e significativo del valore. In quest'ottica la Valutazione di Impatto Sociale (VIS) è uno strumento utile perchè permette di catturare questa variazione, che oggi è sempre più significativa per diversi motivi. In primo luogo c'è un'evoluzione enorme all'interno del Terzo Settore, perchè il tratto della socialità non è più il tratto della responsabilità sociale ma è ormai un input dentro il meccanismo di produzione del valore; in secondo luogo il tema dell'impatto può essere uno strumento utilissimo per dare espressione alla biodiversità della cooperazione sociale». A riprova di ciò, Venturi ha voluto evidenziare che «la valutazione dell'impatto non è un limite ma anzi rappresenta lo strumento per dare una dimensione al valore, che non può essere più derubricato solamente come sociale. Oggi l'impatto sta nell'intenzionalità dei soggetti di usare questa strumentazione per avviare dei processi, connessi alla “value proposition” di ciò che fanno. Quindi il tema dell'impatto non è più un vincolo, o un elemento che ha a che fare solo con la rendicontazione, ma è un'espressività del valore del sociale. E per fare questo c'è bisogno che l'impatto non sia una gabbia o soltanto un numero». A conclusione dei lavori, Eleonora Vanni - presidente della Conferenza permanente delle autonomie sociali della Regione Toscana – ha sottolineato che la valutazione d'impatto sociale non può essere un mero prodotto di marketing per rendere più appetibile la propria organizzazione agli occhi di un eventuale finanziatore. Per fugare questo rischio, dal suo punto di vista diventa necessario condividere in maniera trasversale, tra soggetti simili, indicatori e strumenti di valutazione, al fine di «evitare che la valutazione d'impatto sociale possa diventare lo storytelling all'interno del bilancio sociale, e di consentire la comparabilità» tra le diverse organizzazioni del Terzo Settore.
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