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Verso l’artista imprenditore

  • Pubblicato il: 14/06/2016 - 17:00
Rubrica: 
DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di: 
Giangavino Pazzola

In relazione ai temi della sostenibilità economica, l’attuale ecosistema delle produzione culturali indipendenti ci offre diverse evidenze. Una di queste è lo sviluppo di esperienze embrionali d’impresa culturale, che riflette l’idea di indipendenza come autonomia gestionale e finanziaria. Ideatori e fornitori di servizi culturali, queste realtà sembrano sviluppare capacità di innovazione dei set organizzativi e dei pacchetti d’offerta al pubblico. Incontriamo il duo torinese ConiglioViola, autori di un progetto vincitore del Bando ORA! – prodotto dall’Accademia degli Artefatti di Roma – e nella short-list dei progetti selezionati dal Bando Culturability 2016

Torino. Produzioni culturali premiate sui temi di rigenerazione urbana e inclusione sociale attraverso la cultura. Autori considerati come innovativi per il focus specifico in relazione alle nuove tecnologie. In ordine cronologico, sono queste le ultime due issue sulle quali si è concentrato il lavoro di ConiglioViola, lasciando trasparire un nuovo modo di agire nell’arte contemporanea in relazione a progetti economicamente sostenibili, alla capacità di intessere relazioni e attrarre risorse da attori diversi (vedi varie fondazioni o privati) – sperimentando strumenti diversi per la costituzione del budget di produzione del progetto. Il risultato evidenzia un unicum o un modello? Fuori dal sistema di mercato e senza una galleria di riferimento. La pratica artistica come risposta alla crisi personale e creativa? Un percorso di sostenibilità che si configura, esso stesso, come produzione di nuovo senso. Un senso fatto di lunga gestazione dei pensieri e di attivismo manageriale, che si incontrano – o cercano di farlo – nel miglior momento opportuno.

ConiglioViola è un duo artistico nato circa 16 anni fa, dal sodalizio tra Brice Coniglio e Andrea Raviola. Dopo essersi separati per un periodo, durante il quale Coniglio ha dato vita a KaninchenHaus - progetto più spinto sulle dinamiche di intermediazione del processo artistico - i due artisti ricollegano le proprie ricerche intrecciandole in un percorso comune all’insegna dell’autorganizzazione. Approfondiamo con Brice le caratteristiche di operare nel mondo artistico, a cavallo tra mercato e piattaforma per altri talenti.

Chi (o cosa) è ConiglioViola? Ci parlate della vostra pratica artistica e dei passaggi principali nella progressione della vostra carriera?
Nei primi anni 2000, il web è stato per noi il primo territorio di sperimentazione, dapprima ludico e privo di ambizioni professionali, attraverso il quale il marchio ConiglioViola si è diffuso, grazie ad esperimenti insoliti e pop, divenendo quasi un oggetto di culto tra gli artisti più giovani. E’ solo verso il 2005 che, sollecitati dall’interesse crescente della stampa e di alcuni curatori, iniziamo a considerare in chiave professionale il valore della nostra ricerca artistica. Intanto l’ansia di misurarci con nuovi linguaggi ci aveva spinto verso la creazione di progetti musicali, video, performance, installazione e teatro multimediale. Un’attitudine tentacolare corrispondeva alla volontà, tuttora intatta, di sottrarsi a specializzazione o definizione identitaria, per riaffermare - grazie al meta-linguaggio digitale - una visione rinascimentale dell’artista. Il 2007 è un anno denso di nuovi progetti, caratterizzato da un’attenzione mediatica nei nostri confronti che travalica le sfere dell’arte contemporanea. Nel 2008 presentiamo la videoinstallazione Fine Primo Tempo alla Rotonda della Besana di Milano, opera nata da una rilettura in chiave escatologica del brano “Ci sarà” di Al Bano & Romina, di cui siamo interpreti. L’opera diventa involontariamente profetica di una “interruzione delle trasmissioni”, causata dalla nostra improvvisa separazione e da una serie di delusioni, su tutte la rottura del rapporto di fiducia con la nostra galleria di riferimento e con alcuni dei curatori che avevano sostenuto il nostro lavoro.
Il periodo che segue è segnato da una necessità di ridefinire identità e ruolo all’interno di un sistema strutturato, del quale solo in quella fase iniziamo a prendere consapevolezza. Una fase di crisi e di ripensamento, interrotta da due eventi importanti: lo spettacolo teatrale Concerto senza titolo e la personale Sono un pirata/Sono un signore al PAC di Milano che raccoglie le greatest hits di ConiglioViola 2001-2008. In quest’ultima esperienza, per la prima volta, affrontiamo anche le problematiche legate alla produzione. Il titolo dell’esposizione costituisce una dichiarazione di intenti, evocando la possibilità per un giovane artista di confrontarsi con un sistema istituzionale mantenendo intatta la propria vocazione “piratesca”. Una scelta di radicale autonomia condotta in un contesto ufficiale, fonte di grande accrescimento quanto di effetti collaterali.
Nonostante il grande successo di pubblico dell’evento, negli anni successivi ConiglioViola si trova paralizzato ad agire. Nasce così il desiderio di trasferire l’esperienza maturata nei processi di autoproduzione verso una nuova entità - KaninchenHaus - la cui missione non fosse la mera creazione, quanto attivare un volano per le progettualità di altri artisti attraverso l’invenzione di dispositivi non convenzionali di residenza, come il Pirate Camp realizzato alla Biennale di Venezia 2011 (con il sostegno della Fondazione Cariplo) o come i successivi progetti a Porta Palazzo (sviluppati nell’ambito di Generazione Creativa). E’ solo nel 2015 che KaninchenHaus trova un punto di equilibrio con ConiglioViola, permettendoci di annunciare la nostra réunion e il Secondo Tempo.
 
Ulysses Now è tra i venti vincitori del Bando ORA! indetto dalla Compagnia di San Paolo. Si tratta di un progetto di riscrittura e di reinterpretazione ispirata all’Ulisse di Joyce, che prenderà forma anche grazie all’utilizzo delle reti 4G e di un’app dedicata. Potreste approfondire l’idea di progetto in relazioni alla concezione di attori, spazio e tempo?
Ulysses Now, che verrà realizzato in collaborazione con Accademia degli Artefatti, segnerà il nostro ritorno al teatro. Daremo corpo a una rappresentazione che incrocia letteratura, performing arts, arti visive e cinema per tentare una trasposizione crossmediale del capolavoro dello scrittore irlandese, basata su un format inedito concepito per questo progetto: il "live movie". Utilizzando le reti 4G e un’app dedicata progettata da TIM Strategy&Innovation, opereremo dal vivo per montare e trasmettere in real time i 18 capitoli dal libro, destrutturati e riscritti in tre sequenze parallele, rappresentate simultaneamente dai tre protagonisti in un’unica giornata in diversi luoghi della città di Torino. Si incroceranno così situazioni e contesti reali, ripresi da dispositivi (professionali e non) e trasmessi contemporaneamente tanto in live streaming come in uno spazio fisico, dove gli attori si incontreranno realmente per dare vita agli episodi finali dell’opera, che così, nel suo climax, si sposterà dagli schermi virtuali al palcoscenico reale.Un altro aspetto importante sarà il lavoro di riscrittura dell’opera, condotto dagli stessi attori, attraverso un laboratorio partecipativo che prevederà di utilizzare le timeline dei social network come una proiezione contemporanea dello stream of cousciousness.

 
Un altro vostro progetto, viadellafucina16, è nella short-list dei 15 finalisti per il bando Culturability, promosso da Fondazione Unipolis per sostenere progetti culturali innovativi ad alto impatto sociale mirati a rigenerare spazi da condividere. Ci parlate delle caratteristiche di questo progetto?
viadellafucina16, a cura di KaninchenHaus, rappresenta un esperimento di innesto della pratica artistica nel tessuto vitale di una comunità connotata. Attraverso una open call internazionale, numerosi artisti saranno invitati a trascorrere periodi di residenza all’interno di un condominio che sorge nell’area di Porta Palazzo a Torino, ospiti degli stessi inquilini, per dare vita a progetti da realizzare con la partecipazione degli abitanti dello stabile e del quartiere. Il condominio, che attraverso questo processo si aprirà alla città per diventare nuovo centro di produzione e ricerca, rappresenta uno spazio emblematico di investigazione, non solo perché si tratta di un’entità al confine tra bene privato e bene comune ma anche in quanto luogo in cui si esperisce la prima forma di democrazia.

In Ulysses Now è prevalente l’aspetto artistico, mentre in quest’ultimo emerge un aspetto più legato alla curatela e organizzazione culturale. Come vi approcciate alla progettualità su bando?
Nessuno dei nostri progetti è mai concepito in vista della partecipazione a un bando. I bandi ci offrono solo strumenti per realizzare progetti che hanno vissuto un lungo periodo di immaginazione e incubazione prima che si verifichino le circostanze che ne permettono l’attuazione. La differenza che ben rilevi trai due progetti risponde al fatto che Ulysses Now vede ConiglioViola coinvolto in quanto ideatore e autore, ma la produzione e la curatela sarà di Artefatti. viadellafucina16 è invece un progetto curato da KaninchenHaus, che per lo più promuove progetti che coinvolgano altri artisti. Esiste in qualche modo una complementarietà tra le due entità. ConiglioViola lavora in maniera autoriale misurandosi con media e linguaggi, con l’intento di mettere in discussione stili, tecniche e meccanismi di fruizione dell’opera. KaninchenHaus vuole essere attivatore di nuovi processi condivisi, attraverso i quali gli artisti possano trovare nuove modalità per relazionarsi al sistema e alla società e ridefinire il proprio ruolo nella comunità.

Come questo metodo di lavoro impatta nella rilettura della vostra pratica artistica? Come sono cambiate le opere e quali innovazioni nel processo di produzione?
Le attività di KaninchenHaus sono fiorite nel periodo tra il 2010 e il 2014, anni in cui ConiglioViola giaceva in letargo. KaninchenHaus ha lavorato sui temi dell’arte pubblica e della mobilità dei giovani artisti, confrontandosi con operatori, istituzioni, collettivi, artist run space attivi sia sul territorio sia a livello internazionale. Senza dimenticare l’esperienza assembleare maturata all’interno della Cavallerizza nel primo anno di occupazione. Tali esperienze non potevano che lasciare traccia nel nuovo corso dell’attività di ConiglioViola, ricominciata ufficialmente nel 2015 con l’opera d’arte pubblica Le notti di Tino di Bagdad. Tale progetto si è sviluppato in gran parte all’interno degli spazi della Cavallerizza, dove gli occupanti sono stati coinvolti sia in qualità di attori sia nelle mansioni tecniche, per poi invadere la città e coinvolgere alcune tra le principali istituzioni culturali cittadine, come il Castello di Rivoli o il Salone del Libro, ma anche importanti aziende (TIM, GTT) creando una rete di collaborazioni quanto meno insolita tra soggetti assai eterogenei.

Nella vostra esperienza artistica, che ruolo ha il collezionismo e la committenza convenzionalmente concepita nel mondo dell’arte? Qual è il vostro target di riferimento?
Ragionare in termini di target è alieno al nostro modo di concepire un progetto artistico e così pure una riflessione a priori sul collezionismo. Quando pensiamo a un nuovo lavoro cerchiamo di sfidare il mondo del collezionismo e le mode di cui si nutre, incoraggiandolo a confrontarsi con nuove modalità di fruizione. Per esempio le opere de Le notti di Tino di Bagdad sono basate sull’utilizzo della realtà aumentata. Lo spettatore deve inquadrare le immagini con il proprio cellulare per poter vedere le opere animarsi, e quindi l’opera consiste in un oggetto materiale che porta con sé un elemento immateriale e invisibile. I nostri progetti trascendono generalmente l’idea di opera. La formalizzazione di un’idea in opere collezionabili avviene al termine di processi lunghi e articolati e cerca di restituirne la complessità. Anche qui Le notti di Tino di Bagdad rappresenta l’esempio di un progetto che vive nello spazio pubblico da oltre un anno, e che ha generato iniziative quali workshop, conferenze, contest di riscrittura. Soltanto ora, a conclusione di questo iter complesso, stiamo lavorando alla realizzazione delle opere che potranno essere oggetto dei desideri di un collezionista.

Indipendenza e imprenditorialità sono sinonimi, per voi?
Parlare di indipendenza per un’organizzazione culturale solo perché sviluppa progetti in maniera autonoma, costituisce sicuramente un utilizzo improprio del termine, dal momento che per la realizzazione dei progetti si è quasi costantemente dipendenti dall’erogazione di contributi esterni, quindi a una forma indiretta di controllo basata sulle economie. Troviamo il concetto di imprenditorialità sicuramente più stimolante, ed è interessante vedere come sia a livello europeo sia a livello delle fondazioni italiane, si stia sviluppando sempre più una consapevolezza in tal senso, attraverso l’attivazione di strumenti che incoraggiano nuove forme di imprenditorialità culturale.

Con Le notti di Tino di Bagdad avete affrontato una (fortunata) campagna di crowdfunding che ha raggiunto l’obiettivo dei 16.000 euro necessari al completamento del progetto con largo anticipo rispetto alla chiusura della campagna. Al vostro fianco ci sono istituzioni culturali, grande attenzione e sostegno da sponsor tecnici, reti di relazioni. Come questa specializzazione lavorativa incide sulla pratica artistica?
Le notti di Tino di Bagdad è un’opera d’arte pubblica sviluppata in Realtà Aumentata. Attualizzando le teorie della Letteratura Combinatoria e tentandone una trasposizione nello spazio reale, abbiamo lavorato per trasformare lo spazio pubblico della città di Torino in un cinema diffuso a partire dalla rielaborazione in chiave cinematografica di un romanzo novecentesco. Il progetto “costringe” gli “spettatori erranti” a muoversi attraverso 26 fermate dell’autobus per rintracciare altrettanti manifesti i quali, una volta inquadrati attraverso un’app gratuita, si animano magicamente per restituire i frammenti di una narrazione. Tra i tanti partner necessari alla realizzazione di quest’opera, avviata grazie a Lumiere di Fondazione CRT, abbiamo avuto la fortuna di trovare grande complicità da parte di TIM, che ha sviluppato per noi gratuitamente l’app, e del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli che ci ha permesso di coinvolgere gli studenti delle scuole per dare vita a un contest di riscrittura partecipativa. Nel concepire un progetto di tale portata, per giunta prodotto con modeste risorse economiche, è indispensabile considerare il rapporto con istituzioni e aziende come parte integrante della pratica artistica.

Cosa non vi ho chiesto e ritenete utile evidenziare?
Il nostro lavoro è il risultato di un costante desiderio di sfida a modelli esistenti, tale sfida avviene non solo sul piano linguistico ed epistemologico ma deve confrontarsi oggi anche con una riflessione sui modelli di produzione e sulle economie. Da qui arriva la necessità, per dare seguito ai progetti, di misurarsi con contributi e bandi, mantenendo tuttavia intatta la nostra natura di banditi.

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