Una continuità difficile
Perseguire il disegno di un nuovo ruolo per la cultura non è riflessione individuale e non può evitare di essere opera d’intelligenza collettiva. In occasione della presentazione della Relazione Annuale 2014 - La Cultura in Piemonte, pubblichiamo il testo introduttivo di Luca Dal Pozzolo, che propone un quintetto di questioni utile per alimentare ulteriori riflessioni in merito
La valutazione dei dati contenuta nel report dell’anno scorso potrebbe essere riproposta anche oggi, in termini molto simili, non perché contenesse commenti d’occasione validi per tutte le stagioni, ma perché la situazione attuale appare caratterizzata da una forte continuità e analoghi chiaroscuri. Tuttavia, anche solo un anno in più è un evento che introduce nello scenario, suo malgrado, un fattore degno di commento, una continuità che non ci si può esimere dal valutare; dunque, si proverà sulla tela di fondo delle considerazioni dell’anno scorso (alle quali si rimanda chi volesse approfondire[1]) a ritagliare i fenomeni e le tendenze che contribuiscono a disegnare questa continuità di problematiche.
Innanzitutto i segnali positivi, che si consolidano rispetto all’anno passato e fanno intuire come il 2013 potrebbe rappresentare «il fondo» di un trend negativo, a partire dal quale recuperare poco a poco il segno positivo. Lo dicono, anche se a volte molto timidamente, i dati Istat sulla partecipazione all’offerta culturale: rispetto al 2013 si allarga la base di partecipazione dei piemontesi a mostre e musei, ma anche allo spettacolo dal vivo, aumenta la lettura di libri e quotidiani, specie online, cresce l’uso di computer e della rete. Non sempre, tuttavia, questo allargamento della base di coloro che partecipano ad attività culturali – elemento comunque positivo – si traduce in un aumento di biglietti venduti o di presenze: se tengono le attività teatrali, un calo sensibile si registra per la musica e anche il cinema mostra un flessione nel 2014 che attenua il portato positivo dell’incremento del 2013 sul 2012[2].
Il settore che più si dimostra vitale è quello dei musei e dei beni culturali nell’area metropolitana di Torino, con un incremento del 6% sia del 2013 sul 2012 che del 2014 sul 2013; si superano i 4 milioni di visite annue e anche la vendita degli abbonamenti oltrepassa la soglia delle 100 mila tessere vendute per un totale di visite effettuate con l’Abbonamento Musei superiore alle 750 mila.
Oltre alla domanda interna concorre a questo risultato l’incremento costante dei flussi turistici soprattutto nel capoluogo regionale e provincia. Torino appare oggi iscritta a pieno titolo tra le mete del turismo culturale europeo e beneficia di un’onda lunga che, a partire dai Giochi Olimpici Invernali, accompagna la trasformazione della città e ne sa offrire sia a livello nazionale che internazionale un’immagine brillante e culturalmente ricca, mentre più statica appare la situazione per i beni culturali nel resto del Piemonte. Si riscontra qui una storica debolezza di Torino nell’esercitare una capitalità capace di trascinare il resto dei territori regionali, assai articolati e differenziati per caratteri e gravitazioni, nelle proprie dinamiche positive; se le presenze turistiche mediamente in regione aumentano di poco meno del 3%, a Torino l’incremento è doppio, superato solo dalla provincia di Novara e di Asti, tuttavia attestate su dimensioni di presenze assolute assai più contenute.
La tendenza alla crescita del sistema museale metropolitano, non poteva che confermarsi nei primi mesi del 2015, sospinta anche dal flusso di quasi due milioni di turisti in occasione dell’Ostensione della Sindone. Il deciso incremento delle presenze in città ha portato a un aumento delle visite museali, (che si è concentrata soprattutto nei luoghi centrali di Torino) del 17%, balzo di grande interesse, se rapportato al già ottimo risultato del 2014. L’inaugurazione del nuovo Museo Egizio, con le sue grandi performance di pubblico, ha concorso significativamente a questi risultati e iscrive una nuova e potente capacità d’attrazione in un sistema che va, via via, strutturandosi su dimensioni di rilievo europeo, dando continuità a una politica d’integrazione dell’offerta che data ormai un paio di decenni, come dimostra chiaramente il completamento del Polo Reale.
Da quest’angolo visuale, quindi, emerge una tendenza a una ripresa dei consumi culturali che la crisi aveva in qualche modo contribuito a comprimere, anche se in misura minore rispetto ad altri generi di consumo, e un rafforzamento della capacità di attrazione di Torino nello specifico segmento del turismo culturale, trainato dalle offerte del settore museale e dei beni culturali.
Se si passa all’analisi delle risorse, della spesa e degli investimenti per la cultura, anche in questo caso sembrerebbe che il 2013 (ultimo anno per cui è possibile ricostruire la spesa globale per la cultura) rappresenti l’assestamento su di un fondale, al termine di una tendenza negativa che ha accompagnato i lunghi anni di crisi. In valori attualizzati al 2013, i 246 milioni di Euro spesi per la cultura da Stato, Regione, Provincia, Comuni, Consulte e Fondazioni di origine bancaria ricalcano esattamente il risultato del 2012; una discesa che ha comportato, in termini reali da metà degli anni 2000, quasi un dimezzamento delle risorse disponibili. Nessun “rimbalzo”, quindi rispetto al 2012, ma un assestamento sullo stesso livello, con non pochi elementi di criticità: di fatto quasi tutti i contributori contraggono la loro spesa più o meno sensibilmente, dalle Province, via via svuotate di competenze, allo Stato, alla Regione, alle Fondazioni di origini bancarie. La tenuta sui livelli dell’anno precedente si deve essenzialmente al recupero della spesa da parte del Comune di Torino, che è in grado di compensare le altre flessioni, mentre l’insieme dei Comuni – senza l’apporto della Città di Torino – mostra un lieve incremento al di sotto del 2%. E’ certamente un segno, come lo è il fatto che Torino si distingua nuovamente per quote di spesa rispetto agli altri capoluoghi di Città Metropolitane, superata dalla sola Firenze, anche se si tratta di un segno ancora flebile, non sufficiente a rappresentare una decisa inversione di tendenza a livello dell’intera regione; d’altro canto, il perdurare delle difficoltà di bilancio delle maggiori istituzioni non rassicura nell’immediato futuro sul recupero di più elevati ordini di grandezza della spesa pubblica. Un rimbalzo vero, che porti a recuperare buona parte dei più di 200 milioni persi in dieci anni, non è al momento ipotizzabile e non rientra in un orizzonte temporale definibile. E, tuttavia, l’elemento di maggior criticità è di carattere strategico: una eventuale stabilità su questo livello di risorse disponibili non configura un adattamento a una situazione di stagnazione e di stasi, magari faticosa, ma in qualche modo sostenibile.
Molte strutture sono scomparse o si sono drasticamente ridimensionate e molte associazioni, imprese, fondazioni, istituzioni appaiono logorate, sotto-organico, in difficoltà finanziarie, conseguenti alla lunga traversata della crisi, non in grado di contrarre ancora, di risparmiare ulteriormente, anche tagliando e ridimensionando volumi di attività. Solo nei settori della Produzione Cinematografica, della Musica, del Teatro e della Radio- Televisione, secondo i dati Enpals si registrano più di 1.300 posizioni chiuse tra 2010 e 2013, su poco più di 8.000 e risultano scomparse 111 aziende su poco più di 700; si tenga conto, infine, che i dati Enpals in un ambito cosi composito e a bassa strutturazione come quello culturale registrano le perturbazioni avvertibili sulla sommità emergente dell’iceberg. Il disagio che questi dati indicano all’interno del milieu culturale è molto superiore al loro portato meramente quantitativo. Nel settore del teatro professionale, comparto tra i più strutturati nell’ambito dello spettacolo dal vivo, gli effetti di una progressiva erosione del tessuto imprenditoriale conseguente alle contrazioni del mercato sono visibili: una riduzione nella circolazione delle opere; un aumento delle strutture in deficit di bilancio e la contrazione degli emolumenti; l’emergere di doppi lavori come condizione di sopravvivenza e di fenomeni di autosfruttamento; la difficoltà alla nascita di nuove imprese che mostra profili di contraddittorietà con le politiche per la creazione start up.
Anche i dati di Symbola aiutano a interpretare il quadro; se nella filiera globale ascritta all’universo culturale[3] il valore aggiunto si attesta in Piemonte nel 2014 attorno 6,4 miliardi, sugli stessi livelli del 2012, si registra, nondimeno, una perdita di quasi 1500 imprese. Si tenga conto, tuttavia, che nel perimetro di Symbola vi sono sub-settori che marciano a differenti velocità o addirittura a sensi inversi: se alcune industrie culturali e creative del settore privato come nell’ICT o nei videogames sono in grado, anche in tempo di crisi, di performance positive, il settore più “centrale” della produzione culturale sostenuto da risorse pubbliche – musei, spettacolo dal vivo, attività culturali – mostra evidenti segni di sofferenza e di contrazione.
Peraltro, lo abbiamo già ripetuto più volte in passato, un dimezzamento in dieci anni delle risorse destinate a questi sub-settori centrali della produzione culturale, non equivale a una cura dimagrante, a una dinamica alla quale si possa far fronte solo con elementi di razionalizzazione, maggiori competenze manageriali e recuperi di efficienza: per quanto utili e capaci di alleviare parzialmente alcune delle criticità, tali interventi non sono certo sufficienti a riequilibrare la situazione.
Detto in altri termini a una stabilità della spesa complessiva su questi livelli non corrisponde una stabilità del sistema culturale regionale attuale, ma una sua ulteriore sofferenza con un incremento nel tempo di fattori di criticità, ovvero il perimetro delle attività, dell’offerta culturale e degli attori oggi operanti in Regione rischia di essere significativamente più largo di quanto sostenibile in futuro con questi stessi regimi di spesa.
Ammesso che le risorse non debbano contrarsi ancora significativamente, un attestarsi, in un futuro più o meno lungo, su questi stessi regimi di spesa implicherebbe una ridefinizione sensibile dell’offerta culturale, una difesa delle istituzioni e delle fondazioni partecipate dagli enti pubblici, di una serie di presidi culturali come i principali musei e il sistema delle biblioteche, seppur ridimensionato, e poco di più. Non è difficile immaginare in questo caso un perimetro stretto attorno alla difesa di un patrimonio consolidato e di grande importanza, ma probabilmente in grande difficoltà quanto a potenzialità di ricambio, capacità di nuovi attori ad affacciarsi alla scena culturale, possibilità di contribuire a disegnare le strategie di sviluppo fondate sull’innovazione e sulle potenzialità della società della conoscenza.
Si legge una divaricazione stridente tra diverse traiettorie:
- una perdurante retorica della cultura come chiave strategica per la costruzione della società futura, sull’onda del trattato di Lisbona e dell’enfasi crescente sui temi delle industrie culturali e creative nelle quali si ripongono grandi speranze di occupazione e costruzione di valore aggiunto, retorica che sembra quasi autonomizzarsi rispetto ai segnali di criticità e alle dimensioni economiche di un mercato delle industrie culturali e creative non certo comparabile con altri Paesi europei;
- un comparto culturale (per quanto si possa ragionare per grandi generalizzazioni) che, compresso e fragilizzato da una stagione di drastici ridimensionamenti, tende a uscire, nei fatti, dal radar delle attenzioni della politica, del pensiero strategico, della dimensione di sviluppo e a subire una pericolosa marginalizzazione fino ai limiti di una sovrastrutturalità esornativa, dimensione non certo prioritaria a fronte della gravità delle scelte da mettere in campo;
- una speranza, a volte chiaramente espressa, a volte implicita, a volte ancora travestita in previsione, che un nuovo ciclo economico possa riportare ai livelli di spesa del passato, quasi la crisi avesse rappresentato un momentaneo incidente di percorso e non una ridiscussione e messa in crisi profonda dei domini del welfare, fino a coinvolgere nel dibattito tra rigore e politiche espansive, i fondamenti stessi delle concezioni di sostenibilità economica.
Che una situazione sia caratterizzata da atteggiamenti e pensieri divergenti è tutt’altro che un male, anzi, spesse volte è sintomo di vitalità, argine al dominio deprimente di pensieri unici, ma ciò che in questo caso inquieta è il potere paralizzante delle contraddizioni che i diversi atteggiamenti comportano, una situazione di doppio vincolo, dove ci si ritrova incastrati fra “un passato bloccato e un avvenire ostruito”[4] , che contribuisce a rendere ancora più difficoltosa la ricerca di vie d’uscita.
Se dietro alle retoriche, ben condivise ed estese a livello europeo, il fatto che le componenti culturali[5] rappresentino risorse strategiche per orientare la società della conoscenza ha un qualche fondamento, allora è del tutto inadeguato un atteggiamento difensivo del mondo culturale, schiacciato a proteggere alcuni patrimoni consolidati e irrinunciabili, in attesa di una situazione migliore, di un nuovo ciclo espansivo che poco per volta includa al suo interno anche la cultura. Ed è ancora più paradossale che ciò avvenga in un momento in cui alcuni fattori di ripresa economica sembrano convergere verso un quadro meno fosco, quanto a prospettive di sviluppo.
Se beni e attività culturali rappresentano risorse strategiche per orientare e innervare di creatività, innovazione e (aggiungiamo noi) – di consapevolezza - le traiettorie del futuro, leggendone e interpretandone la complessità, allora è questo il momento in cui occorre riconoscere e contribuire a costruire le matrici del futuro; è oggi il giorno in cui partecipare a orientare le scelte verso futuri desiderabili; è adesso che si rendono necessarie visioni per il futuro; ora, dopo una stagione in cui la pesantezza egemone di un pensiero economico schiacciato su di un presente senza avvenire ha avuto come effetto la svalutazione di qualunque immaginario, mettendone in discussione la funzione vitale di elaborazione di alternative. Come se orientarsi verso un futuro desiderabile, potesse prescindere dal provare a immaginarlo e sognarlo, non solo a livello individuale, ma condiviso e incarnato in una società locale.
È in un cambio di ruolo, nel cuore stesso dell’immaginazione di un futuro - temporalmente e localmente determinato - che si gioca una dimensione diversa del mondo culturale, la possibilità di riconquistare una posizione non marginale, facendo propria la parafrasi kennediana nella quale non ci si continua chiedere cosa la società e l’economia possano fare per la cultura, ma ciò che la cultura oggi debba fare per la società e le sue prospettive di sviluppo, uscendo da quel ritornello che accusa il mondo culturale di autoreferenzialità, termine ormai talmente abusato dall’essere diventato autoreferente esso stesso, da rischiare di essere inteso come una qualità consustanziale della cultura, promuovendone un’ulteriormente delegittimazione.
Questo cambio di prospettiva, al quale si fa qui riferimento – sia chiaro – non è una mossa del cavallo, uno scartare a lato per non confrontarsi con una situazione che nei suoi termini generali appare difficoltosa e frustrante, oltre che bloccata; abbiamo ben presente le difficoltà e le sfide che una quotidianità difficile pone ogni giorno ai policy maker da un lato e agli attori sociali dall’altro.
Ciò che si sostiene è che dentro quella quotidianità, per molti assai agra e difficoltosa, non vi siano le risorse e le condizioni per un’uscita da una situazione di emergenza. Queste vanno ricercate altrove, sopravvivendo alla contraddizioni del quotidiano, ma immaginando una via d’uscita che rimetta al centro una visione culturale, un ruolo per la cultura capace di riconquistare a pieno titolo una scena dalla quale è stata almeno parzialmente emarginata.
E prendere di petto la questione, ovviamente, appare la strada più difficile, quella più in salita e non in grado di distribuire dividendi immediati.
A volte, la necessità assume proprio questa faccia. E qui, sì, che abbassare gli occhi o guardare altrove si fa pericoloso.
Cambiare passo
Mettere al centro della riflessione un nuovo ruolo del mondo culturale comporta una mobilitazione profonda e collettiva attorno a un’urgenza e, ancor prima, convenire sull’esistenza di un’urgenza, ovvero convergere nell’interpretare una situazione di difficoltà in chiave anticipatrice e vitale, al polo emotivo opposto dello stoicismo di Eduardo dell’ Adda passa’ a’ nuttata nelle battute conclusive di Napoli Milionaria.
Perseguire il disegno di un nuovo ruolo per la cultura non è riflessione individuale e non può evitare – se si mira a un minimo impatto sociale e a una rilevanza da riconquistare - di essere opera d’intelligenza collettiva, frutto (maturo o acerbo che sia), di un laboratorio di futuro, luogo di elaborazione di una molteplicità di proposte, spazio di confronto di una comunità alla quale non può bastare il minimo comune multiplo delle risorse insufficienti.
Che si tratti dell’elaborazione di un nuovo piano strategico regionale e metropolitano incentrato sulla cultura o di un altro documento di linee guida, questo è tutto da discutere, così come il metodo di lavoro e l’individuazione dei caratteri processuali indispensabili a maturare contenuti all’altezza delle sfide, poiché anche il percorso necessita di condivisione e di capacità d’inclusione. Ci pare di avvertirne l’esigenza, ma è lo stesso mondo della cultura a dover trovare i modi di convocarsi attorno a questa urgenza, una volta che si constati una sua minima condivisione, necessariamente al di là e al di fuori delle pagine di questo rapporto. Qui, in questo testo, ci limiteremo alla modesta proposta di un quintetto di questioni, senz’altro non esaustivo, che potrebbe trovare spazio in un confronto collettivo e contribuire ad alimentare ulteriori riflessioni.
Uno.
Qual è la domanda culturale dalla quale ripartire?
È abbastanza evidente che la progressiva uscita dai radar dell’attenzione politica e la relativa marginalizzazione, de facto, del mondo culturale, rappresenti anche un problema squisitamente politico. La domanda alla quale fa riferimento il mondo culturale, (intendendo i cittadini portatori di una domanda di cultura) pur deplorando, non si mobilita più che tanto a difesa delle risorse culturali del Bel Paese, non rappresenta una barriera a scelte di ridimensionamento, non è in grado di farsi sentire in modo efficace quando si ragiona intorno alle priorità e all’allocazione delle risorse. Non è un problema regionale, e nemmeno solo nazionale, anche se in Italia assume connotazioni tutte particolari. L’insistenza in ambito europeo sull’audience buliding, sull’audience development e sull’audience engagement, è la riprova di una debolezza del patrimonio e delle attività culturali nell’uscire da logiche elitarie o comunque minoritarie per dar vita a quei processi di democratizzazione che, sostenuti economicamente per anni, mostrano ora risultati deludenti, specie a confronto con l’evoluzione dei sistemi di comunicazione digitali. Ma la domanda, l’insieme dei bisogni e dei desideri culturali di una società locale – forse - non è solo più il presidio di alcuni topoi carismatici per la cultura siano essi luoghi materiali (musei, biblioteche, istituti) o immateriali (generi di spettacolo, attività), anche se lo è ancora e dovrà continuare a esserlo in futuro. Probabilmente una cultura che si rappresenti e si pensi come componente strategica dello sviluppo locale, come parte integrante di un welfare, come risorsa per una competizione al rialzo non solo in termini quantitativi deve provare a riempire di contenuti e di nuovi paradigmi concetti come sostenibilità e sviluppo, cittadinanza, dialogo interculturale, temi sui quali periodicamente la cronaca ci sveglia brutalmente rinfacciandoci il nostro disorientamento, la nostra incapacità ad avere a che fare, anche in termini culturali, con i temi che la quotidianità ci propone. La sensibilità verso queste tematiche va crescendo e il bando Open di Compagnia di San Paolo rappresenta una interessante apertura del tema alla riflessione degli operatori culturali. In questa direzione occorre una moltiplicazione degli sforzi: una cultura con una capacità di guida di progetti complessi deve forse uscire dalle sue mura per andare a intersecare gli altri settori economici, realizzando quell’intersettorialità che può garantire l’intercettazione di domini differenziati di interessi e di domande.
Due.
La costruzione delle risorse
Una delle modalità prevalenti di finanziamento della cultura, attraverso contributi e sostegno pubblico è facile che in futuro riguardi un insieme definito e contenuto di soggetti, quel perimetro ristretto di istituzioni che conservano un patrimonio (inteso sia nella sua forma fisica come nel caso dei musei, che in quella immateriale come nel caso della spettacolo del vivo) irrinunciabile e costitutivo dell’identità di luoghi e gruppi sociali. Tutte le altre attività, già da qualche tempo, e specie i progetti innovativi, sono sollecitati a considerare la costruzione delle strategie di sostenibilità economica come una parte fondante della progettazione culturale, qualcosa di molto diverso dalla sponsorizzazione, per intenderci. Qui ritorna il tema dell’intersettorialità e di progetti a guida culturale che intercettino altri settori economici, a partire dal turismo dove le passate strategie hanno consolidato una nuova posizione per il Piemonte e Torino. Nel segmento del turismo esperienziale potrebbero essere sperimentati prodotti culturali di alta innovatività, capaci di fare del turismo culturale un marchio qualitativo e distintivo del Piemonte e del suo capoluogo. L’esperienza della startup Cityteller va in questa direzione offrendo un servizio evoluto di lettura integrata dei luoghi e della letteratura che li ha interessati nel corso del tempo. Ma non solo turismo; sanità, servizi socio-assistenzali, la stessa produzione industriale rappresentano altrettanti banchi di prova per una progettazione culturale che si ponga seriamente il tema del proprio apporto alla contemporaneità, accettando il rischio di un cammino non facile, da sminare dai tanti fraintendimenti, dall’autismo dei linguaggi e delle logiche di settore, dall’inerzia verso ciò che rappresenta una direzione non completamente esplorata.
Tre.
L’impresa culturale
Si richiede all’impresa culturale un ruolo coraggioso di apripista e di facilitazione. Se sono così rari i progetti complessi e intersettoriali a guida culturale, non si tratta di una responsabilità attribuibile solo all’inerzia degli operatori. Cumuli di vincoli amministrativi e normativi ingombrano la strada, a partire dal codice degli appalti per servizi e in una varietà di fattispecie dove al ruolo quasi nullo nel prevenire il malaffare si aggiungono condizioni paradossali di operatività e procedura. I tempi sono maturi per provare a far emergere la questione a tutti i livelli e soprattutto a livello nazionale: le nuove iniziative del Demanio nei confronti dell’uso pubblico del patrimonio vanno in questa direzione, così come le richieste di molti amministratori per poter operare con una diversa efficacia, seppure nel rispetto della massima trasparenza. Occorre che si faccia spazio, si aprano radure nell’ipernormatività del nostro sistema, ma occorre anche che vi siano nuove imprese capaci di irrompere in queste radure, di estenderle, di presidiarle, di aprire nuovi percorsi d’operatività, per mostrare nel concreto a una generazione di giovani che sulla cultura, sulla conoscenza e sull’innovazione si può scommettere fin da ora. E questo è un compito locale, per ogni territorio, con le sue specificità, Ma non è il caso di attendere una riforma che spiani ogni strada; a normativa vigente, le aperture istituzionali vanno consolidate, sperimentate, presidiate da una nuova generazione di imprese culturali che cominciano a essere riconoscibili sulla scena delle esperienze innovative in territori differenti. In attesa di un contesto diverso a livello nazionale, l’alleanza tra Ente pubblico e impresa culturale a livello regionale e locale nell’aprire spazi di sperimentazione, nell’occuparli, nel proteggere una legittimità da costruire sul bordo dei percorsi e delle procedure consolidate è elemento essenziale, chiave di volta per qualsiasi sperimentazione e avamposto indispensabile per qualsiasi policy innovativa. In questo quadro processi di capacity building come quelli prefigurati dal progetto Hangar contribuiscono a costruire alcune delle condizioni indispensabili per l’emersione di una diffusa capacità di occupare e forzare gli spazi individuabili per nuovi progetti culturali.
Quattro.
Pensare e far pensare
Certo che non è una novità ed è il mestiere di chi opera nel mondo della cultura. Si tratta, però, di esercitarsi anche fuori dal mondo della cultura, di pensare l’economia e di coinvolgere nella riflessione coloro che si occupano di economia, d’industria, di servizi e di welfare, come si diceva prima all’interno della metafora kennediana; cosa può fare la cultura per il Paese…
Pensare, appunto, e far pensare; per questo c’è bisogno – urge dicevamo – una qualche opportunità per far crescere una visione, per pensare e far pensare, al di fuori del recinto della cultura, al di fuori del settore. Non si può non andare all’analisi di Baricco ne i Barbari, alla descrizione di una contemporaneità che privilegia la dimensione reticolare e orizzontale del pensiero, capace di ibridarsi e di stringere migliaia di legami, gangli, valenze di contro al paradigma dell’approfondimento e della specializzazione. Una generosità nel disperdere pensiero fuori dal mondo della cultura, come in una nuova fase seminale per produrre nuovi frutti. Fino all’invenzione di Luci d’Artista pochi avrebbero scommesso che le luminarie di Natale per ravvivare le vie dello shopping avrebbero potuto tradursi in un’occasione di espressione artistica, un modo per veicolare l’attenzione al contemporaneo da parte di un intero milieu urbano.
Sono pensabili altre Luci d’Artista che illuminino altri percorsi, fuori dai recinti stretti del mondo culturale? Si può chiedere ad artisti e a personaggi della cultura di occuparsi d’altro, di altre occasioni di vita civile? Dalle esperienze di Fondazione Medicina a Misura di Donna nell’Ospedale Sant’Anna si direbbe di sì[6] .
Anche per questo, forse, per individuare i molti percorsi sui quali attirare il pensiero e lo sguardo di artisti e di uomini di cultura potrebbe essere urgente trovare le occasioni per dare un nuovo slancio a un pensiero erratico, non stanziale, capace di navigare le reti.
Cinque.
Politica
Una politica capace di ascoltare, che compensi le sue minori possibilità di sostegno economico, con un plus di legittimazione e di partnership nel creare le condizioni di sviluppo dell’iniziativa culturale. Una politica che metta a disposizione la possibilità di costruire nuove strategie, che sappia guidare i processi, che rivendichi la costruzione di spazi e di condizioni di operatività come contributo fondamentale anche in presenza di risorse monetarie scarse, non dividendo i domini a forte sostegno pubblico dagli ambiti in cui sia possibile esercitare solo funzioni d’indirizzo. Una politica che si dia il tempo per ascoltare la voce di chi opera nella cultura stimolandone la progettualità e che sia capace d’ingaggiarsi, fianco a fianco, nell’apertura di spazi intersettoriali e nel riconoscimento di una domanda sociale che aspetta di divenire dicibile e visibile.
Luca Dal Pozzolo è Direttore Osservatorio Culturale del Piemonte
Link utili dall'Osservatorio Culturale del Piemonte:
Relazione Annuale 2014 - http://www.ocp.piemonte.it/doc/relazione_annuale/ocp_relazioneannuale2014.pdf
Rapporto biblioteche - http://www.ocp.piemonte.it/doc/progetti/ocp_bibliotechepiemonte_2015.pdf
[1] Osservatorio Culturale del Piemonte, Relazione Annuale 2013. Cultura in Piemonte, disponibile al link: http://ocp.piemonte.it/doc/relazione_annuale/ocp_relazioneannuale2013.pdf
[2] Va tenuto conto, tuttavia, che soprattutto le presenze agli spettacoli cinematografici subiscono oscillazioni sensibili anche in ragione della programmazione annuale e della presenza di blockbuster di forte attrattività.
[3] Che comprende quindi l’architettura, il design, l’artigianato di servizio, la pubblicità, le ICT, la produzione software, e i videogames, oltre ai settori tradizionalmente centrali nell’universo culturale, il cinema, lo spettacolo dal vivo, i musei, l’editoria ecc.
[4] GASTON BACHELARD, La terre et les Rêveries di repos. Essai sur les images de l’intimité., José Corti, Parigi 1948, trad.it. La terra e il riposo. Un viaggio tra le immagini dell’intimità, Red Edizioni, Milano, 2007, p.175
[5] Occorrerebbe definire quali e in quali contesti, ma sorvoliamo per il momento, accontentandoci di una individuazione generica di un universo, all’interno del quale certamente per uscire dal vago sarebbero da distinguere i fattori potenzialmente capaci di interagire direttamente all’interno di strategie complesse di sviluppo culturale, sociale e d economico.
[6] Si fa riferimento all’azione della Fondazione Medicina a misura di Donna che ha promosso una riqualificazione profonda dei locali dell’Ospedale Sant’Anna invitando artisti e uomini di cultura a cooperare con addetti sanitari e pazienti nella trasformazione degli ambienti di cura, di cui abbiamo dato conto nella relazione dello scorso anno.