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Una città svetta per la filantropia d’impresa. Bologna

  • Pubblicato il: 14/01/2015 - 22:30
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'IMPRESA
Articolo a cura di: 
Roberta Bolelli

Una città rivela uno straordinario fermento nella filantropia attiva (come avviene negli Stati Uniti e in altri Paesi europei), sussidiario all’intervento pubblico, in cui il mecenatismo culturale si mescola con la corporate philanthropy.

Bologna, che oggi si progetta come smart city, ha realizzato nel tempo solide fondamenta di “responsabilità sociale”. Sicuramente la cultura della solidarietà diffusa nella sua gente, la tradizione di una imprenditorialità che, partendo dalla piccola dimensione, è cresciuta attraverso un impegno forte e condiviso sul lavoro, la coesione di un tessuto economico e sociale caratterizzato dallo sviluppo dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione hanno alimentato contesti e sensibilità favorevoli, all’interno dei quali si sono manifestate le espressioni e le personalità più significative di quella che potremmo definire l’anima sociale dell’imprenditoria.

Tra le altre, ne sono testimonianza quattro esperienze e personalità imprenditoriali di caratura internazionale, sviluppatesi parallelamente su percorsi diversi, accomunate da un grande impegno a tradurre il proprio successo in forme di solidarietà sociale e di investimento culturale.

E’ partito per primo Marino Golinelli. Self made man - oggi laurea honoris causa in conservazione dei Beni culturali, membro dei “200 del FAI”, dell’advisory board della Peggy Guggenheim Collection di Venezia e del Consiglio d’Amministrazione di ARPAI (Associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano) - inizia la propria attività imprenditoriale nel 1948, con il suo primo laboratorio farmaceutico (Alfa Farmaceutici) divenuto Gruppo Alfa Wassermann, noto nel mondo. Nel 1988, con forte senso di impegno personale, ispirandosi al modello delle grandi fondazioni filantropiche americane («segno concreto della mia volontà di ridare alla società parte di ciò che ho ricevuto»), ha dato vita alla Fondazione Golinelli alla quale ha destinato parte rilevante del suo patrimonio (in 25 anni oltre 40 milioni di euro). La Fondazione promuove la diffusione della cultura scientifica, in particolare tra le giovani generazioni, tramite iniziative di formazione, informazione e sostegno alla ricerca nel campo delle scienze della vita.

Molti i progetti avviati negli anni. Dalla Scuola delle Idee, la promozione della creatività a partire dalla primissima infanzia, alle Scienze in pratica, il più grande laboratorio didattico sperimentale per accendere la passione negli adolescenti (dai 14 ai 19 anni) verso le scienze e le tecnologie; dal Giardino delle imprese per promuovere tra i giovani la cultura imprenditoriale e formare i futuri imprenditori, alla Scienza in Piazza, divulgazione scientifica rivolta al grande pubblico; da Educare a educare, per la formazione di insegnanti (di ruolo e precari), ad Arte scienza e conoscenza percorsi tra arte e scienza attraverso incontri e mostre con opere d’arte contemporanea ispirate a temi scientifici.

Da ultimo, il 21 ottobre scorso, la Fondazione Golinelli ha presentato un nuovo grande progetto l’Opificio Golinelli, («da Opus facere, l’idea rinascimentale, e tutta italiana, della bottega, del fare, dello sperimentare») un Centro per la conoscenza e la cultura a Bologna, in corso di realizzazione in un’area industriale dismessa, con un intervento di riqualificazione di circa 10 milioni di euro. Questo spazio di circa 9.000 metri quadri complessivi, che verrà inaugurato a giugno 2015 e sarà pienamente operativo a partire da ottobre 2015. Ospiterà tutte le principali attività di educazione, formazione, ricerca, divulgazione, promozione delle scienze e delle arti svolte dalla Fondazione Golinelli, con spazi dedicati a bambini, giovani e adulti. «L’Opificio e i programmi futuri configurano un’operazione culturale di portata nazionale, confermando per Bologna il ruolo di capitale della cultura e dell’innovazione» sottolinea Antonio Danieli, direttore della Fondazione.

Importanti le collaborazioni e partnership locali e nazionali: con il Comune di Bologna per la Scuola delle idee; con l’Università di Bologna e il MIUR/USR Emilia-Romagna per le Scienze in pratica; con importanti gruppi industriali, H-Farm (incubatore italiano di start up digitali con sedi a Treviso, negli Stati Uniti, in India e nel Regno Unito), Comune di Bologna e Ufficio Scolastico Regionale per il Giardino delle imprese; con l’Accademia nazionale dei Lincei e il MIUR per Educare a educare; con la Triennale di Milano per appuntamenti espositivi di Arte scienza e conoscenza (nel 2013 “Benzine – Le energie della tua mente” e nel 2014 “GOLA, arte e scienza del gusto” nel 2014).

Le donne sono in primo piano. Grande nome bolognese della corporate philanthropy e interprete della tradizione olivettiana è oggi anche Isabella Seràgnoli (Presidente di Coesia SpA, holding di partecipazioni industriali nel settore delle macchine automatiche) sotto il cui impulso e guida negli ultimi dodici anni si sviluppa una importante rete di iniziative dall’assistenza alla cultura e all’arte. Straordinaria imprenditrice, concreta nel fare con un forte impegno sociale e culturale, consapevole del ruolo etico-sociale dell’imprenditore, ha sviluppato l’attività di mecenatismo, avviata dai genitori, con la costituzione della Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli per le Cure Palliative, un modello di intervento integrato comprensivo di assistenza, formazione e ricerca, al cui interno i pazienti e i familiari vengono accolti e presi in carico da équipes multidisciplinari altamente specializzate. Per la raccolta fondi a suo sostegno l’Associazione Amici della Fondazione Hospice Seràgnoli ha promosso un originale progetto culturale internazionale, denominato da Alessandro Bergonzoni DO UT DO, con svolgimento biennale, inaugurato nel 2012, che propone eventi dedicati all’arte, alla musica, alla moda, al design, all’arte culinaria, coinvolgendo istituzioni, imprese, collezionisti. Dopo il grande successo della prima edizione, dedicata all’arte contemporanea, il DO UT DO 2014 Design per Hospice è stato dedicato alle eccellenze del design internazionale.

Nel 2003 crea la Fondazione Isabella Seràgnoli per coordinare e consolidare le attività non-profit e sviluppare nuovi progetti. Dieci anni dopo, grazie alla sua capacità di unire visione tecnologica, passione industriale e creatività artistica – vede la luce l’importante realizzazione di MAST-Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, una Fondazione con l’obiettivo di essere un «ponte tra comunità e impresa», promuovendo progetti di innovazione sociale e offrendo servizi di welfare aziendale in ottica di complementarietà con il territorio.

Nella zona ovest della città, dove in un’area vicina seppur non contigua sorgerà l’Opificio Golinelli, la sede di MAST, definita da qualcuno il Beaubourg bolognese, è una cittadella - derivante dalla trasformazione di un’area industriale dismessa, realizzata in soli cinque anni e con un investimento di oltre 50 milioni – con una struttura polivalente che comprende un auditorium, un asilo nido per 80 bambini, una galleria dedicata alla fotografia industriale, un’accademia volta alla formazione in cui giovani delle scuole superiori e lavoratori del Gruppo potranno crescere professionalmente, altri servizi. Il tutto su una superficie di 25 mila metri quadrati in uno dei quartieri più popolari.

Dentro MAST si trovano non solo le opere di Mark di Suvero, Anish Kapoor, Olafur Eliasson, Arnaldo Pomodoro, Donald Judd, ma anche un percorso espositivo di fotografia industriale insieme con un’accademia dove si sviluppa la cultura della manifattura e dove i giovani possono ricevere conoscenze creative e tecnologiche dai tecnici più anziani. Ed è per questo che la Fondazione MAST, in collaborazione con Les Rencontres de la Photographie di Arles, grazie alla capacità di Isabella Seràgnoli di mettere insieme visione tecnologica, passione industriale e creatività artistica, ha promosso da quest’anno la Biennale della Fotografia Industriale, prima iniziativa al mondo in questo settore. Fino al 31 dicembre 2014 il MAST ha presentato in anteprima nazionale The Factory Photographs, una interessante mostra di fotografie industriali di David Lynch, icona del cinema americano ma anche pittore musicista designer e fotografo, curata da Petra Giloy-Hirtz, in collaborazione con la Photographers’ Gallery di Londra. Grazie a 124 immagini di straordinario impatto - scattate all’interno di fabbriche fatiscenti a Berlino, in Polonia, in Inghilterra, a New York, nel New Jersey e a Los Angeles, senza presenze umane, tra il 1980 ed il 2000 - si attraversano architetture industriali, ciminiere ancora attive e altre mute, padiglioni imponenti e cortine di fumo, di nebbia e vapore, spazi di memorie e di solitudine. Unendo così esperienza artistica, cultura manifatturiera e tradizione industriale.

Altra originale esperienza umana e imprenditoriale è quella di Giovanna Furlanetto, presidente di Furla SpA., uno dei maggiori brand della pelletteria italiana (oggi diffuso in 64 paesi del mondo con circa 320 negozi monomarca). Inizia la sua attività nel 1963, appassionata di design affianca il padre occupandosi di ricerca e sviluppo del prodotto, assume negli anni molteplici posizioni di responsabilità nell’azienda, fino a divenirne, nel 1989, appunto amministratore delegato e presidente.

Per sua volontà nasce a Bologna nel 2008 la Fondazione Furla per gestire e dare continuità e sviluppo su scala internazionale ai progetti in campo culturale messi in cantiere dal Gruppo. La Fondazione Furla rivolge le sue iniziative verso tutte le forme della creatività, dall’arte al fashion design, a sostegno dei giovani talenti che non trovano vie, luoghi e possibilità per emergere «Sostenere la ricerca, affiancare i giovani – sottolinea Giovanna Furlanetto - significa entrare nel futuro e il mondo dell’arte è uno squarcio nel futuro».

L’impegno della Fondazione per la valorizzazione della creatività giovanile trova infatti, ogni due anni, il suo momento culminante nel Premio Furla per l’Arte, avviato nel 2000 – prima realtà in Italia ad accendere un riflettore sull’arte contemporanea - in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia di Venezia, curato dal critico d’arte Chiara Bertola, concepito per valorizzare e dare sostegno agli artisti italiani emergenti con l’obiettivo di rappresentare tendenze e prospettive della creatività contemporanea nel Paese. Da alcune edizioni, il premio si concretizza non in un importo in denaro ma nel finanziamento della realizzazione di progetti e una residenza di un anno nelle realtà più significative nel mondo artistico internazionale per consentire al giovane artista di crescere professionalmente e arricchire la propria esperienza.

Il rilievo e il prestigio che il premio Furla ha acquisito è confermato dall’aver avuto come padrini e madrine di ogni edizione importanti artisti internazionali. Madrina - ed anche Presidente della Giuria internazionale - è stata quest’anno Vanessa Beecroft, ideatrice del titolo The Nude Prize e dell’immagine grafica del Premio così come, nelle passate edizioni, Jimmie Durham (2013), Christian Boltanski (2011), Marina Abramovic (2009), Mona Hatoum (2007), Kiki Smith (2005), Michelangelo Pistoletto (2003), Lothar Baumgarten (2002), Ilya Kabakov (2001) e Joseph Kosuth (2000).

Giunto alla decima edizione, il Premio si trasferisce a Milano «capitale della creatività contemporanea, (..) per continuare a investire sulla crescita di questo progetto, rendendolo un appuntamento sempre più internazionale e un punto di riferimento imprescindibile nel percorso delle nuove generazioni di artisti e curatori». Offrendo quindi «una platea più ampia di pubblico anche internazionale a coronamento di un impegno che ha l'ambizione di avere mappato un'intera generazione di artisti italiani, come testimonia l’importante mostra retrospettiva che si terrà nel marzo 2015». Con una accentuazione della prospettiva internazionale anche perché «oggi il marchio Furla è molto più internazionale rispetto a 15 anni fa (il fatturato è al 76% fuori dall'Italia), ha una piattaforma di visibilità in tutti i paesi più strategici».

In questo panorama di mecenatismo lungimirante ed operoso viene ad inserirsi di recente, Alberto Masotti, uno dei nomi importanti nella storia imprenditoriale della città: con la sua famiglia ha prima creato e portato ai massimi successi il marchio La Perla, poi ceduto al fondo americano Jh partners. Masotti ha presentato recentemente due nuovi progetti di trasformazione delle proprie precedenti sedi industriali attraverso un disegno innovativo di cultura ed impresa (www.nutepartecipazioni.com ).

Nell’ex centro direzionale del Gruppo a Bologna nascerà una Scuola-museo, incentrata sulla moda e il design, sull’arte moderna e la grafica. Le eccellenze della tradizione manifatturiera accompagneranno la formazione per l’imprenditorialità giovanile facendo dell’antica sede aziendale un incubatore di nuove imprese e di innovazione. Parallelamente nell’antica fabbrica di Quarto Inferiore nell’hinterland bolognese – frutto del concorso di idee “Space to Culture”, bandito da YAC (Young Architecture Competitions associazione che promuove concorsi di architettura tra i giovani professionisti del settore a livello internazionale) aggiudicato alla proposta di Francesco Quadrelli e Stefano Privitera, architetti operanti a Bruxelles – sorgerà un Polo Culturale, un moderno contenitore di iniziative culturali e intrattenimento dove si ritroveranno le diverse forme del vivere contemporaneo con strutture flessibili per adeguarsi alle diverse esigenze dei pubblici coinvolti.

Ripercorrendo queste affascinanti storie di successi imprenditoriali culminati nelle suggestive realizzazioni di responsabilità sociale a base culturale, ci torna alla mente uno dei principi posti dal 1° Forum Italiano di Filantropia, svoltosi a Roma nell’ottobre 2013, coinvolgendo privati filantropi e fondazioni, sia italiane che straniere, impegnati nell’ambito della filantropia per migliorare la qualità della vita attraverso investimenti e donazioni mirate: «Nell’attuale contesto economico, per chi produce più ricchezza diventa prioritario farsi carico delle disuguaglianze e dei bisogni sociali, non solo con le proprie risorse, ma mettendo a disposizione anche relazioni e capacità personali per contribuire attivamente alla risoluzione dei problemi».

Nonostante personalità ed esperienze di eccellenza - tra cui quelle che abbiamo raccontato - nella classifica mondiale del World Giving Index che misura la propensione alle donazioni di tutti i Paesi del mondo, l’Italia è passata dal 57.mo posto nel 2012 al 79.mo nel 2014. Questo perché la “responsabilità sociale” nel nostro Paese è ancora nella fase delle scelte individuali e non è un modello di comportamento diffuso come ad esempio nel mondo anglosassone. In effetti in Italia è più critica l’immagine della ricchezza e in chi dona, rispetto alle esperienze estere, è meno diffusa l’idea della “restituzione” alla società di quanto si è avuto come espressione del senso di appartenenza e solidarietà verso la propria comunità. 

Le grandi storie e le grandi testimonianze della corporate philanthropy sono quindi un contributo importante per la coesione sociale e una più equa distribuzione del benessere.

 

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