Sono tutte Capitali della Cultura
Dopo la straordinaria partecipazione al percorso di candidatura per la Capitale Europea 2019, viene emesso il bando per la selezione delle Capitali italiane 2016 e 2017; in palio un milione di euro. La presentazione di un primo dossier contenente il programma di attività culturali è prevista per il 31 marzo 2015. Gli obiettivi della competizione sono strategici: stimolare una cultura della progettazione integrata e della pianificazione, sollecitare le città e i territori a considerare lo sviluppo culturale quale paradigma del proprio progresso economico e di una maggiore coesione sociale; valorizzare i beni culturali e paesaggistici; migliorare i servizi rivolti ai turisti; sviluppare le industrie culturali e creative; favorire processi di rigenerazione e riqualificazione urbana.
Nel 2015, in prima applicazione del provvedimento, il titolo è stato conferito ex aequo alle cinque finaliste del bando per la capitale europea della cultura 2019 – Lecce, Siena, Cagliari, Perugia, Assisi e Ravenna – per non disperdere l’impegno profuso nella candidatura.
A che punto sono oggi? Matera ha vinto e tra dichiarazioni politiche e festeggiamenti, la città continua la sua corsa e si prepara ad affrontare i prossimi anni, aspettando il 2019. Il tempo non è molto, soprattutto se si considerano i grandi interventi infrastrutturali e di rigenerazione urbana prospettati all’interno del bid book, per un importo pari a quasi 650 milioni di euro! Una cosa è certa: l’atmosfera che in questi anni di preparazione alla candidatura si è riusciti a creare sul territorio è davvero straordinaria e questo ha sicuramente pesato sulla sua designazione, dal momento che una delle sfide più grandi del programma ECoC – European Capital of Culture è proprio quella della partecipazione.
Sarà la capacità di coinvolgimento dimostrata dagli organizzatori di Matera 2019 ad aiutare la città a dare seguito agli annunci di auspicata inclusione, primo fra tutti quello del Sindaco, per il quale quello di ECoC «non è un titolo nostro, ma innanzitutto di tutto il nostro Paese, oltre che ovviamente di tutta la Regione Basilicata e di tutto il sud d’Italia e d’Europa».
Cosa accade invece nelle altre cinque città, per le quali, dopo anni di lavoro, la corsa al titolo è finita? Certo la delusione è stata forte, ma, al di là della competizione e dei giudizi forniti dalla commissione su ciascuna candidatura, è questo il momento in cui si decide delle sorti di quanto scritto all’interno dei dossier e dei risultati raggiunti in termini di coesione interistituzionale, partecipazione dei cittadini, sviluppo di competenze da parte di staff giovani, motivati e proiettati in un contesto internazionale.
E’ questo, infatti, il patrimonio generato nel corso della competizione in tutte le città finaliste e anche in molte di quelle che non hanno superato la fase di preselezione, unito alla consapevolezza di quanto sia fondamentale collegare le politiche culturali ad un più ampio piano di rigenerazione economica e sociale.
Proprio con l’obiettivo di non disperdere, anzi, valorizzare tale patrimonio, le città si sono strette attorno al «Programma Italia 2019», ora riconosciuto all’interno del decreto Art bonus e grazie al quale nasce il titolo «Capitale italiana della cultura», la versione italiana dell’ECoC. Conferito ogni anno ad una città italiana dal Consiglio dei Ministri, questo riconoscimento vuole «favorire progetti, iniziative e attività di valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale materiale e immateriale italiano, anche attraverso forme di confronto e di competizione tra le diverse realtà territoriali, promuovendo la crescita del turismo e dei relativi investimenti.»
Il 2015 sarà un anno eccezionale, perché non ci sarà una, ma cinque Capitali italiane della cultura. Saranno, infatti, Siena, Ravenna, Cagliari, Lecce e Perugia, ovvero le finaliste della competizione europea, a condividere il titolo e a ricevere, se le promesse del Ministro Franceschini saranno confermate, non più i 200.000 euro prospettati inizialmente, ma 1 milione.
Opportunità o premio di consolazione? E’ sicuramente un riconoscimento del lavoro svolto e, anche se il tempo non è molto, è un modo per cominciare a ragionare su alcune delle iniziative contenute nei programmi predisposti per la candidatura europea, sollecitando i territori e le alleanze costruite in questi anni.
Aosta, Bergamo, Cagliari, Caserta, Città-diffusa Vallo di Diano e Cilento con la Regione Campania e il Mezzogiorno d'Italia, Erice, Grosseto-Maremma, L’Aquila, Lecce, Mantova, Matera, Palermo, Perugia, Pisa, Ravenna, Reggio Calabria, Siena, Siracusa ed il Sud Est, Taranto, Urbino, Venezia con il Nordest. Il numero delle città candidate è stato un record nella storia del programma ECoC, superando la Spagna, che ha contato 15 città nella competizione di Capitale Europea della Cultura per il 2016.
In Spagna la competizione è stata durissima, a tratti agguerrita. In Italia, una volta tanto si può dire, seppur all’interno di una gara che avrebbe visto un solo vincitore, ha prevalso la volontà di collaborare, scambiare idee e informazioni, prendere posizioni comuni, affinché quella dell’ECoC potesse divenire l’occasione per dare nuovi stimoli alla rigenerazione del nostro Paese attraverso la cultura.
Il merito di questa competizione e di tutto ciò che verrà ripreso e valorizzato attraverso il programma di Capitale italiana della cultura è di aver dato l’occasione per assumere una nuova prospettiva, più ampia, più internazionale, e di aver individuato una metodologia di lavoro e i campi strategici su cui investire, in sinergia con quanti più soggetti possibile, pubblici e privati, profit e non profit. Senza dimenticare, come si accennava prima, che la vera innovazione sarà la capacità di collegare, davvero, le politiche culturali con un più ampio piano di progettazione strategica, che coinvolga dimensioni economiche e sociali.
Cagliari. Dall’audience engagement al social engagement
La corsa di Cagliari è partita in forte ritardo rispetto alle altre città candidate, ma oggi è tra quelle che meno hanno risentito del mancato risultato. L’Assessore Enrica Puggioni l’ha sempre ricordato: «Per noi la candidatura non è un progetto, ma un processo, che si innesta su un percorso di sperimentazione, produzione e formazione, in cui la cultura, e quindi la creatività e l’innovazione dei saperi rappresentano un motore di sviluppo urbano, economico e sociale.» Il progetto di candidatura è, dunque, parte delle politiche culturali del Comune, quasi un espediente per velocizzare processi già avviati, capitalizzare relazioni e competenze, sperimentare nuovi paradigmi, inserire la città nell’immaginario culturale nazionale e internazionale, dando visibilità e sviluppando nuovi rapporti. «Certo il 2019 sarebbe stata una bella opportunità» chiosa il direttore artistico di Cagliari2019, Massimo Mancini «ma ad oggi, nel 2015, non vedo grosse differenze rispetto a quello che si sarebbe potuto fare nel caso di vittoria. E forse non aver vinto ci permette di concentrarci meno sull’eventismo, senza il rischio «del giorno dopo».»
Gli obiettivi sono confermati e su questi Cagliari continua a lavorare, per rafforzare il suo ruolo nella geografia internazionale, aprendo un dialogo anche verso i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ad esempio la Tunisia, per stimolare gli operatori a pensare locale e globale contemporaneamente, per sviluppare una rete territoriale, per sperimentare nuovi paradigmi nella marginalità.
«I territori sono per noi i campi di sperimentazione di nuovi modelli, nuove pratiche di rapporto tra operatori culturali, cittadini e istituzioni. Questo è il nostro impegno e questo è al centro della nostra riflessione. Abbiamo iniziato dal quartiere di Sant’Elia, forse il quartiere di Cagliari più interessante dal punto di vista paesaggistico e ambientale, ma anche uno dei territori a maggior rischio di esclusione sociale. Qui rimaniamo e da qui proseguiamo, con, ad esempio, un nuovo progetto partito lo scorso dicembre a Santa Teresa di Pieve, un altro quartiere complesso.» Al centro e nelle periferie, si sviluppano, dunque, nuove capacità di confronto tra soggetti diversi, pubblici e privati, si costituiscono gruppi di lavoro misti e trasversali, si avvia un processo di mediazione tra quartiere, artisti, operatori culturali, associazionismo.
«Cagliari non ha chiamato «lo straniero» a decidere un pezzo di progetto culturale, non sceglie chi lavora con chi. L’idea è far incontrare, creare contesti di facilitazione e confronto per generare relazioni e cooperazione. Certo ci vorrà più tempo, la dimensione eventistica può a volte venir meno, ma il turismo non è il solo effetto a cui tendere. E qualcosa nascerà.»
La governance del processo continuerà a rimanere in capo all’amministrazione. «Questa è stata la decisione fin dall’inizio» conferma Mancini «Dare vita ad un forte dialogo con le competenze già interne all’Amministrazione ha permesso di massimizzare il lascito, non dipendere da strutture esterne ed evitare scollamenti tra candidatura e politiche.»
E per il 2015 Massimo Mancini prevede un mix equilibrato tra gli eventi e il processo, un’altra occasione per portare avanti i progetti della città e il lavoro di coordinamento dell’Amministrazione
Lecce. L’occasione per interpretare al meglio il proprio ruolo
A Lecce si sono concluse in questi giorni le polemiche riguardanti il numero di voti ricevuti dalla commissione che lo scorso ottobre ha selezionato la Capitale Europea della Cultura 2019. Nonostante la coerenza del progetto culturale con i piani di lungo termine della città, la partecipazione attiva della Regione Puglia, della città di Brindisi e di 80 dei 127 Comuni coinvolti, le declinazioni date al tema dell’accessibilità e l’idea dei «social bond» per la sostenibilità finanziaria, Lecce non ha ricevuto alcuna preferenza. «Il risultato – secondi, quarti o sesti – comunque non cambia; soltanto una città poteva vincere» commenta il Sindaco Perrone «Lecce la sua personalissima sfida l’ha vinta comunque, riuscendo ad amplificare al massimo un autentico senso di identità grazie alla partecipazione e alla condivisione, elementi fondamentali per raggiungere un reale cambiamento. Vuol dire che abbiamo compreso il vero significato di Capitale della cultura: una comunità formata da individui che hanno storie, esperienze, sensibilità diverse e che vogliono scegliere insieme il loro futuro. La mobilitazione degli operatori del settore, le riflessioni sulla politica culturale, le partnership instaurate, i progetti presentati saranno sicuramente utili per conferire uno slancio a tutta la vita culturale della città.»
L’obiettivo della città è, dunque, dare seguito al lavoro di partecipazione avviato durante il percorso di candidatura, continuando ad accogliere il contributo dei cittadini, delle associazioni, delle imprese e di tutte le organizzazioni, che hanno creduto in Lecce 2019.
«Il riconoscimento di Capitale italiana della cultura sarà l’occasione per rendere Lecce ancor più polo attrattivo per la cultura, mettendo in vetrina le migliori energie e i numerosi talenti del territorio, capaci di rappresentare e rafforzare la nostra identità e di sviluppare idee e progetti. Questi serviranno ad alimentare i laboratori di creatività, grazie ai quali intendiamo valorizzare al massimo il «potenziale» umano della nostra comunità».
Perugia. La cooperazione interistituzionale, un valore da non disperdere
Perugia è stata l’unica città ad aver costituito un soggetto ad hoc per la governance della candidatura, la Fondazione di partecipazione Perugiaassisi 2019, che dal 2012 ha messo insieme 200 soci partecipanti. «Il percorso lascia molto» racconta Lucio Argano, project manager di Perugia2019 «e oggi è importante che quello che è stato prodotto in termini di modalità di lavoro, approcci, strumenti, venga raccolto dal territorio e possa diventare metodo. La designazione di Matera ha certamente provocato uno scuotimento, forse a Perugia minore che in altre città, e ora si aspetta di conoscere il destino della Fondazione, che, come da statuto, ha il suo termine nel 2015.» I soci fondatori devono, infatti, decidere se dare un futuro a questo soggetto, quale ruolo assegnargli e come finanziarlo, individuando all’interno del bid book e in particolare nel Programma Culturale, quali progetti e azioni strategiche portare avanti, o perché favoriti da ipotesi di finanziamento o perché in parte già avviati.
«Certo sarebbe un peccato che la Fondazione venisse estinta, non solo per il lavoro fatto, ma prima di tutto per le competenze interne sviluppate dal gruppo di giovani progettisti e per l’adesione di 200 soci partecipanti, tra comuni, imprese, organizzazioni di categoria, associazioni, università, un vero spaccato della società civile umbra da mettere a valore e non disperdere. Confidiamo, dunque, che la forma di cooperazione interistituzionale sviluppata in questi anni non vada dispersa, e la stessa speranza riguarda lo strumento del tavolo di pianificazione strategica e la metodologia sulla valutazione, che abbiamo curato in modo scrupoloso.»
E per quanto riguarda il 2015, Lucio Argano non vede tanto un problema di tempistiche. «Sarà un programma ridotto, un’edizione un po’ «festivaliera», senza la realizzazione di infrastrutture, che erano calendarizzate per il 2019. La Capitale italiana della cultura è un’iniziativa positiva, che oltre al merito di aver dato ancora più spazio al grande spirito di collaborazione dimostrato dalle candidate, dà centralità a un certo tipo di metodologia e nasce con l’intento di valorizzare lo sforzo e il lavoro, in buona parte incredibile, fatto dalle città italiane che hanno partecipato alla prima selezione per l’ECoC 2019. Ci possono essere ingenuità e velleità all’interno dei programmi proposti, ma tutte si sono impegnate seriamente per valorizzare ciò che hanno, in un’ottica internazionale e di prospettiva. Per questo credo che la capitale italiana possa essere una piccola declinazione di questo sforzo e produrre un modo di lavorare diverso.»
Ravenna. Progetti e strumenti per un futuro possibile
Partita nel 2007, Ravenna è la prima città ad iniziare la sua corsa per il titolo di Capitale Europea della Cultura. Per Alberto Cassani, coordinatore di Ravenna 2019, il percorso potrà essere giudicato tanto più positivo, quanto più grande sarà la capacità dell’amministrazione e della città in generale di tenere vivo un patrimonio di idee, di progetti e di esperienze. «Nel dossier finale di candidatura cerchiamo di individuare metodologie, strumenti di partecipazione, linee tematiche e progetti concreti, che la città potrà sviluppare nei prossimi tempi. Il nostro compito si conclude qui, presentiamo questo documento e lo mettiamo a disposizione della città e in particolare dell’amministrazione comunale. Staremo a vedere che cosa di questa eredità potrà essere portato avanti nei prossimi mesi e anni. Sicuramente il titolo di Capitale italiana della cultura 2015 potrà aiutare Ravenna a tenere in vita il senso dell’esperienza.»
Sono quattro le linee strategiche, che per lo staff di Ravenna2019 meglio riassumono il percorso di candidatura e su cui auspicabilmente la città deciderà di investire: la dimensione interculturale e il valore aggiunto delle differenze, lo sviluppo delle imprese culturali e creative, gli strumenti di partecipazione e di innovazione tecnologica e sociale in ottica di «human smart city», e le politiche volte all’aumento della visibilità e dell’attrattività nazionale e internazionale.
«Crediamo che il futuro di Ravenna possa svilupparsi principalmente su queste quattro direzioni strategiche, a cui associare azioni e strumenti in parte sono già stati utilizzati con successo durante la candidatura» afferma la project manager Nadia Carboni «Pensiamo al format di agorà, modalità partecipativa che potrebbe diventare strumento quotidiano di governance del territorio per coinvolgere sempre di più i cittadini nei processi di produzione delle politiche pubbliche, oppure al format delle prove tecniche di 2019 come calendario condiviso a livello romagnolo di eventi culturali dal carattere innovativo e contemporaneo.»
Il percorso tracciato all’interno del documento finale accompagna idealmente la città fino al 2021, anno cruciale per Ravenna perché ricorrerà il settimo centenario della morte di Dante Alighieri, appuntamento con valenza planetaria. «Questa è la tappa finale di un piano strategico» conclude Cassani «che avrà come altri appuntamenti il 2015 e il 2019, occasioni in cui Ravenna può avere un ruolo, in cui la cultura può davvero essere protagonista delle politiche di sviluppo territoriale nel nostro Paese.»
Siena. Una rete provinciale per un progetto di lungo termine
La città di Siena vuole andare avanti e, forte della fiducia e del sostegno di enti e istituzioni, primi fra tutti la Regione Toscana, realizzare il programma disegnato all’interno del bid book. Per Pier Luigi Sacco, direttore di candidatura di Siena 2019, lo scopo principale del percorso era quello di attivare un dialogo tra le istituzioni del territorio provinciale a partire da un progetto di lungo termine.
«Il bid book è un documento tecnico» spiega «scritto per la candidatura, che ora stiamo traducendo al fine di renderlo direttamente utilizzabile da parte delle istituzioni e passare così alla progettazione successiva, sempre attraverso l’inclusione e la partecipazione della comunità e alla luce della sempre più profonda emergenza economica che grava sulla città. Si amplia, così, la rete provinciale, aumentano i suoi nodi e si disegna una progettazione innovativa dettagliata, su cui lavorare con tutti i partner, che confermano la volontà di proseguire». In particolare, la Regione conferma il suo impegno con risorse per 40 milioni di euro, la cui gestione, tramite la definizione di un accordo di programma e del fondamentale piano economico-finanziario, sarà affidata al soggetto responsabile dello sviluppo del progetto, forse una fondazione. Qualsiasi forma giuridica verrà scelta, spiega Sacco, certo è che si tratterà di un soggetto di diritto pubblico, per garantire massima trasparenza e accountability.
Seppur ridimensionato, il percorso tracciato all’interno del bid book non si ferma e, in attesa che nei primi mesi del 2015 prendano forma gli aspetti legati al soggetto gestore e alla sostenibilità del programma, tra i progetti a cui dare concretezza si scelgono quelli maggiormente caratterizzati da una dimensione di lungo periodo, legati al patrimonio digitale, al turismo intelligente, al rapporto tra cultura e salute, all’imprenditorialità giovanile, al recupero degli spazi verdi della città, all’artigianato e alle eccellenze locali nel campo dell’agro-alimentare, al tema accessibilità e disabilità.
E poi vi è il desiderio di realizzare per il 2019 il progetto dedicato a Leonardo, nel cinquecentenario della sua morte, aprendo un dialogo con altre città toscane, prima fra tutte Firenze, e con la Francia.
Tutto questo è accompagnato da un grande impegno sul versante della progettazione europea, per capitalizzare contenuti e competenze sviluppati nel corso di questi anni di lavoro al programma ECoC.
E per il 2015? «E’ un’opportunità, e, in considerazione dei tempi brevissimi, ci impegniamo a «estrarre» i progetti più velocemente realizzabili e a sollecitare il territorio».
Alla fine della competizione, tirando le fila di quanto è stato fatto in ciascuna città e, in generale, a livello di sistema Paese, quella dell’ECoC 2019 è stata un’opportunità per sviluppare nuove progettualità e competenze, per pensare, più o meno concretamente, ad una rigenerazione sociale ed economica fondata sulla cultura, per aggregare soggetti, per far parlare di sé ed entrare nel circuito internazionale. Il programma ECoC non è un premio, ma un percorso di ricerca, di apprendimento, di crescita collettiva, che, se ben fatto, può davvero cambiare un territorio.
Solo questi primi mesi del 2015 ci mostreranno cosa davvero sopravvivrà al percorso di candidatura e quale sia la volontà di tutti soggetti uniti dall’entusiasmo della gara. E forse sarà proprio questo il merito della versione italiana dell’ECoC, una cartina tornasole per comprendere la reale spinta che stava e sta dietro la decisione di queste cinque città di immaginarsi Capitale della Cultura Europea 2019. Fondazioni bancarie, organizzazioni culturali, imprese, università, associazioni di categoria e, prime fra tutti, le amministrazioni, se hanno davvero creduto in questa visione, certo non vorranno buttare via lo sforzo aggregativo e progettuale compiuto in questi anni di lavoro.
Chissà, dunque, chi tra queste città si renderà conto di avere tra le mani un piano pluriennale, che, se coerente con i criteri definiti dal programma europeo, nasce da un percorso condiviso e porta già dentro di sé strategie complesse di rigenerazione urbana, sociale ed economica, che traggono vantaggio dalla cultura. E poi c’è un patrimonio di competenze sviluppate per la stesura dei bid book da capitalizzare e concentrare sulla progettazione europea, sperando, così, che qualche aiuto dall’Europa arrivi lo stesso. I documenti di candidatura potranno essere rivisti, ridimensionati, alleggeriti delle proposte più legate all’ «evento 2019», ma per questo ancora più utili, perché privilegiati nella loro dimensione di processo.
Sarebbe certo una piccola rivoluzione, perché ad oggi, nonostante se ne parli tanto, in Italia ancora si fatica a individuare esperienze concrete di pianificazione strategica a base culturale per lo sviluppo dei territori.
Prima ancora di entrare nello specifico delle singole iniziative che Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena metteranno in campo per il 2015, si può forse già considerare come un’occasione anche quella della Capitale italiana della cultura, iniziativa concepita proprio per non disperdere lo sforzo e i risultati prodotti in termini di progettualità integrata e partecipata per la corsa all’ECoC 2019.
Anche se questo primo anno sconterà la sua inevitabile fase di start-up e dai «puristi» della cultura potrà essere rimproverata di essere l’ennesima iniziativa che privilegia l’evento al cambiamento, la visione di breve periodo a quella di lungo, si può sospendere il giudizio e sperare che si apra una nuova stagione di policy making.
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Dossier ECoC del Giornale delle Fondazioni