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Nuove prospettive museologiche: la cultura come dispositivo di relazione ed inclusività.

  • Pubblicato il: 15/07/2018 - 00:01
Autore/i: 
Rubrica: 
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di: 
Elena Inchingolo
Il Museo Bagatti Valsecchi, con la mostra Amore, musei, ispirazione. Il Museo dell’innocenza di Orhan Pamuk a Milano, ha ospitato, dal 19 gennaio al 24 giugno 2018, il Museo dell’innocenza, concepito dallo scrittore turco Orhan Pamuk,e inaugurato a Istanbul nel 2012. Si tratta di un esempio virtuoso di strategie museali innovative, che prevedono sinergie culturali e coinvolgimento attivo del pubblico. “Passare dalle stanze della casa museo Bagatti Valsecchi, dal suo collezionismo privato e domestico all’ambiente popolato dalle vetrine del Museo dell’innocenza ha naturalmente fatto emergere affinità e parentele, ed è stato anche un modo per guardare lo stesso Museo Bagatti Valsecchi da una prospettiva diversa, per riflettere su cosa sia oggi un museo, su come i musei si pongano nei confronti delle persone e delle città in cui si trovano”. Ne abbiamo parlato con le curatrici della mostra,  Lucia Pini, conservatrice del museo, e Laura Lombardi, docente di Fenomenologia della Arti Contemporanee all’Accademia di Brera.
Rubrica di ricerca in collaborazione con il Museo Marino Marini

 
[…] La vera sfida è raccontare attraverso i musei
la storia di singoli individui che vivono in quei paesi,
 con la stessa intensità, profondità e forza.
Orhan Pamuk
 
 
Nel 2012, pubblicato da Adelphi esce in Italia il libro La Storia del mondo in 100 oggetti, già celebre trasmissione radiofonica della BBC. Si tratta di un personalissimo museo portatile da percorrere attraverso gli oggetti descritti, custoditi nell’immensa collezione del British Museum di Londra, e raccontati dalla voce narrante di Neil MacGregor, allora direttore del grande museo britannico: un modo per sottolineare il ruolo del museo di raccontare la storia in senso più ampio attraverso le storie degli “oggetti-opere” che conserva.
 
La Storia è fatta di storie. Gli oggetti narrano storie particolari e personali che contribuiscono ad evidenziare aspetti controversi e nascosti della Storia ufficiale. Essi diventano quindi strumenti relazionali, “che un giorno diranno chi siamo alle generazioni future”. [1]
 
Questa concezione si presenta come soluzione museologica innovativa, spunto nell’attivazione di rapporti sinergici tra musei, nell’intento di interpretare la tradizione mediante una visione contemporanea, democratica ed inclusiva, volta a utilizzare la cultura come dispositivo di relazione e conoscenza. In particolare le nuove strategie di audience development sottolineano l’importanza dell’accessibilità museale attraverso il coinvolgimento attivo del pubblico: l’obiettivo è trasmettere l’idea che le collezioni museali non sono solo capaci di raccontare una storia, ma piuttosto di creare connessioni e consapevolezza tra questa storia ed il proprio pubblico.
 
A tal proposito da qualche anno sono state individuate a livello internazionale azioni concrete attraverso cui organizzare la programmazione museale, in particolare: 1. progettare un tour di visita che possa “raccontare una storia” al visitatore; 2. sviluppare attraverso la struttura museale e le sue collezioni un dialogo intergenerazionale; 3. permettere al pubblico di fruire del patrimonio attraverso accorgimenti innovativi; 4. fare rete, sviluppare cioè la collaborazione tra le strutture culturali.
 
Sul solco di tali prospettive museologiche, il Museo dell’innocenza di Istanbul, ideato dal Premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk, giunge al Museo Bagatti Valsecchi con una mostra internazionale Amore, musei, ispirazione. Il Museo dell’innocenza di Orhan Pamuk a Milano, che porta da Istanbul a Milano, la celebre storia d’amore di Kemal e Füsun, i protagonisti del romanzo omonimo, scritto dallo stesso Pamuk ed edito in Italia da Einaudi nel 2008.
Il Museo dell’innocenza, inaugurato ad Istanbul nel 2012, esito di un progetto culturale più ampio che include anche il romanzo e il catalogo della collezione del museo, l’Innocenza degli oggetti - edito in Italia, sempre nel 2012 da Einaudi – riunisce in 83 vetrine, tutti gli oggetti ossessivamente raccolti da Kemal, per colmare la mancanza dell’amata Füsun, diventando testimonianza eterna del suo amore.
 
La mostra, terminata il 24 giugno scorso, dopo sei mesi di fruizione, ha presentato, presso la casa museo milanese - esito dell’eccezionale vicenda collezionista di fine Ottocento dei fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi - la selezione di ventinove vetrine, intime wunderkammer fatte di immagini e oggetti dalla forte capacità evocativa. In questo modo è stato possibile raccontare la storia dei due protagonisti del romanzo, facendo percepire a livello immaginifico l’atmosfera di una Istanbul anni Settanta e Ottanta, che fa da scenario di una particolare e struggente vicenda umana.
 
Le vetrine sono state inserite nei ricchi ambienti della casa museo, luogo amato e frequentato dallo stesso Kemal. Si è creato così un “museo nel museo”, un corto circuito Milano-Istanbul e realtà-finzione in cui il visitatore ha potuto vivere luoghi e sensazioni di un uomo, collezionista, alter-ego, in un processo di confronto ed immedesimazione.
 
Dopo 130 giorni di apertura e quasi 100 eventi collaterali tra visite guidate, aperture serali e laboratori per i visitatori più piccoli, la mostra ha raggiunto 15.000 accessi, con una crescita del 42% sul numero di presenze in museo nel medesimo periodo dell’anno precedente. Un esito positivo che porta rinnovata linfa a quelle strategie museali innovative che si propongono di divulgare la cultura in senso più ampio e trasversale.
 
Il Museo Bagatti Valsecchi è una casa museo, che i due fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, negli anni Ottanta del XIX secolo, si dedicarono a ristrutturare ed allestire con la propria collezione, in progress, di dipinti e manufatti d’arte applicata quattro-cinquecenteschi. L’intento era di creare una dimora ispirata alle abitazioni del Cinquecento lombardo, affiancando a tavole antiche di autori come Giovanni Bellini, Bernardo Zenale, il Giampietrino, cofanetti in pastiglia, arredi lignei, manufatti in vetro o in ceramica. Ogni opera costituisce un elemento imprescindibile nel coerente progetto Bagatti Valsecchi, contribuendo a definirne il suggestivo insieme, che è il museo stesso.
 
Dopo la morte di Fausto e di Giuseppe, casa Bagatti Valsecchi continuò a essere abitata dagli eredi sino al 1974, anno in cui venne costituita la Fondazione Bagatti Valsecchi, alla quale venne donato il patrimonio delle opere d’arte raccolto dai due fratelli. Vent’anni dopo, nel 1994, apriva al pubblico il Museo Bagatti Valsecchi, una delle case museo meglio conservate d’Europa e una delle prime grandi espressioni del design milanese.
 
In questo contesto è stata ospitata la mostra Amore, musei, ispirazione. Il Museo dell’innocenza di Orhan Pamuk a Milano, curata da Lucia Pini, conservatrice del museo, e Laura Lombardi, docente di Fenomenologia della Arti Contemporanee all’Accademia di Brera. Il progetto espositivo, concepito in  stretta collaborazione con la Innocence Foundation e Orhan Pamuk, si è avvalso dell’allestimento dello Studio Lissoni Associati ed è nata dalla collaborazione tra il Museo Bagatti Valsecchi e l’Accademia di Belle Arti di Brera con il sostegno di Regione Lombardia.
 
Abbiamo incontrato le curatrici della mostra per meglio comprendere l’iter progettuale e le strategie museologiche ad esso sottese.
 
Qual è stata la genesi del progetto Amore, musei, ispirazione. Il Museo dell’innocenza di Orhan Pamuk a Milano nella sede del Museo Bagatti e Valsecchi?
 
Laura Lombardi - Il progetto trae origine dalle giornate dedicate a Pamuk all’Accademia di Belle Arti di Brera (18-19 gennaio 2017), dove insegno. In quell’occasione è stato conferito il Diploma Honoris causa a Pamuk (con Laudatio di Salvatore Settis) ed è seguito un convegno, da me curato con Massimiliano Rossi, cha ha visto la partecipazione di studiosi di museologia e di arte contemporanea, e dello stesso Pamuk che è intervenuto più volte. L’esito delle giornate è confluito nel volume «Un sogno fatto a Milano, dialoghi con Orhan Pamuk intorno alla poetica del museo» edito da Johan&Levi proprio in coincidenza con l’apertura della mostra. Al convegno, con Lucia Pini, abbiamo espresso a Pamuk il desiderio di realizzare il progetto al Museo Bagatti Valsecchi, trattandosi di uno dei cinque musei al mondo preferiti da Kemal. La specificità, rispetto alle mostre di Londra e di Oslo dedicate al Museo dell’Innocenza, sta proprio in questo, in una progettualità più ampia, multidisciplinare. La mostra, realizzata con la Innocence Foundation, grazie al contributo sostanziale della Regione Lombardia e in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, si è così inaugurata a un anno esatto dal convegno milanese, quasi come naturale prosecuzione.
 
Gli oggetti collocati nelle 29 vetrine in mostra, si presentano come una suggestiva wunderkammer e diventano efficace dispositivo relazionale con il fruitore. Come è stata effettuata la selezione per la mostra? Secondo quale criterio semantico?
 
Laura Lombardi - Pamuk crea il museo in totale simultaneità con il romanzo, sovrapponendo il proprio ruolo di narratore alla figura di Kemal, che ha raccolto gli oggetti che lo legano all’amata Füsun. Le vetrine esposte sono quelle di maggior significato nello snodo narrativo, e seguono la numerazione dei capitoli del romanzo. Alcune sono stracolme di oggetti, altre hanno invece un’eco surrealista, altre sono più spoglie, icastiche come quella con la grattugia sul fondo scuro oppure presentano inserimenti, oltre che di fotografie, anche di video, come nel caso della scena di Grace Kelly nel film di Hitchcock, che guida l’auto nella posa che avrà Füsun in una scena cardine del libro. E, come nelle wunderkammer, oggetti pur provenienti da ambiti diversi, sono legati tra loro da trame sottili. L’operazione concettuale di Pamuk rende gli oggetti racchiusi nelle vetrine (oggetti “trovati”, quotidiani, non preziosi, scovati nei mercatini istanbulioti) non importanti in quanto ‘originali’ ma in quanto, appunto, dispositivo di narrazione. Le vetrine esposte sono infatti repliche di quelle del museo di Istanbul, che resta integro per chi lo visiti.
 
Pamuk afferma: “Il Futuro dei musei è nelle nostre case”. Condivide questo punto di vista?
 
Laura Lombardi - Nell’arte dei nostri tempi l’aspetto della memoria, del racconto per immagini e per oggetti personali, anche in relazione a tematiche più ampie, è molto presente. Perfino l’indirizzo museografico di grandi istituzioni negli ultimi due decenni ha guardato al modello casa-museo, puntando sul coinvolgimento del fruitore attraverso forme più tematiche e narrative.
 
Con la mostra Amore Musei Ispirazione si è creata un’importante relazione tra il Museo Bagatti Valsecchi e il Museo dell’innocenza di Istanbul? Com’è stata interpretata tale sinergia? È stato un modo per fornire nuovi input museologici?

 
Lucia Pini - Prima ancora che in questa mostra appena conclusa, la relazione tra il Museo dell’innocenza di Istanbul e il Museo Bagatti Valsecchi è nata tra le pagine del romanzo omonimo di Orhan Pamuk; il museo milanese è il museo preferito di Kemal Basmaci, il protagonista del romanzo, che al Bagatti Valsecchi si ispira per costruire il proprio museo personale. Dunque, sarebbe stato davvero un’occasione mancata non far incontrare dal vero due realtà già così intimamente legate dal punto di vista narrativo e museologico; è un progetto che inseguivo sin dal 2012, anno dell’apertura del Museo dell’innocenza a Istanbul e che è diventato realtà grazie alla felice sinergia con l’Accademia di Brera e al sostegno di Regione Lombardia. Ad affascinarmi era anche – e forse soprattutto -  l’idea del museo nel museo, ovvero la possibilità di dar vita a un gioco di scatole cinesi che mi pare perfettamente in linea con la vertiginosa operazione meta-narrativa e museografica creata da Orhan Pamuk: passare dalle stanze della casa museo Bagatti Valsecchi, dal suo collezionismo privato e domestico all’ambiente popolato dalle vetrine del Museo dell’innocenza ha naturalmente fatto emergere affinità e parentele, ed è stato anche un modo per guardare lo stesso Museo Bagatti Valsecchi da una prospettiva diversa, per riflettere su cosa sia oggi un museo, su come i musei si pongano nei confronti delle persone e delle città in cui si trovano.
Temi, questi, che Orhan Pamuk ha trattato con grande chiarezza nel suo Modesto manifesto per i musei -  anch’esso proposto in mostra - dove l’accento sui musei costruiti intorno alle persone e alle loro storie, in cui anche gli oggetti più quotidiani acquistano forza e pregnanza, suona ancor più vibrante all’interno di un luogo quale il Museo Bagatti Valsecchi.
 
Come ha reagito il pubblico del museo? Vi è stato, a suo avviso, un esito positivo di audience engagement?
 
Lucia Pini - Questa mostra ha coinvolto anche persone estranee all’audience abituale del museo e si è prestata a letture differenti: è stata apprezzata dagli ammiratori di Orhan Pamuk, che vi hanno ritrovato la storia di amore tra Füsun e Kemal, ma le vetrine-installazione del Museo dell’Innocenza hanno anche richiamato quanti sono maggiormente attratti dall’arte contemporanea o, ancora, hanno offerto l’occasione per una riflessione di taglio museologico. Tutti questi pubblici diversi sono stati comunque catturati dal “campo magnetico” delle scatole/wunderkammer di Pamuk, dalla loro capacità di parlare a ciascuno di noi, entrando in risonanza con la sfera più intima e affettuosa d’ogni persona.
 
 “La Fondazione Bagatti Valsecchi Onlus ha come mission la gestione del Museo Bagatti Valsecchi, che conserva ed espone al pubblico, nell’ambiente che le è proprio e che le è inseparabile, la raccolta d’arte dei fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, collezione che non potrà mai essere smembrata. La Fondazione agisce nello spirito di tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse storico-artistico”, recita lo statuto della Fondazione. Quest’esperienza museologica può aprire a nuove strategie di valorizzazione culturale?
 
Lucia Pini - La mostra segna una precisa presa di posizione a difesa della “biodiversità” di cui spesso i piccoli musei sono custodi in tempi di gigantismo museologico e omologazione culturale. Ben prima che a strategie di marketing, è proprio alla difesa di tali diverse identità che si affida l’autentica valorizzazione culturale.
 
In conclusione una domanda più emozionale…Qual è la vostra “teca – wunderkammer” preferita?
 
Laura Lombardi - Una domanda che mi mette sempre in crisi: amo molto la numero 14, «Le strade, i ponti, le salite, le piazze di Istanbul», che raffigura la banchina del Dolmabahçe, ideata come il palco di un teatro con gli oggetti in relazione dimensionale alterata e la figurina di una presunta Füsun che si intravvede sullo sfondo: Pamuk dice di esser stato qui «sensibile ai capricci della bellezza nata dal caso». Ma anche «La casa vuota» - numero 37 - con il pomello di porcellana dello sciacquone del bagno, la biglia, il pezzo di carta da parati arrotolata, tutto ciò che Füsun aveva ‘toccato’.
 
Lucia Pini - «La morte di mio padre», la numero 47. Dopo la sua scomparsa, il padre del protagonista Kemal è “raccontato” attraverso oggetti da niente – medicinali scaduti, vecchi documenti, fotografie, bottoni - accumulatisi nel suo comodino. Nulla di più efficacie per sprigionare la potentissima forza evocativa delle cose e celebrare la loro capacità di accumulare storie ed emozioni.
 
Ph: Orhan Pamuk. credits Masumiyet Muzesi

[1] Neil Mac Gregor, La Storia del mondo in 100 oggetti, Adelphi, Milano, 2012, p. 660