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Millennials, condizioni attuali e prospettive future di una generazione a rischio

  • Pubblicato il: 13/05/2016 - 18:39
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Vittoria Azzarita

Il volume «La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2016» realizzato dall'Istituto Giuseppe Toniolo, con il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo rappresenta la principale indagine continua sull'universo giovanile italiano. In un clima di generale incertezza e di profonda instabilità, le nuove generazioni incontrano oggi maggiori difficoltà oggettive nel passaggio alla vita adulta. Attraverso un'ampia e variegata analisi dei fenomeni economici, sociali e culturali con cui i giovani sono chiamati a confrontarsi, lo studio dell'Istituto Toniolo mette in luce numerose questioni che necessitano di essere risolte per fugare il rischio di una «generazione persa» 
 
 
 
 
A lungo considerati come la principale risorsa del Paese, i giovani sono diventati nell'arco di pochi decenni una categoria a rischio da tutelare e sostenere con apposite politiche e specifici piani d'azione. Minacciati dal progressivo invecchiamento della popolazione, i ragazzi che oggi hanno tra i 15 e i 34 anni sono numericamente inferiori rispetto a quelli delle generazioni che li hanno preceduti, rappresentando il 21,1% del totale dei residenti in Italia al 1° gennaio 2015[1]. Fortemente limitate nel raggiungere una propria autonomia economica e abitativa dalla famiglia di origine, le nuove generazioni faticano ad affermarsi all'interno di un contesto sociale ed economico profondamente mutato rispetto al passato.
 
Consapevole della necessità di una maggiore comprensione dell'universo giovanile italiano, nel 2013 l'Istituto Giuseppe Toniolo, in collaborazione con l'Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo, ha promosso il progetto «Rapporto Giovani», che si configura come la più importante rilevazione continua sui giovani che vivono in Italia.
 
Dopo una prima indagine condotta nel 2012, l'Istituto Toniolo ha realizzato nel corso del 2015 un secondo approfondimento statistico su un campione rappresentativo a livello nazionale di 9.000 giovani tra i 18 e i 32 anni, i cui risultati sono confluiti nel volume «La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2016», edito da il Mulino. Contestualmente sono stati ampliati gli ambiti d'indagine dell'Osservatorio che funge da collettore di dati per le elaborazioni contenute nel Rapporto Giovani, che in virtù di ciò nell'ultima edizione si arricchisce di un confronto internazionale (per ora limitato a Spagna, Francia, Germania e Regno Unito), di un'analisi dei dati provenienti dai social network e di una valutazione di impatto di alcuni programmi sperimentali di attivazione lavorativa e sociale dei giovani.
 
I temi portanti della condizione giovanile
I Millennials, ossia i giovani che hanno compiuto 18 anni dal 2000 in poi, condividono un'unica grande preoccupazione: la paura di non riuscire a trovare un lavoro e di conseguenza di non poter realizzare le proprie scelte di vita. Costretti a restare all'interno del nucleo familiare di origine oltre la soglia dei trent'anni, i giovani italiani non si sentono adeguatamente tutelati da un sistema di welfare che è rimasto ancorato a una struttura sociale che non corrisponde più ai parametri attuali. «Una bassa natalità e uno scarso investimento sul capitale umano delle nuove generazioni producono – secondo l'indagine dell'Istituto Toniolo – squilibri non solo di tipo demografico, che si riflettono in prospettiva in minore crescita e minore solidità del sistema sociale».
 
Posticipando la fase di transizione alla vita adulta, il perdurare della crisi economica ha contribuito a una rilevante diffusione del fenomeno dei «giovani adulti» anche nel nostro Paese. Conosciuto in letteratura con l'espressione inglese di «emerging adulthood», il prolungarsi della fase di passaggio dall'adolescenza all'acquisizione dello status di adulto dai 18 ai 29 anni - arrivando talvolta ai 32 anni - ha portato secondo il Rapporto Giovani a «un conseguente cambiamento dei compiti evolutivi classici della famiglia, e soprattutto dei genitori, che si trovano in discontinuità con il passato a doversi impegnare attivamente in una 'impresa evolutiva congiunta' con i loro figli per sostenerli nella transizione alla vita adulta». Non più luogo privilegiato di conflitto e lotta generazionale, la famiglia diventa un luogo di scambio dove vivere insieme, «in cui ogni membro può ritrovare il senso del proprio divenire».
 
Meno istruiti rispetto ai loro coetanei europei e maggiormente propensi ad abbandonare gli studi, i giovani italiani considerano il sistema scolastico più come una palestra di vita che come un luogo in cui apprendere nozioni e competenze spendibili nel mondo del lavoro. Il Rapporto Giovani ci parla di un sufficiente apprezzamento dei giovani nei confronti del sistema di istruzione e formazione, mettendo in evidenza alcuni segnali di debolezza, tra i quali spicca un calo della fiducia complessiva nei confronti della scuola come istituzione. A questo fenomeno fa da sponda la rilevanza assunta in anni recenti dal gruppo dei «neet»[2], che indica quella porzione di giovani con un'età compresa tra i 15 e i 29 anni che non frequenta un istituto scolastico, non è impegnata in un'attività formativa e non lavora. La sua incidenza in Italia è più elevata rispetto agli altri Paesi europei, rimarcando la duplice disaffezione dei giovani nei confronti di un sistema scolastico qualitativamente carente e di un sistema occupazionale poco propenso alla valorizzazione del merito e delle competenze.
 
 
 
Una generazione mobile
Abituati a muoversi liberamente tra i vari Stati europei, i Millennials considerano naturale vivere in un mondo senza confini, aperto alle contaminazioni e al confronto tra culture diverse. Nella formazione di questa attitudine alla mobilità internazionale ha giocato un ruolo positivo la progressiva diffusione di politiche giovanili di matrice europea che, attraverso l'istituzione di apposite linee di finanziamento, ha saputo creare maggiori e pari opportunità per i giovani nell'istruzione e nel mercato del lavoro, promuovendo la cittadinanza attiva, l'inclusione sociale e la solidarietà fra i giovani.
 
A questo proposito può essere utile ricordare che il primo programma di spesa dell'Unione Europea dedicato al settore della gioventù, e chiamato «Gioventù per l'Europa» (1989-1991), fu varato nel 1988 e prevedeva una dotazione di 19,5 milioni di euro. Successivamente è stato sostituito prima da «Gioventù per l'Europa II», in vigore nel periodo 1992-1994 (con una dotazione di 31,5 milioni di euro), e poi da «Gioventù per l'Europa III» (1995-1999; 145,1 milioni di euro). Nel 1998 il Consiglio ha poi deciso di istituire il servizio di volontariato europeo per i giovani, anche se il programma era stato finanziato in via sperimentale a partire dal 1996.
 
Il 2001 segna un punto di passaggio importante nella programmazione europea a sostegno dei giovani con l'adozione del Libro Bianco sulla Gioventù, attraverso cui la Commissione Europea proponeva di rafforzare le misure collaborative in quattro aree prioritarie per i giovani: la partecipazione, l'informazione, l'attività di volontariato e il miglioramento delle conoscenze delle questioni riguardanti le nuove generazioni. Alla luce degli attuali sviluppi della programmazione europea, tutti i programmi dedicati all'istruzione e alla formazione, alla gioventù e allo sport sono stati riuniti sotto il programma «Erasmus+» (2014-2020), che prevede un capitolo specifico relativo ai giovani, al quale è destinato il 10% della dotazione totale pari a 1,477 miliardi di euro. L'Unione europea in una comunicazione ufficiale sul futuro della cooperazione in materia di gioventù per il periodo 2016-2018, ha posto quali assi prioritari di intervento: l'aumento dell'inclusione sociale di tutti i giovani, e in particolare dei neet e dei migranti; una maggiore partecipazione dei giovani, soprattutto di coloro che sono a rischio emarginazione; e una più agevole integrazione nel mercato del lavoro[3].
 
Tali incentivi alla mobilità hanno fatto sì che sia sempre più numeroso il numero di giovani che scelgono di trasferirsi all'estero con l'intento di migliorare le proprie condizioni di vita. Complessivamente, secondo i dati raccolti dalla Fondazione Migrantes[4] - e ripresi dall'Istituto Toniolo - gli iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono lievitati di quasi il 50% dal 2006 al 2015. In valore assoluto gli espatri di cittadini italiani erano attorno alle 40.000 unità fino ai primi anni di crisi, salendo a quasi 90.000 nel 2014.
 
Per la Fondazione Migrantes, i cittadini italiani che decidono di cambiare la propria residenza per trasferirsi in un Paese estero sono in prevalenza uomini (57,6%), con un’età mediana compresa tra i 30 e i 34 anni per entrambi i generi, e nel 61% dei casi sono celibi/nubili. Ad espatriare sono in particolare i giovani cresciuti con il paradigma dell’euro-mobilità (oltre il 44% nella fascia di età 25-39 anni), a riprova del fatto che per i Millennials l'Italia presenti la peggiore combinazione in Europa tra condizioni attuali e prospettive future. Con una disoccupazione giovanile oltre il 40%, all’interno degli espatri cresce l’incidenza dei laureati, salita fino al 30% di chi lascia il nostro Paese dopo i 24 anni. Si conferma quindi la tesi secondo cui è più incline a trasferirsi all'estero chi ha già usufruito di programmi di scambio formativo fin dai tempi dell’università, e vive l’emigrazione come un’opportunità da cogliere e utilizzare a proprio vantaggio per realizzare le proprie aspirazioni e scegliere fino in fondo la strada da percorrere.
 
Il fattore cultura
In un Paese che sembra rimanere inerte di fronte all'emorragia del proprio capitale umano più promettente e meglio formato[5], qual è la percezione che hanno i giovani della cultura? Esiste la reale possibilità che il rischio, a volte evocato con toni funesti, di una «generazione persa» possa essere fugato grazie a una rinascita culturale del nostro Paese, capace di innescare un processo di empowerment dei giovani e della società nel suo complesso?
 
In linea con questi interrogativi, il Rapporto Giovani dedica al tema dei consumi culturali un approfondimento tematico sulla fruizione di contenuti audiovisivi e sull'impatto delle nuove tecnologie. Sebbene il campo d'indagine sia limitato a una sola tipologia di prodotto culturale, la ricerca offre in ogni caso interessanti spunti di riflessione. Come è facile intuire, i Millennials sono una generazione abituata a relazionarsi con le tecnologie digitali, che rappresentano anche il principale mezzo attraverso cui accedono a una varietà potenzialmente infinita di contenuti e informazioni. Nonostante il loro essere sempre connessi, i giovani continuano a usufruire di esperienze culturali di tipo tradizionale, come andare al cinema per vedere un film, principalmente per stare insieme agli amici o al proprio partner. A partire del perdurare di un interesse che risulta essere prima di tutto sociale, e che si configura solo in seconda battuta come culturale, emerge una peculiare connotazione attribuita al prodotto cinematografico che viene visto dai giovani più come una forma di intrattenimento “pop” che come un'espressione artistica intesa in senso “alto”.
 
Figli di quel processo di spettacolarizzazione che ha interessato tutti gli ambiti della vita economica, sociale e culturale dell'era postmoderna, i Millennials sembrano aver smarrito il senso del bello. Privati nella maggior parte dei casi di un'adeguata educazione estetica, i giovani si trovano sprovvisti dei mezzi e degli strumenti per scegliere in maniera critica e consapevole cosa consumare anche in base alla qualità dei contenuti e non solo all'attrattività del contenitore.
 
Tra i molti fattori che possono influenzare in maniera depressiva la realizzazione personale e professionale delle nuove generazioni, la mancanza di accesso alla cultura ha lo stesso peso dell'assenza di idonee opportunità formative e lavorative. Lungi dall'essere un elemento accessorio, lo sviluppo della propria identità culturale è parte integrante del processo di crescita dei giovani. Senza un solido riconoscimento culturale e identitario, i Millennials e con loro le generazioni successive, rischiano seriamente di perdersi e di andare alla deriva.
 
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[1]    Fonte: Istat, Sistema informativo giovani, consultabile online al seguente link http://www.istat.it/it/giovani

[2]    «Neet» indica l'acronimo di «Not in education, employment or training».

[3]    COM2015_429, Progetto di relazione congiunta del Consiglio e della Commissione sull'attuazione di un quadro rinnovato di cooperazione europea in materia di gioventù per il 2015 (2016-2018).

[4]    Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel Mondo 2015. Una sintesi della ricerca è consultabile al seguente link http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.redir_allegati_doc?p_id_pagina=74129&p_id_allegato=88913&rifi=&rifp=&p_url_rimando=%2Fcci_new_v3%2Fallegati%2F74129%2FSintesi_RIM2015.pdf

[5]    La Fondazione Migrantes definisce i Millennials la «generazione più istruita dal Secondo dopoguerra ad oggi; una generazione in possesso di qualificati titoli di studio post-laurea: corsi di specializzazione, master, dottorati di ricerca, certificazioni delle lingue, programmi di studio per scambi internazionali (Erasmus prima e ora addirittura Erasmus+)».