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L'altro «dove» che guarda il lato nascosto del cubo di cui vedo solo la parte rivolta a me

  • Pubblicato il: 15/11/2015 - 23:51
Autore/i: 
Rubrica: 
PAESAGGI
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe
Michelangelo Pistoletto in visita all'Abbazia di Fossanova - Priverno (LT). Foto: Francesco Saverio Teruzzi

Nell’epoca dell’urbanizzazione planetaria, lontano dall’eco delle grandi città, pratiche artistiche e culturali si riappropriano dei territori trasformando gli spazi in luoghi. Il confine – territoriale e disciplinare – diventa l’occasione di una possibile «rinascita», una fenditura in cui far germogliare semi di cambiamento. L’arte e l’esperienza sensibile si fanno vettore di questa trasformazione coltivando i territori e facendo della «periferia» il terreno fertile di un processo in cui dimensione simbolica e pratica si coniugano. In questa nuova geografia in fieri il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto diventa il motore generativo per una nuova idea di urbanità
 

 
Alla cecità della nostra immaginazione corrisponde la mutezza del mondo.
G. Anders
 

 
 
Se tutto è urbano
Se Holderlin profetizzava un abitare poetico, quello cui si assiste oggi – guardando alle più recenti teorie urbanistiche sull’urbanizzazione planetaria – è un’autoreferenzialità solipsistica che caratterizza molta della progettualità, dalla modernità ad oggi.
Scenari che non rispondono più a bisogni né desideri e rivelano - direbbe Marta Lonzi - una mancanza di autenticità del progetto, una mancanza di aderenza alla realtà.
Un’urbanizzazione diffusa, con processi di concentrazione e di dispersione di cui la città non è che una di queste forme di urbanizzazione.
 
Ma se «la città è ovunque e in ogni cosa», con la mondializzazione dell’urbano, mentre assistiamo alla nascita di nuove forme ibride nelle quali è sempre più difficile riscontrare una differenza netta tra città e non-città, il confine diventa la soglia della nostra percezione del mondo.
Le dicotomie città/campagna, centro/periferia, urbano/rurale, risultano «punti di vista» che producono l’effetto caleidoscopico di più storie o narrazioni che variamente e vagamente descrivono l’insieme che costituisce il referente mutevole dell'intera realtà.
Secondo questa prospettiva, nella continua trasformazione di un tessuto urbano industrializzato, in cui i centri di agglomerazione e i loro paesaggi operativi si intrecciano, nuovi modelli di polarizzazione centro/periferia si sovrappongono l'un l'altro attraverso i luoghi, i territori e le scale, creando nuove partiture in un rimescolamento continuo di accordi socio/spaziali.
 
«La formazione planetaria dell’urbanizzazione ha offuscato, ma anche esploso, confini non solo tra città e campagna, urbano e rurale, centro e periferia, metropoli e colonia, società e natura, ma anche tra le stesse scale urbane, regionali, nazionali e globali - in modo tale da creare nuove formazioni di un paesaggio fittamente urbanizzato i cui contorni sono estremamente difficili, se non impossibili, da teorizzare, molto meno da mappare, sulla base di approcci ereditati da studi urbani»[1].
Una crisi nella definizione dei confini che diventa opportunità nella misura in cui il margine, la fenditura, il limen diventano il terreno fertile di una possibile «ri-nascita» in cui dimensione simbolica e pratica si coniugano.
 
 
Il centro non esiste
Aree di margine, che usualmente vengono considerate al di fuori dei confini della città, in questa prospettiva, riscoprono una rinnovata funzione e diventano il luogo fertile di una nuova prosperità. Non luoghi arretrati o residuali, antitesi di quel progresso cui il mondo ottocentesco sembrava puntare, ma terreni di sperimentazione, di socialità, occasione di scoperta di un sistema di relazioni che nella città densa, profanata dal capitalismo e dalla speculazione, rischiano di perdersi.
Nell’era dell’urbanesimo planetario riacquistano nuova centralità quelle aree sostanzialmente lontane dai centri urbani, dai centri di offerta di servizi, un tempo fulcro vitale della vita delle comunità locali e oggi caratterizzate da processi di spopolamento, abbandono e degrado o peggio, dimentiche della loro storia, frutto di secoli di stratificazioni, a causa di un’incessante omologazione che le ha travolte dal secondo dopoguerra, producendo una progressiva perdita delle proprie differenze, delle proprie peculiarità, della propria storia.
 
«E’ come se una nuova storia universale – scrive lo storico Piero Bevilacqua tendesse non più a dialogare con la pluralità dei luoghi del mondo, ma cercasse di annetterseli, di cancellarli sotto il proprio unilaterale profilo funzionale. L’uniforme dominio delle ragioni utilitaristiche dell’economia e della tecnica cerca di avere la meglio sull’infinita diversità della natura e della storia».
Una perifericità che si è sviluppata in Italia dal secondo dopoguerra quando si è scelto di percorrere una traiettoria di industrializzazione e di crescita economica molto intensa. Una crescita accelerata che ha riguardato gran parte territorio italiano – in tutte le regioni – e che alla fine degli anni ottanta ha visto una intensa polarizzazione tra un sistema territoriale a forte carattere urbano formato dai grandi, medi e piccoli sistemi urbani e, dall’altro, un sistema territoriale formato da piccoli centri, dai borghi e insediamenti montani[2].
 
 
Se l’arte è al centro, il centro è dappertutto
Prometeo era uno dei Titani, fratello di Atlante, che formò il primo uomo dal fango, secondo la tradizione mitologica. Accusato di aver rivelato all’uomo il segreto del fuoco sottratto a Zeus, questi lo fece inchiodare ad una rupe del Caucaso perché un’aquila gli divorasse periodicamente il fegato che, altrettanto ciclicamente si riformava.
Prometeo – assunto a simbolo del progresso – è colui che donò agli uomini le scienze e le arti e simboleggia il passaggio dell’uomo da uno stato di natura ad uno stato di artificio. Il passaggio – per dirla come Michelangelo Pistoletto – dal primo al secondo Paradiso (dal persiano paraideza)[3].
Un passaggio epocale che ha prodotto un discrepanza tra le azioni che l’uomo compie e gli effetti che questi hanno sull’ambiente, naturale e umano, e che impone un ripensamento, un’azione, una ri-definizione delle modalità di agire, un nuovo modo di essere nel mondo.
 
«Oggi l’umanità intera si trova nella necessità di concepire un nuovo paradiso terrestre, attraverso la connessione e l’integrazione dei due precedenti paradisi, quello naturale e quello artificiale. Siamo in un momento di passaggio epocale. Con l’espressione Terzo Paradiso nominiamo un possibile percorso per l’umanità intera: un nuovo mondo. Cogliendo la funzione simbolica dell’arte, ho deciso di proporre un simbolo con il quale rappresentare questo cammino. Tale simbolo è tratto dal segno matematico di infinito, costituito da una linea continua che incrociandosi forma due cerchi. Nel Terzo Paradiso la stessa linea configura tre cerchi invece di due. Quello centrale rappresenta il grembo della nuova società»[4].
 
Una nuova società animata da un impegno verso un cambiamento responsabile, una nuova geografia che pone l’arte al centro, passando attraverso tutti i campi del sapere e del fare. 
Un’ibridazione e un’azione necessari per comprendere e orientarsi nella complessità del mondo in cui viviamo.
Così il Terzo Paradiso è un segno che diventa simbolo di una volontà di cambiamento, una «ri-nascita» che si compie attraverso un impegno collettivo, attraverso l’attivazione di qualcosa che prima non c’era, la creazione di un’opera d’arte planetaria di cui noi tutti siamo gli artefici.
Un cambiamento che si compie, come nei vasi comunicanti, nella ridefinizione costante di un equilibrio tra le parti, mantenendo le reciproche differenze e pronto a ridefinirsi costantemente, andando incontro all’alterità.

 

 
Coltivare la città. Il Terzo Paradiso per «fareterritorio»
Nella corsa alla modernità e all’artificio, l’uomo ha abbandonato il territorio a sé stesso, riducendolo a funzione, a orpello, a risorsa da sfruttare.
Sperimentiamo oggi una generale caduta dell’urbano in cui sembra avverarsi la «mort de la ville» preconizzata da Françoise Choay nel 1994. Una rottura delle relazioni co-evolutive fra uomo e ambiente, come dice Alberto Magnaghi[5]. Una rottura che può essere una fenditura in cui far crescere semi generativi se si riparte «da una lucida presa d’atto dello stato delle cose, se si riparte dai luoghi»[6].
 
Una faglia che, dunque, può essere ricucita – non rammendata – attraverso la costruzione di relazioni, di intrecci, di innesti generativi tra parti differenti, anche contrastanti.
Stati di incontro che, per compiersi, necessitano di un primato della percezione sensibile, di un «filtro creativo» che, al pari del metodo scientifico, possano leggere e tradurre, attraverso un codice linguistico proprio, le realtà, aprendo una «finestra sul caos» per arrivare a nuove possibili progettualità, in un processo di soggettivazione che, nella relazione uomo-ambiente condotta mediante procedure d’interazione individuo-spazio-individuo, da uno va a molti.
Si tratta di costruire pratiche capaci di attivare da subito, e a partire dai saperi e dalle competenze acquisite, delle ipotesi di‘patti di vita’ collettiva fondati sul presupposto che la ‘crisi di modello’, più che una segnalazione dei limiti di sviluppo raggiunti, è l’indicazione di una svolta necessaria e radicale degli stili e dei bisogni di vita[7].
 
Al dono avvelenato di Prometeo, si contrappone il dono generativo di una possibile «rinascita», possibile però soltanto attraverso l’assunzione della responsabilità, attraverso la ridefinizione della scala di priorità e di valori, l’adozione di diversi modelli di comportamento capaci di integrare nuovamente natura e cultura. Un nuovo modo di abitare poeticamente il mondo.
Una «presa in carico» che l’arte persegue forse meglio di altri, per la sua capacità di attraversare i confini, aprendo brecce, di oscillare tra libertà e responsabilità, tra autonomia e eteronomia, tra teoria e pratica.
 
E’ così che il Terzo Paradiso, l’ambizioso progetto di Michelangelo Pistoletto per un’opera planetaria, e l’attività della sua Fondazione Cittadellarte diventano il motore generativo per una nuova idea di urbanità che, con il manifesto «Coltivare la città», riporta l’attenzione proprio al «margine» situando sul confine – quello urbano, ma anche quello disciplinare - il cerchio centrale di rinascita.
Se tutto è urbano nelle zone di confine tra città e campagna, tra urbano e rurale da un lato sempre più dominate dalla speculazione artificiale o da una ugualmente dannosa mummificazione cartolinizzante, dall’altra sede di un rigoglioso sottobosco in fermento l’arte agisce in potenza facendo della periferia il fulcro delle pratiche di cambiamento, lontano dall’eco della città pur connettendo il mondo.
In nome di questa visione di rinascita molti territori al confine, in «provincia» – solitamente considerati marginali rispetto alle grandi città ritrovano una nuovo fermento, danno forma a corpi amorfi, mettendo al centro l’arte e la cultura per una riappropriazione e trasformazione dello spazio urbano e sociale e per la costruzione di collettività e comunità mai predefinite ma sempre mutevoli che si generano dall’incontro.
Una geografia[8] «altra» si va configurando dalla necessità di costruire un terzo luogo di pensiero e azione tra mondo artificiale e mondo naturale, non tanto per rigenerare quanto per rendere generativi i territori.
 
A Exilles, in Val di Susa, il simbolo di rinascita va ad abitare le pendici del Forte di Exilles, il giasset, in un progetto partecipato, condiviso da una molteplicità di attori, da Torino alla Valle. Un segno di pace che guarda l’Europa, in una terra animata da tensioni per la grande infrastruttura, a due passi dal cantiere TAV, nel paese delle radici paterne del Maestro (www.youtube.com/watch?v=wxOvbFfqxCc).
Un giardino realizzato con undicimila lavande montane – piante caratterizzanti il luogo e la sua microeconomia artigianale, fino a cinquant’anni prima – affidato a giovani imprese sociali  per stimolare il ripopolamento del territorio  attraverso il recupero delle terre con progetti di agricoltura biologica.
 
Tra i Monti Lepini il Terzo Paradiso è d’ispiratore per la creazione di un laboratorio cross-disciplinare, itinerante e multi-situato di ricerca urbana e sperimentazione artistica che, in nome di questa poetica di rinascita e usando «l’immaginazione come metodo», in collaborazione con una fitta rete di espressioni culturali del territorio, agisce attivando un patrimonio esistente e un tessuto locale attraverso processi di co-creazione. Un invito a praticare uno sguardo «altro» per una conoscenza, ri-semantizzazione e appropriazione del territorio e per la germinazione di nuovi cantieri di pensiero e di azione.
 
A Lamezia Terme il Terzo Paradiso – in un viaggio che connette l’Italia alle periferie del mondo facendo transitare in più luoghi (Cuba, Giappone, Indonesia tra gli altri) una tela, simbolo di un intreccio e di una trama di relazioni  – diventa l’occasione per sensibilizzare le comunità locali e le scuole sull'importanza dell'educazione attraverso l'arte e la creatività su tematiche come l'ambiente, la solidarietà, la trasformazione responsabile, l'integrazione sociale.
 
Da nord a sud, passando per il centro, queste pratiche rappresentano solo alcuni semi di una germinazione planetaria che fa il giro del mondo. Una mappatura in fieri (www.terzoparadiso.org) traccia dinamiche di cambiamento e vede crescere nuovi poli creativi che lavorano per trasformare la periferia in un microcosmo generativo, dando vita a «qualcosa che prima non c’era».
Queste pratiche incidono in maniera trasformativa – come agopuntura – nei territori, spesso situandosi proprio laddove la politica arretra e agendo politicamente, innescando dei processi critici di comprensione delle realtà, costruendo nuovi immaginari e aumentando il senso delle possibilità attraverso la capacità immaginativa e l’attività artistica e creativa.
 
Un’attività che cambia il nostro modo di percepire e si manifesta nell’incerto, nell’impalpabile o fugace e si rivela solo a un’attenzione profonda, in cui ci si ritrae, fuori di sé, e ci si immerge nelle cose.
Un primato del sensibile in cui l’insieme non è mai la somma e che è «la percezione inevitabile dell'altro, come l'altro ‘dove’ che guarda il lato nascosto del cubo di cui vedo solo la parte rivolta a me»[9]
 

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Foto: Michelangelo Pistoletto in visita all'Abbazia di Fossanova - Priverno (LT). Credits: F.S.Teruzzi
[1] N. Brenner (a cura di), Implosion/Explosion. Towards a study of planetary urbanization, Jovis, 2013
[2] Molte di queste aree del nostro paese sono comunemente dette «aree interne» e, tecnicamente, corrispondono alle zone geografiche meno servite dai servizi pubblici. Coprono circa il 60 percento dell’Italia e sono abitate da circa 13,540 milioni di persone, sono caratterizzate da un andamento demografico fortemente in calo e da una marginalità rispetto ai principali servizi (sono state individuate e circoscritte costruendo un set di indicatori quantitativi che ne misurano la lontananza dalle scuole, dagli ospedali, dalle stazioni, in termini di distanza e raggiungibilità, cioè in tempi di percorrenza) e, oggi, sono oggetto di una strategia nazionale di sviluppo complessiva, la Strategia Nazionale per le Aree Interne, lanciata dal Ministero per la Coesione Territoriale nel 2013 con l’ambizioso obiettivo di invertire la loro secolare e crescente tendenza allo spopolamento, e di restituire loro centralità nella riflessione politica e nel dibattito sul futuro del paese.
Vedi F. Tantillo, La strategia nazionale per le aree interne: sperimentare nuovi strumenti e nuove politiche per il patrimonio diffuso, Il Giornale delle Fondazioni, 15 aprile 2015
[3] L’etimologia di paradiso deriva dal persiano e indica il giardino, luogo protetto dalle asprezze e dai pericoli della natura con l’ausilio dell’artificio. Il concetto di paradiso nasce dunque con l’artificio, ed è stato poi utilizzato per la sua capacità di evocare un benessere scevro di preoccupazioni e ricco di bellezza e piacere. M. Pistoletto, Omniteismo e Democrazia, Cittadellarte ed., 2012
[4] Ibidem
[5] A. Magnaghi, Editoriale. Forme e dimensioni territoriali di una nuova domanda di urbanità, in Cellamare C., Scandurra E. (a cura di), Ricostruire la città, Scienze del territorio/ n. 3, Firenze university press, 2015
[6] E. Scandurra, Un paese ci vuole. Ripartire dai luoghi, Città aperta edizioni, 2007
[7] Intervista a Tiziana Villani, in E. Scandurra, G. Attili (a cura di), Il pianeta degli urbanisti e dintorni, Derive e Approdi, 2013
[8] A Cuba, dal 24 al 26 novembre 2015, si terrà il primo Rebirth Forum "Geografie della trasformazione", sotto l’attenzione delle Nazioni Unite. La lista dei Development Goals delle Nazioni Unite costituisce l’asse degli argomenti che saranno affrontati e sarà considerata come base di un possibile impegno di sviluppo nel futuro nella collaborazione tra l’Ambasciata Rebirth di Cuba, il Governo e la cittadinanza. www.geographiesofchange.net
[9] M. Merleau-Ponty, Il primato della percezione e le sue conseguenze filosofiche, Medusa 2004