Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

La Società Civile protagonista a EXPO Milano 2015: opportunità, sfide e progetti futuri

  • Pubblicato il: 15/09/2015 - 11:23
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Elena Lombardo

Sergio Silvotti, Presidente di Fondazione Triulza, racconta le sfide, opportunità, obiettivi presenti e futuri del Padiglione della Società civile a EXPO Milano 2015.
Una presenza inedita e da protagonista, quella del terzo settore a EXPO, interamente dedicata alla valorizzazione di proposte concrete per un futuro sostenibile, allo promozione di un dibattito forte intorno ai temi della sostenibilità e della partecipazione, alla creazione di processi collaborativi e alleanze strategiche con il settore pubblico e privato
 
 
 
Se dovesse descrivere in poche righe la missione del Padiglione della Società Civile, quali parole userebbe?
Per uno sviluppo sostenibile il protagonismo dei cittadini è necessario. Esiste un dibattito molto forte sui beni comuni e bene comune, due termini simili che vogliono dire cose completamente diverse, ma se parliamo di bene comune, parliamo per eccellenza di quel protagonismo: ciascuno deve essere messo nelle condizioni di determinare il proprio futuro.
Questo è il motore, lo dice la Carta di Milano, i numerosi documenti prodotti in occasione di EXPO, ma non solo: questo modello di sviluppo è insostenibile, oltre che folle, ha dei costi ambientali, sociali e culturali inaccettabili. Per trovare un modello nuovo, è fondamentale il protagonismo della Società civile.
 
 
 
Quali sono le motivazioni che vi hanno convinto ad accettare la sfida del Padiglione della Società civile?
E’ importante chiarire che quando è stata fatta la proposta al terzo settore Italiano di gestire il Padiglione della Società Civile all’interno dell’Esposizione Universale, due sono stati gli aspetti da considerare: da un lato, le incognite legate al fatto che era la prima volta che si presentava una opportunità di questo tipo e di questa complessità, la seconda, che le esposizioni universali hanno una matrice istituzionale, ospitano gli Stati e le corporation, e spesso sia gli uni che le altre hanno un rapporto conflittuale con la società civile.
Si trattava dunque di riflettere sia in termini tecnici che di opportunità, di decidere se partecipare ad un evento dal quale si poteva scegliere di prendere le distanze.
Dopo esserci interrogati per oltre un anno, ciò che ha convinto a raccogliere questa sfida è stato il tema proposto da questa Esposizione Universale: ci siamo resi conto che il nodo centrale non era tanto star dentro o fuori i cancelli di EXPO, ma dentro o fuori da un tema di assoluta rilevanza.
 
 
 
Come è iniziata e chi partecipa all’avventura del Padiglione della Società Civile?
Nel 2013, due anni dopo l’inizio di questa riflessione, si è costituita la Fondazione Triulza. Si è scelto di costituire una Fondazione e non un altro soggetto giuridico per garantire la continuità a questa esperienza. Se la nostra presenza qui è motivata dall’esigenza di moltiplicare le relazioni, utilizzare questo semestre per rendere più chiara la nostra posizione e intrecciare le alleanze, questa operazione non poteva finire il 31 Ottobre. E’ stato dunque necessario identificare una cornice all’interno della quale valorizzare questo percorso di accreditamento nel lungo periodo.
La Fondazione Triulza si è costituita il 23 Luglio 2013 grazie alla partecipazione iniziale di 30 soggetti appartenenti al Terzo Settore, oggi cresciuti a 65, che attraverso la Fondazione si sono dati il compito di ospitare nel padiglione organizzazioni della Società Civile sia Italiane che straniere. La priorità è stata dunque data al terzo settore, con la possibilità per il pubblico e privato di partecipare in collaborazione con quest’ultimo.
Per l’area mercato invece, si è trovata una diversa modalità che prevede la partecipazione di imprese in grado di dimostrare la loro aderenza ad una serie di punti presenti sulla nostra carta dei valori.
 
 
 
Di cosa si tratta esattamente?
La carta dei valori è stato uno dei passaggi fondamentali all’interno del dibattito relativo alla nostra partecipazione: abbiamo deciso sì di partecipare, ma fissando i nostri principi.
Il rispetto di questi principi è entrato da subito in tensione con la sostenibilità organizzativa ed economica del nostro progetto: inizialmente abbiamo dovuto dire no ad alcune proposte di sponsorizzazione provenienti da aziende che non rispettavano questi criteri. E con ciò mi riferisco ad aspetti come la tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, saper dimostrare di aver favorito l’autonoma iniziativa dei cittadini e non aver solo lavorando in termini di marketing e corporate social responsability.
 
 
 
Come avete agito per riuscire a mantenere questo equilibrio tra rispetto dei valori e sostenibilità economica?
In realtà questo nodo si è sciolto naturalmente grazie all’arrivo di aziende in grado di rispondere pienamente ai principi della carta, dandoci la grande soddisfazione di aver fatto una proposta coerente ma anche possibile.
Un altro modo per affrontare questo difficile equilibrio è stato quello di stringere partnership forti con alcune fondazioni molto solide, che condividono l’impianto che abbiamo proposto, ma che a differenza di altre organizzazioni di terzo settore hanno la solidità economica e organizzativa per sostenere questo tipo di progetti.
Partner fondamentale per noi è stata Fondazione Cariplo, che quest’anno ha ospitato “Philanthropy: Visions and Energy for Change”, l’Assemblea Generale Annuale dell’European Foundation Center. Una congiuntura che ha simbolicamente e concretamente evidenziato la propensione ad affrontare insieme questa sfida per la sostenibilità attraverso la creazione di alleanze strategiche e intersettoriali.
 
 
 
Siamo a pochi mesi dalla conclusione di EXPO, quale è il vostro bilancio? Cosa secondo lei poteva essere fatto meglio e cosa invece vi ha dato particolare soddisfazione?
Abbiamo avuto fin dall’inizio l’idea che questa fosse una grande palestra, un’occasione per imparare molto. La situazione è molto in equilibrio sia in termini economici che di partecipazione e il risvolto mediatico è stato al di sopra di ogni aspettativa. D’altra parte però, forse avremmo dovuto concentrarci di più sull’imparare: pensare sin dall’inizio ad un registro ricco di indicatori utili a comprendere di che tipo e dove si sono depositati gli insegnamenti che abbiamo tratto da questa esperienza. Viverla di più come fase propedeutica sia per il post EXPO ma soprattutto per la crescita del nostro mondo che deve imparare a confrontarsi con più coraggio con l’esterno.
 
 
 
A proposito di confronto con l’esterno, c’è poi stato? Con quali risultati?
C’è questo riconoscimento grandissimo al nostro mondo, testimoniato da occasioni come la visita del Presidente della Repubblica, del Segretario Generale delle Nazioni Unite, di Ministri, Assessori, dirigenti d’azienda. Un riconoscimento per certi versi molto strumentale, ma che fa trasparire un interesse, una crescente consapevolezza rispetto all’importanza dei singoli e dei loro comportamenti nella definizione di nuovi modelli di vita sostenibile.
Si tratta ancora di una sensazione, un clima che si esprime attraverso il costante richiamo alla Società Civile in quanto spazio di incontro intersettoriale, interculturale e interreligioso.
Per parlare di numeri in termini di pubblico, al 20 di Giugno 2015 avevamo ospitato 193 eventi per un totale di 20.000 presenze. Abbiamo certamente meno visitatori rispetto a padiglioni più attraenti dal punto di vista architettonico e scenografico, ma Cascina Triulza resta comunque il luogo dove si tengono almeno cinque eventi partecipati al giorno.
 
 
 
E qui ritorniamo al tema della partecipazione, che ruolo ha avuto la centralità di questo aspetto nello sviluppo del vostro palinsesto?
L’obiettivo era rendere le persone protagoniste delle attività, proporre un luogo dove fosse possibile partecipare attivamente alla discussione.
Da questo punto di vista, il dibattito legato alla coesistenza di alle due EXPO, il grande parco divertimenti e la EXPO dei contenuti mi fa tremendamente arrabbiare, perché questi due aspetti non dovrebbero essere letti in contraddizione. Lo scopo di un’esposizione come questa è anche quello di stare nel mezzo, di riflettere con gioia su tematiche serie.
Quando i cittadini vogliono partecipare ad una scommessa che li coinvolge, entra in campo un energia necessaria, data dalla motivazione dei singoli, che per manifestarsi ha bisogno di forme organizzate. Da lì il valore delle organizzazioni di terzo settore: sta a noi trovare le modalità perché questa si esprima, si eserciti.
 
 
 
Tornando al tema del confronto, per quanto riguarda invece il dibattito sui grandi temi legati alla sostenibilità, avete avuto modo di interagire con chi sta “dall’altra parte della barricata”?
Riprendendo il discorso sull’apprendimento legato a questa esperienza, abbiamo capito che farci distrarre dalla tentazione di dedicare energie allo sviluppo di progetti diversi con altri interlocutori non era produttivo in questa fase. L’esperienza EXPO serve per ora a capire con chi è possibile interagire e a non aver paura l’uno dell’altro.
A chi ci chiede perché non abbiamo incalzato di più alcuni soggetti, rispondo che ritengo sia un limite maggiore quello che ci ha finora impedito di interagire in modo collaborativo con quelle imprese che dimostrano di avere modelli forti e orizzonti condivisi.
 
 
 
Si può dire che Expo sia stata anche un’occasione per affermarvi come potenziali interlocutori…
Più che per affermarci, è stato un momento per ripensare al nostro ruolo. Si può dire che il terzo settore sia sempre stato molto eterodiretto, prima dal settore pubblico poi dalle Fondazioni. Senza una vera strategia, si fa guidare da dove sono allocate le risorse, dai bandi o impegni che gli vengono richiesti dagli altri interlocutori.
Con la crisi del settore pubblico questo modello entra a sua volta in crisi, per questo è necessario ritornare alla missione sociale originaria del terzo settore: noi siamo un grande strumento di mediazione sociale, avviciniamo i cittadini alle loro comunità perché siano più attivi e legati al territorio. Al Padiglione della Società civile si è voluto riprendere con forza a ragionare su questo orizzonte.
 
 
 
Quale è invece il beneficio che EXPO Milano ha tratto dalla presenza del Padiglione della Società Civile?
L’attenzione delle nostre organizzazioni è molto specifica, chi si occupa del mondo delle disabilità, ad esempio, sa meglio di tutti come creare un grande evento in modo che sia accessibile.
Se spesso accade che queste realtà abbiano un ruolo secondario, il fatto che di essere stati partecipanti di EXPO a pieno titolo ha permesso loro di prendere parte ad un confronto programmatico sin dalla progettazione dell’evento stesso, garantendo a EXPO un sito particolarmente accessibile.
Lo stesso è avvenuto per le eccedenze alimentari, grazie al coinvolgimento della Fondazione Banco Alimentare come consulenti e co-progettatori della gestione e logistica distribuzione degli alimenti.
Questi sono solo due esempi di come il nostro ruolo non ancillare ma da protagonista, possa dare, grazie a modalità partecipative e collaborative consistenti risultati su molteplici terreni.
Parlando invece del Post EXPO, quale è attualmente il vostro ruolo all’interno del dialogo per la gestione futura del patrimonio materiale e immateriale sia nel breve che ne lungo periodo?
Dopo il 31 ottobre intendiamo mettere a impiego tutte le energie che si sono manifestate ed espresse in questo semestre. In merito a ciò, ci sono alcuni aspetti tra il simbolico e il concreto che a mio parere è importante fissare.
L’esposizione di Milano ha il grande peccato originale di non aver pensato prima alla gestione dell’area dopo la conclusione dell’evento, a questo si aggiunge il rischio di disperdere tutto il patrimonio immateriale raccolto attraverso il dibattito promosso intorno al tema dell’esposizione.
Per Cascina Triulza, occuparsi di gestire il ricollocamento e riuso del patrimonio materiale ad esempio, non riguarda la necessità di trovarsi un ruolo nel post EXPO, ma di portare avanti un mandato ci siamo consegnati: essere gli interpreti di una partecipazione diversa. Per queste ragioni sul dopo EXPO diventa fondamentale l’immediato. Si discute molto di ipotesi di lungo periodo, ipotesi che, quando va bene, vedranno l’apertura dei cantieri nel 2020. Ma nei cinque anni che passano dalla chiusura, cosa succede?
 
 
 
Quale è la vostra proposta per evitare che chiusi i cancelli si chiudano anche le prospettive?
La nostra idea è che a partire dal 1 di Novembre, si attivi una grande agenzia del riuso che si occupi di ricollocare tutti i beni materiali che è possibile riutilizzare. Accanto a questo, ci saranno delle attività, eventi, settimane dedicate, in continuità con i temi sviluppati durante l’esposizione. L’obiettivo è cogliere la ricchezza di questa multi-attorialità, non invitando solamente le organizzazioni di terzo settore, ma aprendosi a collaborazioni con il pubblico e privato.
Desideriamo inoltre che a completamento delle attività dell’agenzia del riuso ci siano delle giornate nelle quali si inviteranno i cittadini a visitare il sito e guardare cosa sta succedendo in questo spazio. Ancor più del risultato concreto, ciò che conta è il messaggio da comunicare con questa operazione: il fatto che Cascina Triulza sia uno spazio concreto, solido, in grado di diventare un presidio per queste energie, per questa idea di futuro legata al protagonismo dei cittadini.
Un’idea molto ambiziosa riguarda infatti la creazione di un polo internazionale, luogo di ricerca e formazione, dedicato allo studio, diffusione e promozione di nuovi modelli di sviluppo sostenibile frutto dell’autonoma iniziativa dei cittadini. Crediamo sia necessario dar vita ad un centro che si occupi di riflettere su questo orizzonte di questioni, ma insistendo ora su questo progetto faremmo lo stesso errore di coloro che si proiettano troppo nel futuro: è un obiettivo a cui si arriverà passo dopo passo, curando con attenzione, quasi con amore, il tema della partecipazione dei cittadini.
 
 
 
Insistendo sul dopo, quale è al momento il più grande ostacolo all’orizzonte e come pensate di superarlo?
Attualmente ci sono molti attori che riflettono sul dopo senza avere ancora un obiettivo e un progetto condiviso, i ruoli sono così indefiniti che è molto difficile pensare in termini di lungo periodo.
Per questa ragione abbiamo la forte esigenza di costruire una macchina che dal primo Novembre possa mettere in sicurezza alcuni principi e pilastri fondamentali. Una macchina che tenga in considerazione le diponibilità positive delle istituzioni e dei soggetti del mercato, che crei alleanze importanti, prime fra tutte con il mondo delle fondazioni. La partecipazione di grandi e piccoli enti filantropici consentirebbe infatti lo sviluppo di una proposta omogenea sostenuta dalla condivisione di orizzonti e da un insieme di competenze diverse.
Sin dall’inizio, questa sfida non si sarebbe potuta giocare senza partnership di questo tipo, ora che l’obiettivo è ancora più ambizioso, è fondamentale ricordare le risorse investite fino ad oggi ed i risultati ottenuti grazie ad esse, per garantire una continuità nelle azioni e negli intenti.
 
 
© Riproduzione riservata