Per il diritto sociale all’arte
Torino. Entrare nell’atelier di un artista è sempre un raro piacere. Si ha l’impressione di accedere ad un giardino, dove germogliano i semi della creatività, delle idee, del futuro.
A maggior ragione se l’atelier in questione è quello di Piero Gilardi, con i suoi tapis nature.
Artista, teorico, militante politico - aspetti che incarnati nella sua figura difficilmente trovano distinzione - , portatore di una visione altra, la cui intuizione ha precorso molte strade:
dagli anni ‘60, attraversando la pop art, l’arte povera, la new media art, sempre tangente ad una visione relazionale dell’arte, giunge oggi ad una riflessione profonda sull’arte ecologica, che trova il suo compimento della creazione del PAV Parco Arte Vivente, centro di ricerca sperimentale sul dialogo tra arte e natura, biotecnologie ed ecologia.
In un continuo rinnovamento, insaziabilmente alla ricerca di nuovo codici linguistici ed estetici, la sua opera è stata apprezzata dai più importanti musei del mondo, ad Eindoven, Londra, Parigi, Bruxelles, New York.
Una ricerca però lontana dalle logiche di mercato e da facili «etichette» e che per molto tempo è rimasta silente, poco compresa, forse perché troppo complessa.
Quest’anno l’intuizione di Andrea Bellini ha aiutato a riscoprire con la mostra «Piero Gilardi. Effetti collaborativi» al Castello di Rivoli l’artista, la cui riflessione teorica e ricerca artistica rappresentano un contributo importante nella relazione tra arte e ambiente, tra arte e contesto generando con azioni concrete, responsabili e condivise la possibile riconciliazione tra «natura e cultura».
Con Gilardi parliamo della sua indagine sul presente, del passato, dei giovani artisti che abitano la scena artistica contemporanea, della crisi di un sistema che l’artista, tra ricerca, azione politica e teorica, sottopone ad un costante ripensamento per un miglioramento sociale.
E ovviamente parliamo della neonata Fondazione Centro Studi Piero Gilardi, istituita lo scorso 23 maggio. Lontana da un modello autoreferenziale- già nel nome è racchiusa la componente teorica che sta al centro del progetto- la Fondazione nasce sì dall’esigenza di preservare opere, scritti e documentazioni dell’artista ma soprattutto per creare un «ponte» con l’arte e con le generazioni artistiche del prossimo futuro. Un modello aperto e orizzontale, un’inclinazione alla ricerca e allo sviluppo, orientato ad una crescita culturale, a difesa del diritto sociale all’arte.
In un momento di crisi sociale e culturale, forse prima ancora che economico, si risponde con la cultura. La Fondazione Centro Studi Piero Gilardi appare una scelta di campo coraggiosa. Una sfida, quasi.
La Fondazione si propone di rispondere alla crisi – effetto dell’implosione del post-capitalismo – con l’arte e la cultura, con una inestinguibile energia creativa ed esistenziale, interrogandosi dialogicamente con i nuovi movimenti ideali e sociali sul «Che fare?».
La conservazione della memoria storica della mia attività – dalla conservazione, alla valorizzazione delle opere e dei miei scritti – è di sicuro il punto di partenza dell’attività della Fondazione ma si integra all’emergenza di nuove idee, in questo contesto di transito epocale ormai improcrastinabile, per contribuire al cambiamento, in cui la cultura riveste un ruolo cardine.
Uno spazio dove moltiplicare le energie, trasmettere delle memorie che possano corroborare lo sviluppo di progetti artistici affacciati sul futuro, con un impegno nel sociale molto preciso e sostanziale. La fondazione si impegna inoltre in un programma di ricerca nel contesto della bioarte che oggi è molto ampio e articolato. Un contesto per sua natura interdisciplinare che implica una ricerca sul piano della epistemologia, della filosofia, dell’antropologia, della sociologia, oltre che nello sviluppo, ovviamente, di nuovo linguaggi estetici.
Questi precetti sono anche alla base della nascita nel 2008 del Parco Arte Vivente
Si, ma quello che è successo negli ultimi anni, in cui si è sentito pesantemente il costo della crisi economica nella governance degli enti locali, mi ha portato a temere seriamente che l’istituzione Parco Arte Vivente per effetto di una cecità politica diffusa, nella svalutazione complessiva dell’importanza della cultura nella politica e nell’economia del Paese, possa presto avere un destino infelice.
Il PAV ha subito una riduzione del budget comunale di 4/5 e potrà continuare a svolgere la sua attività finché la Città di Torino non deciderà di chiuderlo o destinarlo ad un altro tipo di attività.
Le istituzioni hanno ampiamente dimostrato la sfiducia verso un’arte intesa come laboratorio di ricerca e la Fondazione si oppone a quell’attitudine politica che identifica la cultura con il divertissement, momento di intrattenimento e non fattore integrato nel processo di sviluppo sociale.
E Torino non sfugge da questa logica, che incarna l’essenza del neoliberismo, non considerando l’importanza di una istituzione per l’arte contemporanea specializzata sul tema delle arti ecologiche, sintomo della non attenzione ad un problema oggi cruciale.
Per questo motivo la Fondazione ha lanciato un appello a sostegno del Pav a livello internazionale, raccogliendo le firme di direttori di musei, opinion leader, artisti, teorici.
Illustri nomi si sono schierati per spingere le istituzioni politiche a prendere coscienza dell’importanza della cultura e mantenere l’eccellenza del Pav.
Sembra venire meno il concetto di cultura come bene comune e il vostro lavoro rappresenta una risposta, di sicuro ardimentosa, alla sfiducia diffusa nei confronti della cultura.
La fondazione lavorerà affinché si riconosca, come è riconosciuto in altri paesi come la Francia, il valore sociale dell’arte, oltre che il diritto sociale all’arte.
L’arte e la cultura rappresentano una «cinghia di trasmissione» tra i bisogni della società e le istituzioni politiche.
Distinguono i cittadini dai sudditi
E questo spaventa.
Dunque la fondazione affiancherà il Pav nel suo ruolo di istituzionale permanente di laboratorio di ricerca sulla bioarte e sull’arte ecologica. Ma le loro attività si intersecheranno?
La fondazione sviluppa delle attività autonome rispetto al Parco Arte Vivente, ma il punto comune sarà la difesa dei fondamenti sociali delle istituzioni culturali, della difesa del diritto sociale all’arte.
C’è un piano di collaborazione e una precisa sinergia sulla questione delle politiche culturali, in una comune azione per salvare la cultura, a Torino e in Italia.
Sul piano delle attività più propriamente estetiche e di ricerca invece c’è un’autonomia.
La Fondazione ha una sua linea di ricerca che, ovviamente, ha molti punti di contatto con quella del Pav ma che si sviluppa autonomamente
Il PAV della Città di Torino è un istituzione che ha una mission complicata che si pone al servizio dei bisogni culturali della città e deve tener conto delle ricerche nel campo dell’arte ecologica sul territorio. Non può non mettere in relazione il territorio con il suo pubblico.
La fondazione si pone come laboratorio di ricerca in un’analoga dimensione internazionale, ma potrà svolgere un lavoro molto più pointu, andando più in profondità.
Torniamo all’attività di sistematizzazione delle opere: catalogazione, archiviazione e anche restauro? E’ forse falsamente diffusa la fragilità dei Tappeti Natura. Vogliamo sfatare questa diceria?
L’attività di sistematizzazione delle mie opere è già iniziata. L’archivio diventa uno strumento utile solo quando è facilmente accessibile dagli altri.
Riguardo allo stato di conservazione delle mie opere, quando ho iniziato negli anni ’60 non avevo le nozioni tecniche sufficienti per realizzare i Tappeti Natura in una maniera tale che ne fosse garantita durabilità. Lavorando poi per 40 anni con il poliuretano espanso ho avuto modo di affinare tutte le tecniche affinché il lavoro fosse durevole e stabile, sia attraverso la collaborazione con istituzioni come l’Istituto Centrale del Restauro di Amsterdam, sia attraverso il rapporto con tecnici e restauratori.
Oggi non esiste alcun problema per la conservazione dei tappeti natura storici, e per i più recenti vengono applicate tecniche nuove.
Un differente discorso riguarda le installazione. Quando un lavoro con la sua struttura fisica di scenografia si fonda su tecnologie informatiche sorge il problema della sempre più rapida obsolescenza delle tecnologie informatiche. Ecco che allora l’informatica di ultima generazione non riconosce software degli anni ’80 e si deve ricorrere ad una simulazione.
L’opera d’arte, come un composto organico, sembra avere quasi un ciclo naturale di nascita, crescita, sviluppo, epilogo. Un processo che non si allontana troppo dalla sua attuale ricerca sulla bioarte.
Si, ma è anche vero che noi pionieri della new media art non pensavamo che ci fosse una obsolescenza così rapida della tecnologia!
La fondazione muoverà un attento sguardo verso i giovani. Come giudica la ricerca artistica attuale?
I giovani sono una risorsa. Al di là dell’apprezzamento e del mio impegno concreto a sostenere i giovani, la loro ricerca, la loro espressione artistica, la miaposizione oggi è però molto critica. I giovani artisti nell’ultimo ventennio non hanno avuto la possibilità di chiarirsi le idee facendo riferimento a dei processi intellettuali, e sono stati abbagliati da una serie di falsi filosofi che li hanno portati a condividere un atteggiamento che oggi è molto pesante, quello di un narcisismo solipsistico.
Quale pensiero ideologico ha invece guidato la sua ricerca? Tre nomi
Herbert Marcuse negli anni’60 e parzialmente negli anni ’70, James Hillman per tutti gli anni ’70 e ‘80 e Roberto Marchesini dagli anni ’90 ad oggi.
Una possibile soluzione da suggerire ai giovani artisti quale potrebbe essere?
Quella di recuperare una dimensione collaborativa, non mancano le possibilità
Esistono molti artisti che seguono questa strada alternativa, però nell’ insieme ciò che è dominante è questo atteggiamento narcisistico che porta a forme di espressioni edonistiche che non hanno una ricaduta sociale.
Un panorama atomizzato di esposizioni di giovani artisti che sono in gran parte dei giochi estetici.
Non si fa altro che aggiungere degli autarchici beni di consumo, venendo meno nell’opera d’arte quel valore catartico capace di svelare i bisogni e le aspirazioni reali delle moltitudini.
Mentre il compito dell’artista, credo, è quello di trovare dentro sé stesso quel bisogno reale che gli altri condividono più o meno consapevolmente, dargli una forma metaforica diventando sul piano sociale la possibile azione di un futuro possibile, raggiungibile attraverso un progetto di lotta e costruzione.
Con l’auspicio di nuovi «Effetti Collaborativi» salutiamo Gilardi e gli diamo appuntamento a sabato 30 maggio alle ore 20,30 all’Accademia delle Scienze di Torino. Appuntamento conclusivo di «Giorno per Giorno», il programma di incontri sull’arte contemporanea a cura della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT.
Si parlerà di Arte e Scienza, due forme di un sistema implicato secondo Gilardi.
Protagonisti saranno il nostro artista, lo scienziato Dimitar Sasselov e l’artista newyorkese Tarin Simon. Ad intervistarli e dialogare con loro sarà il celebre co-direttore della Serpentine Gallery di Londra, Hans Ulrich Obrist.
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