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Human Foundation per un nuovo modello di welfare. Più inclusivo, efficiente ed efficace

  • Pubblicato il: 14/05/2015 - 17:28
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI PER LA CULTURA
Articolo a cura di: 
Elena Lombardo

A solo poche settimane dall’approvazione e pubblicazione on line del Bilancio 2014, intervistiamo il Dott. Federico Mento, Chief Strategy Officer della Human Foundation in merito al primo anno di attività della Fondazione. Ripercorrendo insieme le motivazioni che ne hanno definito la nascita, gli obiettivi di lungo periodo, gli ambiti di azione, i risultati e le sfide incontrate, conosciamo da vicino una delle maggiori realtà italiane che oggi si occupa di finanza ad impatto sociale, terzo settore, welfare ed innovazione
 
 
 
Come nasce Human Foundation e con quale missione?
Human Foundation nasce nel 2012 da un gruppo di persone piuttosto eterogeneo[1], tra le quali con storie professionali e biografie molto diverse, accomunate però dall’idea che fosse necessario aprire uno spazio di riflessione che ci consentisse di ampliare la borsa degli attrezzi per affrontare le sfide delle contemporaneità. In tal senso, dopo una fase di studio abbiamo individuato nella finanza ad impatto sociale un ambito di intervento strategico per il nostro Paese. Allo stesso tempo, credevamo allora, e ne siamo ancora più persuasi oggi, che fosse necessario costruire alleanze «larghe» nella società, cercare di far dialogare le istituzioni, il mondo dell’impresa, la finanza ed il terzo settore per immaginare un nuovo modello di welfare, in grado di essere più inclusivo, efficiente ed efficace.
L’attività della Fondazione si articola principalmente in tre ambiti: Research & Advocacy, Social Impact & Innovation, Capacity-building. Oltre alla ricerca, promozione e sensibilizzazione rispetto ai temi dell’innovazione, dell’imprenditoria e finanza sociale, Human Foundation lavora alla definizione di nuovi modelli di collaborazione e intervento tra pubblico-privato, tra imprese, istituzioni, fondazioni e altri operatori. Incoraggia lo sviluppo di nuovi strumenti finanziari e l’utilizzo di metodologie per la misurazione degli impatti, supportando e promuovendo la cultura dell’imprenditoria sociale in Italia anche attraverso percorsi formativi.
 
 
Quali sono i vostri obiettivi di lungo periodo e quale la strategia per raggiungerli?
Senza dubbio contribuire all’innovazione del welfare. Si tratta di un percorso lungo e accidentato, che deve passare attraverso l’advocacy, la sperimentazione di modelli di intervento e il rafforzamento della cultura degli stakeholder. Abbiamo deciso di impegnarci su questi tre ambiti affinché vi siano le condizioni per favorire un passaggio di paradigma rispetto alla modalità con cui si programmano, erogano e valutano le politiche per l’inclusione.
 
 
In occasione dell’approvazione del Bilancio 2014 che ha registrato entrate per 321.858 euro (254.466 (79%) dei quali generati dalle attività di fundraising) la Presidente Giovanna Melandri ha sottolineato nuovamente l’importanza di un’amministrazione trasparente. Quali le necessità a cui risponde?
«La nostra attenzione nei confronti della trasparenza, o meglio dell’accountability, è legata alla visione della nostra organizzazione. Essere “accountable” non si riduce a pubblicare il bilancio o la lista dei propri donatori, bensì mira a restituire agli stakeholder ciò che si è fatto, come lo si è fatto e con quale efficacia. L’accountability non deve essere intesa e declinata come una foglia di fico, ma deve essere un processo che attraversa costantemente le nostre attività, contribuendo a rafforzare il legame con gli stakeholder, dai donatori alla Comunità. Purtroppo, uno dei grandi difetti del nostro Paese, ad ogni livello, è proprio una scarsa attenzione all’accountability.
 

Aspetto centrale per l’imprenditoria e l’innovazione sociale è la capacità di fare rete, come vi state muovendo da questo punto di vista sia a livello nazionale che internazionale?
Fare rete è faticoso, spesso difficile a causa delle resistenze, delle rendite di posizione e della diffidenza verso l’innovazione. In tal senso, HF cerca di mettersi a disposizione dei processi di cambiamento, il lavoro di coordinamento dell’Advisory Board[2] italiano sugli investimenti ad impatto sociale è stato orientato ad una grande apertura ed inclusione, cercando di favorire un processo collaborativo autentico, dove ciascun settore potesse effettivamente esprimere il proprio punto di vista. “La finanza che include”, il Rapporto italiano della Social Impact Investment Task Force istituita in ambito G8 che tratta il tema degli investimenti a impatto sociale per una nuova economia, è riuscito davvero a sintetizzare con efficacia le diverse posizioni. Si tratta della dimostrazione che lavorare insieme, superando diffidenze e pregiudizi, non solo è possibile ma può contribuire alla crescita di ciascuno dei partecipanti. Sul piano delle alleanze, lavoriamo davvero a 360°[3] proprio nella logica di costruire ampie sinergie per favorire i processi di innovazione.
 
 
Il rapporto, contiene inoltre «40 raccomandazioni ai policy makers per rafforzare l'ecosistema dell'impresa sociale italiana». Quale approccio avete utilizzato e a quali conclusioni siete giunti?
Come dicevo, le raccomandazioni sono il frutto di un lungo processo di partecipazione degli stakeholder del settore. Ci siamo armati di pazienza, cercando di far venire meno gli steccati, spesso innaturali, che impediscono il confronto e lo scambio di punti di vista. Ci attende ancora un lungo lavoro per monitorare l’implementazione delle raccomandazioni. Sullo statuto giuridico dell’impresa sociale, credo che il Governo abbia accolto alcune delle nostre conclusioni, resta certamente molto da fare per dar vita ad un ecosistema dell’imprenditorialità sociale più avanzato ed allineato con quanto sta accadendo negli altri paesi dell’Unione Europea e del G20.
 
Le quaranta raccomandazioni evidenziano chiaramente la necessità di «promuovere la nascita di un vero e proprio ecosistema capace di allineare domanda e offerta, rafforzare l’imprenditorialità sociale» […] e rimuovere numerose barriere favorendo un nuovo flusso di capitali. In Italia: fondazioni bancarie, investitori istituzionali, intermediari finanziari, ma anche patrimoni individuali e singoli risparmiatori possono esercitare un ruolo cruciale per catalizzare risorse verso la nuova generazione di investimenti ad impatto sociale[4].
 
 
 
Impact investing e SROI: la vostra visione e i vostri contributi in merito a questi due temi centrali
Come ho scritto nell’introduzione al Rapporto, l’impact investing[5]deve essere considerato un mezzo e non un fine. Ci sono una serie di processi che si stanno manifestando, penso ad esempio al fenomeno della gemmatura di ibridi che nascono dall’esperienze della cooperazione sociale. Queste esperienze hanno bisogno di capitale paziente. In questa prospettiva, penso che l’impact investing possa avere un ruolo strategico nell’accompagnare, attraverso la leva finanziaria, la nascita, accelerazione e crescita di un nuovo tessuto di impresa sociale, che sia in grado di superare la dicotomia tra profit e non profit, mettendo la sostenibilità economica con la creazione di valore per le comunità. Per quanto concerne lo SROI (Social Return On Investment), ovvero l’analisi dell’impatto sociale delle nostra attività, penso che sia una metodologia sufficientemente «accogliente» sia per le esigenze dei grandi donatori privati, e spero presto anche della Pubblica Amministrazione, sia per le organizzazioni sociali. Essendo un approccio metodologico è piuttosto flessibile, e, senza dubbio, il ratio conclusivo è un potente strumento per restituire agli stakeholder il valore di un progetto/attività. Soprattutto per le progettualità di carattere sperimentali, la valutazione d’impatto fornisce preziose informazioni per decidere se l’intervento è scalabile e replicabile. »
 
 
Ci racconti qualche progetto che potremmo approfondire e che sia esemplificativo delle vostre attività
Abbiamo da poco concluso la valutazione SROI del centro diurno per senza fissa dimora “La Bussola” a Padova[6], cercando di  misurare l’impatto creato del  progetto. I risultanti sono davvero interessanti, sia per quanto concerne il valore sociale generato, sia per il processo collaborativo che si è innescato con i partner di progetto. La valutazione non deve essere interpretata come un percorso «chiuso», il cui risultato finale è un voluminoso rapporto, che finirà presto in uno scaffale polveroso, piuttosto è un percorso aperto che può fornire informazioni estremamente utili per l’organizzazione, sulla propria efficacia, sui punti di debolezza dell’intervento, sul cambiamento che hanno vissuto i beneficiari. Comprendere ciò che ha funzionato, migliorare laddove il progetto ha avuto difficoltà.
 
 
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[1] Sono Soci Fondatori: Giovanna Melandri, Roberto Galimberti, Vincenzo Donnamaria, Umberto Bussolati, Carlo Calenda, Bruno Castellini,  Rodolfo Fracassi, Claudio Giuliano, Sebastiano Maffettone, Marco Pinciroli, Jean Leonard Touadi
[2] Advisory board: Jeremy Nicholls, Aldo Bonomi, Francesca Boldrini, Francesco Starace, Gunter Pauli, Massimo Recalcati  Enrico Giovannini, Giancarlo Bosetti, Mario Molteni, Muhammad Yunus, Jacques Attali, Stefano Zamagni, Ismail Serageldin, Matthew Bishop, Marta Dassù, Samia Nkrumah, Kerry Kennedy, Sanjit “Bunker” Roy, John Podesta, Molly Melching, Pamela Hartigan
[3] Citiamo tra gli Ambassador di HF: Banca Mediolanum, Enel Green Power, Prysmian Group, Fondazione Vodafone Italia, Deutsche Bank, Unicredit, Fondazione Telecom, KME, Mylan, Sorgenia, Silvano Toti, UBI comunità, KPMG, Generali
[4] “La finanza che include”, il Rapporto italiano della Social Impact Investment Task Force.
[5] “L’impact investing” ha l’obiettivo di generare, attraverso investimenti in iniziative di imprenditorialità sociale finalizzate alla risoluzione di un problema sociale o ambientale, risultati positivi, che altrimenti non avrebbero luogo. L’intenzionalità di produrre impatto sociale è, dunque, l’elemento che caratterizza l’investitore sociale, che si attende un rendimento al di sotto o in linea con il mercato. (Fonte: “La finanza che include”, il Rapporto italiano della Social Impact Investment Task Force.)
[6] Centro Coordinato dalla cooperativa Gruppo R del gruppo Polis di Padova dal 2005