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FOQUS, ecosistema generativo nel cuore dei Quartieri Spagnoli

  • Pubblicato il: 15/11/2018 - 08:02
Rubrica: 
FONDAZIONI DI COMUNITÀ
Articolo a cura di: 
Maria Elena Santagati
Fondazione Quartieri Spagnoli è dal 2014 motore di una piccola grande rivoluzione in uno dei quartieri più controversi della città partenopea. Dalla riqualificazione di un complesso storico di 10.000 mq nasce un ecosistema di imprese, cooperative, scuole, associazioni culturali, spazi di socializzazione, un centro per ragazzi disabili, nonché la sezione distaccata dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Un progetto di rigenerazione urbana sostenuto esclusivamente da privati, dall’impresa fondatrice «Dalla parte dei bambini» a numerose aziende, comprese quelle insediatesi nel complesso, e fondazioni, tra cui Fondazione con il Sud. Ne abbiamo parlato con Rachele Furfaro, fondatrice e presidente di FOQUS, e Renato Quaglia, direttore.

 

FOQUS - Fondazione Quartieri Spagnoli nasce nel 2014 dal recupero dell’ex monastero Istituto Montecalvario. Auto-imprenditorialità, nuova occupazione, nuove imprese cooperative, insediamento di imprese esistenti. Tutto questo e molto di più è Fondazione FOQUS. Una «comunità produttiva, creativa, di cura e formazione della persona», un vero e proprio incubatore di generatività sociale. Uno di quei miracoli silenziosi di cui solo Napoli è capace, e di cui è bene ricordarsi in questi giorni in cui sembra essere incredibilmente a rischio l’esperienza della «Paranza», cooperativa di giovani del quartiere Sanità che ha posto in essere un progetto allo stesso tempo di valorizzazione del patrimonio culturale e di sviluppo sociale del quartiere.
Grazie a FOQUS, bambini, giovani, donne, anziani, disabili sono al centro di un progetto che spazia e collega diversi settori: formazione, istruzione, industrie culturali e creative e servizi alla persona. Obiettivo: «valorizzare il tessuto sociale e urbano, potenziando le attività presenti all'interno dell'Istituto» (art. 2 Regolamento), attraverso il contrasto all’emarginazione e l’impegno per lo sviluppo socio-economico di un quartiere nevralgico della città di Napoli, una periferia nel cuore del centro storico, una città nella città, con circa 30.000 abitanti e quasi il 20% di popolazione straniera.
Un luogo tutt’altro che neutro, intriso di complessità, dalle cui trame lacerate rimbomba un grido di aiuto, di fronte a primati che mettono in discussione la caratteristica di civiltà di un qualsiasi paese che si concede la possibilità di ignorarli.
 
 
Un progetto su misura per i Quartieri Spagnoli
 
Cos’è e come nasce FOQUS?
Renato Quaglia: In un luogo di disagio, di fragilità sociale ed economica, che già gli Spagnoli avevano teorizzato costruendo quest’area popolare nel centro storico, gli stessi occupanti della città realizzarono un monastero, quindi un presidio sociale. Nel tempo questo presidio acquisisce e conferma la propria importanza, finché nell’epoca moderna inizia a perdere la propria capacità attrattiva, propositiva e di funzione, in un quartiere che nel frattempo sta crescendo e subisce le trasformazioni del nostro tempo. Viene popolato da diverse etnie, ospita il 10% di tutti i bambini di Napoli, ha le più alte percentuali nazionali di disoccupazione, inoccupazione, problemi di criminalità diffusa e costante. Come se non bastasse, una mancanza assoluta di verde, spesso elemento di socializzazione, luogo di incontro. Se in Italia ogni cittadino ha 3,6 mq di verde assegnato, ai Quartiere Spagnoli il dato è pari a 0,6. In questa condizione, la proprietà di questo edificio, la Congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli e Santa Luisa di Marillac, propone a Rachele Furfaro, proprietaria delle Scuole paritarie «Dalla parte dei bambini», di affittare lo spazio. In questi quattro anni e mezzo quel luogo, che abbiamo raccolto completamente vuoto e che chiedeva di trovare nuove destinazioni, e che le suore speravano diventasse soltanto una scuola, è diventato un edificio mondo, come è stato definito da Coen sull’Espresso. Quattro anni fa era un luogo vuoto, il cui portone in ferro, sempre chiuso, che echeggiava in modo sinistro ai portoni delle carceri, è oggi sempre aperto e varcato da oltre 1.200 persone al giorno.
 
Rachele Furfaro: Quello che abbiamo provato a fare, accogliendo la richiesta delle suore e della Curia di prenderci in carico questo spazio, era in realtà metterci in dialogo con il territorio, un territorio estremamente difficile, uno dei contesti più controversi della città, una periferia anomala, nel cuore della città, a 700 metri dai palazzi del governo, Comune di Napoli e Regione Campania, ma dove si registrano purtroppo dei primati non tollerabili. Il 18% dei ragazzi tra gli 8 e i 14 anni abbandona la scuola, e la percentuale è la stessa dei ragazzi che vengono trovati a delinquere. Il dato è che chi abbandona va a delinquere. Quando siamo arrivati nel quartiere ci siamo chiesti: cosa si può fare per il quartiere? Cosa si può fare in questo spazio in modo che si possano far uscire gli abitanti? Pensavamo in particolare a bambini e ragazzi che vivevano in un’enclave tra due grandi arterie, da una parte i Quartieri confinano con corso Vittorio Emanuele, zona bene della città, dall’altra con via Toledo, la via dello shopping. L’idea era proprio di provare a diventare e a fare comunità dentro quello spazio, significava in qualche modo cedere una parte di noi per accogliere qualcosa che veniva da fuori, e provare a integrarlo. Tutti i progetti avviati miravano a lavorare alla contaminazione tra ambienti sociali diversi e generazioni diverse. Abbiamo lavorato moltissimo alla formazione dei giovani, che andavano sostenuti nel percorso che poi li avrebbe portati ad intraprendere una certa attività. Abbiamo dato vita alla possibilità di accompagnare i processi che i giovani stavano pensando, anche aiutandoli ad avere coraggio. Questo è stato un lavoro di sostituzione dell’ente pubblico. Un vuoto molto pesante, se si pensa che nella zona in cui vivono il 10% dei bambini napoletani non vi era un nido. A questo si aggiunge anche la più alta percentuale di genitorialità precoce.
 
 
Un ecosistema di imprese e associazioni per l’educazione, la formazione, l’arte, la cultura, la ri-abilitazione, l’innovazione sociale
 
Un luogo che negli anni si è andato popolando di 19 realtà, neo-costituite o già esistenti, che hanno creato 136 nuovi posti di lavoro, di cui 48 ad alta specializzazione, integrando anche le 20 persone in mobilità in precedenza dipendenti dell’Istituto Montecalvario. Un luogo che vede transitare quotidianamente oltre 1000 persone. I protagonisti sono, tra gli altri, 350 bambini e giovani destinatari dei servizi educativi; 500 studenti nei corsi dell’Accademia di Belle Arti; oltre 200 iscritti ai corsi dell’Università delle Liberetà; 32 giovani in condizione di disabilità che partecipano alle attività del centro ARGO.
 
Come si è strutturato il progetto?
Renato Quaglia: Per animare questi spazi, la Fondazione doveva trovare un progetto che si muovesse lungo varie direttrici, la prima era quella di creare nuova impresa. Abbiamo selezionato 100 giovani, abbiamo fatto per loro corsi di formazione all’autoimprenditorialità. Alla fine di questo anno di lavoro si sono costituiti tre gruppi di giovani che avevano indicato tre desideri: un gruppo di giovani donne voleva aprire un nido, abbiamo allora trovato un tutor in Reggio Children (esperienza di fama nazionale e internazionale) che ha seguito la costituzione di questa cooperativa, mentre noi abbiamo sostenuto il tutoraggio. Oggi quella cooperativa gestisce un nido, dà lavoro a 9 ragazze, ha 48 bimbi e una lista di attesa. Noi abbiamo sostenuto l’avviamento, ma oggi la cooperativa è un soggetto autonomo. Un’altra cooperativa ha aperto con delle attività di formazione informale per adulti, oggi realizza 50 corsi l’anno, dallo yoga alla cucina, dal tedesco agli origami. Sono 250 le persone del quartiere che seguono questi corsi. Il terzo gruppo aveva costituito una libreria per ragazzi ma, come accade normalmente nell’attività di impresa, è andata sciogliendosi per mancata sintonia all’interno. Parallelamente a questo lavoro di formazione e di creazione di nuova impresa, abbiamo cercato imprese già esistenti che volessero insediarsi. Oggi, dopo un lavoro piuttosto lungo, sono 19 le realtà che hanno trovato sede presso FOQUS, consapevoli di essere parte di un progetto, non pagando un canone di affitto ma una quota di adesione al progetto.
 
Dal 2015 si sono infatti insediate nel complesso di Montecalvario organizzazioni attive in diversi ambiti. Scuole come il Nido Le Pleiadi − gestito da una cooperativa femminile di nuova costituzione; DPDB Scuola dell’infanzia e Scuola primaria − gestite dall’Impresa Sociale «Dalla Parte Dei Bambini»; l’Università delle Liberetà – gestita dalla cooperativa omonima. Organizzazioni del settore culturale ed artistico quali memart – laboratorio di grafica, editoria, design e arte; l’Orchestra sinfonica dei Bambini dei Quartieri Spagnoli – promossa e organizzata dall’Accademia Europea di Musica e Spettacolo; la Scuola di Danza «futurédanza» che propone corsi di danza moderna, danza-gioco, contemporanea; ISFOM – Istituto di Formazione Musicoterapia, che propone attività di musicoterapia e corsi per musicoterapisti; La Bottega del Liocorno, attiva nella formazione teatrale, nonché la sezione distaccata dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, con i corsi di grafica, design e didattica dell’arte. Accanto a queste, due organizzazioni attive in ambito giornalistico: Agenzia Controluce e Kontrolab, agenzia fotogiornalistica per periodioci e stampa quotidiana nazionale e del Mezzogiorno; la Redazione della testata on-line «Il Napolista». Nel settore dell’educazione e della riabilitazione operano il Think tank delle politiche educative in Italia – in collaborazione con i principali istituti nazionali di educazione e studio dell’infanzia (Indire, Istituto degli Innocenti, Reggio Children, Movimento di Cooperazione Educativa) e Realtà futura, centro di consultazione psicologica e riabilitazione psichiatrica. Spazio anche all’interculturalità con l’Associazione Internazionale  International Voluntaree Network INN (residenze per volontari internazionali) e la Cooperativa Tobilì, impresa di migranti richiedenti asilo provenienti da Kurdistan, Armenia, Mali, Egitto che gestisce il bar buvette del complesso. Non poteva mancare l’innovazione sociale con Sagapò/Project Ahead, ovvero l’insediamento di 6 start-up giovanili, socialmente innovative, finanziate dal Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio.
Risale a giugno 2016 l’inaugurazione del Centro ARGO, centro non medicalizzato per ragazzi autistici e affetti da sindrome di Down, realizzato grazie alla generosità di Ferrarelle e al contributo pari a 500.000€ di Fondazione con il SUD. Un centro che si configura come un polo di eccellenza nell’abilitazione infantile e adolescenziale, integrando servizi specialistici e proposte di socializzazione, di tempo libero e di relax. «In questa comunità i ragazzi vivono una condizione non di isolamento ma di relativa integrazione. Il venerdì i ragazzi lavorano in tutte le imprese presenti in Fondazione, ogni giorno mangiano a mensa insieme agli studenti dell’Accademia di Belle Arti e gestiscono un orto urbano», afferma Renato Quaglia.
FOQUS è promotore anche di un progetto sperimentale di scuola diffusa, seguito da Indire, che ai programmi scolastici tradizionali svolti in aula affianca attività esperienziali di apprendimento all’interno del quartiere, ad esempio lezioni di chimica attraverso la lievitazione del pane direttamente presso il panettiere, coinvolgendo un gran numero di artigiani e operatori, il cui sapere viene così valorizzato e trasmesso alle nuove generazioni.
 
La persona al centro. Un progetto che evolve nutrendosi delle esigenze locali
 
Come è evoluto il progetto negli anni? Sono emerse progettualità inizialmente non programmate?
Rachele Furfaro: Il percorso che abbiamo avviato in questi anni con le giovani madri dei Quartieri Spagnoli non l’avevamo immaginato prima, ha preso vita nel momento in cui, stando sul territorio e prendendone a cuore i problemi, ci siamo resi conto che potevamo svolgere una funzione sul territorio per quelle donne. Le stiamo accompagnando in un percorso che lo scorso anno le ha portate ad acquisire l’obbligo scolastico, mentre quest’anno alla frequenza di un corso che le porterà ad avere un diploma spendibile nel mercato del lavoro. Abbiamo, anche in questi casi, ipotizzato un accompagnamento per la costituzione di cooperative per la vendita dei servizi che loro stesse potranno prestare. Questo è venuto dopo, è emerso dal rapporto immediato e continuo con il territorio. Lo stesso vale per il percorso che abbiamo messo in piedi con la creazione di una scuola media, che sta guardando a come modificare il curriculum della scuola, uno dei punto dolenti del sistema nazionale. È la scuola che disperde di più, in una età di passaggio difficile, e quando non c’è la cura e la presa in carico del ragazzo, è facile che i ragazzi si perdano. Andrea Carnevale direbbe che si perdono nel bosco, e la scuola è un bosco per loro. E in queste situazioni, nelle periferie, in queste zone ad alta fragilità sociale, le scuole diventano tanti boschi pieni di pericoli perché parlano una lingua che non appartiene a questi ragazzi. È così che abbiamo dato vita a una scuola che parte dai saperi essenziali per arrivare poi anche alla scrittura, alla lettura, ma partendo dai saperi più vicini a questi ragazzi. La strada è la loro casa, siamo partiti dall’andare incontro al loro sentire, per riportarli poi dentro la scuola, c’è un rapporto di osmosi continuo tra il dentro e il fuori della scuola, una scuola che si svolge nel quartiere, all’interno delle situazioni più interessanti che questo può offrire. I ragazzi si recano ad esempio alla Vigna di San Martino, unico polmone verde della zona, per coltivare la terra, proprio per comprendere che il seme, come noi, ha bisogno di essere curato e ha bisogno di tempo. Lì coltivano il loro orto personale e si prendono cura degli animali. Ci sono processi e parallelismi che mettiamo in atto in modo non diretto, come fa la scuola normalmente, ma facendo in modo che quanto accade possa sedimentarsi poi nel loro paesaggio interiore. Viene proposto anche l’incontro con artigiani e commercianti, nell’ottica di apprendimento, in modo che i ragazzi possano appassionarsi. Sono ragazzi problematici, difficili, provati, in alcuni casi violenti, bisogna lavorare sull’affido.
 
Renato Quaglia: Occorre avere un progetto, ma occorre anche avere la curiosità di percorrere quel sentiero, quella strada tracciata, non perdendo mai di vista, anzi scoprendo volta a volta tutti i sentieri e le strade alternative che si possono aprire senza però dimenticarsi l’intenzione iniziale. Infatti Adorno diceva «Non bisogna tornare al passato, ma rispettarne le promesse». Allora il progetto in realtà è una promessa. Si può anche abbandonare quel percorso e trovarne altri, l’importante è rimanere dentro alla promessa iniziale.
 
 
Governance e metodologia di lavoro a prova di comunità
 
Il progetto deve la sua sostenibilità in primis all’investimento iniziale dell’Impresa sociale dalla parte dei bambini e a contributi di 21 fondazioni e aziende italiane, napoletane e campane che hanno partecipato all’avvio del progetto, a cui nel tempo si sono aggiunti altri partner che realizzano attività all’interno di FOQUS. Ad esempio Oracle eroga corsi Java per giovani di tutta la regione, e l’Associazione Notai ogni venerdì gestisce corsi di formazione alla professione notarile, «figure che provengono da altre parti della città che entrano e ibridano la comunità. Sostenendo un costo per l’occupazione delle sale, i notai sono consapevoli di corrispondere una quota che, il giorno successivo, consente alla comunità srilankese di seguire corsi gratuiti di lingua italiana», spiega Renato Quaglia. Da considerare che la Fondazione è inoltre tenuta a corrispondere alla Congregazione proprietaria dell’immobile un canone annuo di € 200.000 per l’occupazione degli spazi. Anche le singole organizzazioni insediate nel complesso, legate a FOQUS da un inedito rapporto di collaborazione, contribuiscono al progetto con una quota.
 
Come riesce la vostra organizzazione ad essere permeabile alle esigenze e alle peculiarità delle varie anime che compongono FOQUS?
Renato Quaglia: Il rapporto che ci regola e ci sostiene economicamente nel medio-lungo periodo è quello della corresponsabilità economica, i nostri insediati sono consapevoli in maniera trasparente dei nostri costi e delle opportunità, in una comunità che ha la forma della comunità libera. Non si tratta di una cooperativa, in cui il socio è costretto, anche solidalmente, o di un consorzio, in cui a priori c’è un vincolo che ti spinge a. Le ragioni per stare insieme, come in un rapporto sentimentale, si devono costruire giorno per giorno, quindi si tratta di una comunità di soggetti che stanno partecipando a un progetto comune, vi partecipano economicamente nella possibilità che il progetto prosegua, ma nei suoi sviluppi decidono volta a volta che geometrie collaborative trovare. A volte l’iniziativa è della Fondazione, a volte degli insediati, la collaborazione non deve essere istituzionale ma solida, e lo è se la collaborazione copre un’insufficienza di chi collabora. Per costruire una collaborazione con qualcuno dobbiamo averne bisogno, dobbiamo dichiarare la nostra insufficienza. Questo è un punto importante. Ad esempio la nostra fondazione ha deciso di essere un’organizzazione insufficiente. Normalmente le organizzazioni italiane tendono all’autosufficienza, ovvero a coprire tutte le funzioni necessarie, ma in questo modo non hanno bisogno di lavorare con altre organizzazioni. Ad esempio, noi non abbiamo internamente una figura che crea le connessioni tra tutti gli insediati, sarebbe normale se l’avessimo noi, invece abbiamo delegato l’attività a uno degli insediati. Anche la comunicazione è seguita da una delle imprese insediate.

Lo scorso ottobre, FOQUS ha partecipato alla Conferenza Nazionale delle Fondazioni di comunità promossa da Assifero a Brescia. Seppur distinta da questa tipologia di fondazioni sul piano formale, ne rispecchia appieno l’obiettivo e l’ambito di azione, diventando così sempre più assimilabile a una fondazione di comunità. Una fondazione basata sull’esperienza di comunità.
 
Un percorso ricco di sfide nato dall’assunzione di una enorme responsabilità, quello di Fondazione FOQUS, che nella sua comunità trova la traiettoria di azione e la forza di perseverare nel suo preziosissimo intento, a fronte di un assordante vuoto delle istituzioni. Afferma Rachele Furfaro: «Abbiamo lavorato molto sul cambiare punto di vista. Abbiamo nutrito gli immaginari. (…) Oggi sono le stesse mamme, gli stessi bambini a chiederci di andare avanti. Vuol dire che c’è bisogno, il bisogno di sentirsi visti. Il problema è che, lì, nessuno li vede. Sentir dire ai bambini, per attraversare 700 metri da casa loro a via Toledo: “Noi andiamo a Napoli”, come se dove vivessero loro non fosse Napoli, deve interrogarci. Una pubblica istituzione dovrebbe interrogarsi».
 
 
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