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#FoodPeople: alimentazione, innovazione e sostenibilità in mostra al Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano

  • Pubblicato il: 14/05/2015 - 18:00
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI PER LA CULTURA
Articolo a cura di: 
Elena Lombardo

Giovanni Crupi, head of development del Museo della Scienza e Tecnologia di Milano ci racconta le caratteristiche ed i successi dell’ambizioso percorso espositivo #FoodPeople, un progetto da un milione e mezzo di euro interamente dedicato al tema dell’alimentazione, innovazione e sostenibilità reso possibile grazie ad equilibrato modello di finanziamento misto con una grande partecipazione del settore privato
 
 
Il Museo della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci accoglie visitatori da tutto il mondo, ma resta uno dei luoghi più amati dai milanesi e dai lombardi che di questa istituzione attiva dal 1953 sono i principali sostenitori. Come si sono evoluti il vostro sguardo e la vostra attività nel corso degli anni?
Nel corridoio di ingresso che conduce alle proposte espositive il Museo racconta la nuova visione e il rinnovato approccio rispetto al suo ruolo nella società. Uno sguardo sistemico che, superando le ideologie, guarda il mondo attraverso una prospettiva precisa che intende raccontare la complessità attraverso il prezioso contributo di scienza e tecnologia, da sempre strumenti di conoscenza e progresso.
Portiamo dunque avanti la nostra missione muovendoci lungo un asse temporale che guarda al passato per cogliere le eredità e esperienze più significative che ci consentono di interpretare il presente e, soprattutto, di riflettere sul futuro. Un comune principio ispiratore alla base dello sviluppo di innumerevoli approcci e attività che trattano temi e usano linguaggi estremamente diversi.
 
 
Dove si incontrano innovazione, cibo e sostenibilità. Ci racconti come è nato e quali sono i contenuti e caratteristiche del progetto espositivo #FoodPeople

Abbiamo iniziato a pianificare in modo sistematico #FoodPeople ormai tre anni fa in vista di EXPO2015. Sebbene EXPO ci abbia dato un appuntamento, uno sguardo di medio periodo, le tematiche affrontate nella mostra sono completamente in linea con la nostra missione quotidiana. Per queste ragioni abbiamo voluto sviluppare un progetto di grande scala, in grado di fare la differenza e trattare il tema «Feeding the Planet» attraverso la nostra prospettiva.
Sottolineando dunque il contributo di scienza, tecnologia, ricerca e innovazione abbiamo voluto interpretare la complessità del sistema alimentare in relazione ad altri sistemi (la salute, l’ambiente, la produzione) e analizzare i cambiamenti più significativi nel modo di mangiare, produrre e consumare il cibo degli ultimi 150 anni. Abbiamo inoltre scelto di posizionare la mostra in un punto centrale del museo, a pochi metri dall’ingresso, collegando l’area espositiva attraverso un corridoio di passaggio che la fa dialogare con tre laboratori dedicati ai temi che riguardano direttamente l’esposizione: l’alimentazione, la genetica e biotecnologie.
 
 
Perché #FoodPeople?
Il percorso progettuale ci ha permesso di individuare un nodo tematico per noi centrale sul quale abbiamo deciso di sviluppare l’intero progetto: le persone. Le persone certamente mangiano, ma alle persone sono legate la produzione e la trasformazione degli alimenti, processi nei quali ritroviamo saperi, conoscenze e storie. Evidenziare proprio questo prezioso sistema di relazioni tra persone, saperi, territori, culture, risorse e bisogni è stato per noi l’obiettivo centrale dell’iniziativa. Proprio dalla volontà di utilizzare le persone e le loro esperienze come filo conduttore è nata la scelta di utilizzare #ashtag foodpeople, per fare riferimento a queste grandi comunità di consumatori, produttori ricercatori e studiosi che contribuiscono all’innovazione e ai cambiamenti del settore.
 
 
Come questi temi vengono articolati nel progetto espositivo e chi sono i vostri principali interlocutori?
La mostra è pensata per essere fruita liberamente e in autonomia da pubblici diversi (famiglie, adulti, giovani e gruppi scolastici) grazie agli strumenti espositivi scelti.
A questo proposito nella progettazione del percorso avremmo potuto seguire la sequenza della filiera alimentare (dalla coltivazione degli elementi fino al piatto) ma, come siamo soliti fare, abbiamo preferito utilizzare come punto di partenza quello che le persone sanno rispetto al tema, quello sperimentano nella loro quotidianità. Per questo la prima cosa che incontrerete una volta entrati è un’installazione multimediale che ci mostra dall’alto una tavola imbandita e ci racconta l’esperienza dell’alimentazione nei diversi momenti di consumo (dalla mensa di una scuola elementare alla pausa pranzo sul lavoro). Scenari che riguardano epoche diverse e che descrivono con forte sguardo antropologico come si è evoluto il nostro modo di mangiare, cosa è cambiato sulla nostra tavola e nelle nostre abitudini.
Moltissime sono le persone che incontrerete lungo il percorso e che vi racconteranno le loro esperienze e punti di vista: il single appassionato di cucina, un gruppo di adolescenti, personalità significative che hanno contributo all’innovazione del settore con le loro intuizioni e scoperte e gli agricoltori di oggi. Troverete approfondimenti su specifici momenti storici, apparati interattivi e installazioni audiovisive che si articoleranno in diverse filiere di racconto: dalla corretta conservazione del cibo al tema dello spreco, riflessione che collega tematicamente il momento di produzione al momento di consumo.
Abbiamo poi pensato a sezioni dedicate alle innovazioni che hanno cambiato in modo radicale l’industria alimentare come la catena del freddo e la pastorizzazione e dato ampio spazio al contributo trasversale della ricerca: dal lavoro dedicato al miglioramento del contenuto alimentare alle nuove tecnologie che consentono il trattamento ecosostenibile del suolo e la protezione selettiva del raccolto.
Con l’obiettivo di valorizzare il sapere condiviso di tutti coloro che partecipano a questa grande macchina in evoluzione abbiamo voluto dedicare uno spazio agli agricoltori e combattere lo stereotipo che li riguarda da vicino raccontando le storie dei contadini-imprenditori di oggi.
 
 
Sappiamo che per l’individuazione e lo sviluppo dei contenuti avete lavorato in più di una occasione alla co-produzione con il pubblico. Cosa ha significato co-curare per #Foodpeople? E quali altri momenti di partecipazione è possibile trovare nella mostra?
La co-curatela anima e spinge in modo intelligente i musei a dialogare con i propri pubblici già in fase di progettazione e ideazione dell’esposizione. Per #FoodPeople abbiamo organizzato due progetti di co-curating. Un primo, rivolto agli adulti, ha contribuito alla definizione delle linee guida e temi centrali della mostra. Persone diverse, hanno posto domande e dato stimoli in merito ad alcune problematiche riguardanti il settore dell’alimentazione, domande alle quali la mostra tenta di dare una risposta attraverso il contributo di professionisti e ricercatori (agronomi, storici, nutrizionisti, genetisti, urbanisti).
Il secondo ha invece coinvolto 15 adolescenti della scuola secondaria che hanno curato per noi una parte dell’esposizione scegliendo di lavorare sulla loro esperienza con il cibo attraverso video che raccontano i momenti di consumo durante il corso della giornata.
Un altro momento di interazione fondamentale con il nostro pubblico, sono per noi le attività sperimentali sviluppate nei laboratori. Percorsi educativi che variano a seconda della tipologia del gruppo (dai più piccoli fino al pubblico degli adulti) condotti grazie alla presenza dei nostri educatori scientifici che si dedicano alla preparazione dell’esperimento e all’analisi dei risultati.
 
 
Come avete sviluppato il progetto in termini di collaborazione scientifiche per i contenuti e come ne avete garantito la fattibilità economica attraverso sponsorizzazioni e partnership?
#FoodPeople è stato interamente ideato dal museo (destinate più di 20 persone dello staff) che ne ha poi garantito la fattibilità economica grazie a partnership con privati e lo ha concretizzato grazie alla collaborazione multipla con fornitori esterni, prevalentemente appartenenti alle industrie creative per l’individuazione delle soluzioni di allestimento.
Il progetto complessivamente ha un valore di un milione e mezzo di euro, finanziato quasi per metà da Fondazione Cariplo con la quale abbiamo vinto nel 2013 il bando di Cultura sostenibile che insisteva e stimolava progettualità su tre filoni: rinnovamento offerta culturale, coinvolgimento pubblici diversi e nuovi progetti gestionali per realizzare progetti di questa natura.
Questo ci ha permesso di poter coinvolgere, attraverso un modello economico sostenibile per gli altri partner, un novero di aziende di settore che hanno voluto partecipare all’iniziativa. Il main partner è un azienda abruzzese che si chiama VALAGRO e poi ci sono grandi gruppi multinazionali tra i quali Granarolo, Sammontana e molti altri[1]. Circa il 10% del progetto è inoltre sostenuto da un ente pubblico (Regione Lombardia).
Questo dipinge il modello di finanziamento su cui poggia il lavoro di tutto il museo: un mix di fondi di finanziamento di natura privata con la partecipazione di qualche ente pubblico. Un modello che su un’esposizione come questa è molto funzionale: il fatto che la fattibilità sia garantita da un’importante fondazione bancaria facilita il coinvolgimento di altri partner, in questo caso partner industriali di settore, e allo stesso tempo non rende determinante la loro partecipazione, evitando l’influenza eccessiva rispetto ai contenuti e garantendo l’autonomia tecnico–scientifica. Un dialogo equilibrato favorito proprio grazie al mix e alla presenza delle istituzioni pubbliche, fondamentali per gli altri partecipanti in un’ottica di coproduzione sociale ed educativa.
 
 
Sempre in termini di modello di finanziamento quali sono dunque i vostri obiettivi futuri?
L’obiettivo è continuare a sostenere il percorso di sviluppo del museo grazie all’auto generazione di risorse economiche. Attualmente il nostro modello si compone per circa il 30% di contributi pubblici dedicati alla gestione ed il 70% di ricavi autogenerati. Di questi, la biglietteria, in aumento, genera ricavi che si assestano intorno al 19% del budget, a testimonianza che nonostante il momento di crisi la nostra offerta culturale resta di interesse.
Abbiamo poi i ricavi delle attività educative che sono a pagamento e che ci danno un altro 5% circa del valore di bilancio e le attività gestite con un approccio commerciale, quali l’affitto di spazi per eventi aziendali e i servizi correlati come il bookshop, che nel loro complesso costituiscono il 10% del bilancio. Il restante budget è il risultato di un intesa attività di fundraising su progetti e ricavi da attività di progettazione su commissione o consulenze per progetti culturali o educativi per conto terzi. Rientra in quest’ultima categoria il progetto su per il padiglione di Confindustria (padiglione di Padiglione Italia) che gestiremo durante l’esposizione universale in dialogo con #FoodPeople e le nostre numerose attività.
 
 
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[1] BASF, Air Liquide, Image Line, NetaFIM, Same Deutz-Fahr