Fiera Torino, continua a sperimentare. DAMA e NESXT, al ballo delle debuttanti
Dopo la ferita del Salone del Libro e la sindrome dello “scippo”, Torino, città sempre meno industriale e non ancora post-industriale, continua a sperimentare. Nella settimana nell’art week, grazie a Fondazione per l’arte CRT , nel panorama indiscusso e consolidato di Artissima, l’emergente Flash Back che rinnova con lo sguardo contemporaneo il passato, Operae che fa camminare nella società le idee del design, le altre ovvero “The Others” con le nuove proposte e “Paratissima” con l’artista della porta accanto, nascono nuovi format. orientati a audience alternativi, una produzione creativa che si muove dal basso e segna percorsi inediti. Nell’ottica di stringere nuove collaborazioni e rafforzare la ricerca e la partecipazione giovanile, nascono Dama e Nesxt. Leggiamo il fenomeno – soprattutto ciò che rimane dopo la settimana del contemporaneo – con una intervista incrociata agli ideatori. Quali sperimentazioni attuali Torino sarà capace di ricordare tra vent’anni?
Torino. Della centralità indiscussa di Artissima nella settimana dell’arte torinese e della ricca offerta culturale che la affianca, si è parlato spesso.
Quello che si è visto fuori dai circuiti istituzionali, in giro per la “nuova” Torino, potrà anche non piacere a molti: avvicinarsi all’idea di movida (cosmopolita sì, ma magari anche superficiale), forse anche “molesta e marginale”, ma indicatore di un magma progettuale che necessita di codici interpretativi altri. Ci parla di nuove esigenze, della proposta e dell’organizzazione del lavoro culturale.
Altre due tessere sono arrivate per descrivere il mondo della produzione culturale contemporanea, lasciando intravedere un quadro forse ancora caotico, ma ricco di declinazioni e sensibilità. Possiamo leggere in questi progetti, inoltre, delle esperienze collegate alla disintermediazione del lavoro, realtà che si organizzano in modo indipendente fuori da un sistema tradizionale, ma ne arricchiscono – contestualmente - l'offerta culturale, prendendo spunto da analoghe manifestazioni internazionali.
Un palazzo storico nel Quadrilatero Romano, dieci gallerie internazionali provenienti da sette paesi diversi, quattordici artisti, cinquecento sessanta metri quadri per due programmi di attività – uno espositivo e uno di performance, quattro giorni di apertura per quasi diecimila visitatori. Questi sono i numeri della prima edizione di DAMA, progetto espositivo del gallerista Giorgio Galotti, che ha cercato di integrare funzione commerciale e innovazione nella proposta culturale della Torino Art Week.
Un capannone industriale in Barriera di Milano, venti tra artist run spaces, non profit e associazioni, più di cento artisti, curatori e critici coinvolti attivamente nella programmazione, una sessione domenicale del Forum permanente dell’arte contemporanea italiana – su tre giorni di programmazione totali – e tre sezioni per la prima edizione di NESXT – festival degli spazi d’arte indipendenti, curato da Olga Gambari e organizzato da ArteSera.
Insieme hanno modificato - in parte - le rotte classiche del pubblico di Artissima, nel tentativo di sperimentare modelli, superando le classiche modalità espositive da white cube per abbracciare una visione più “domestica” (DAMA) o “informale” (NESXT) – ma ad ogni costo condivisa in maniera orizzontale.
Abbiamo intervistato singolarmente i due ideatori, e di seguito ve li proponiamo in un affiancamento comparativo. Capita spesso di imbattersi in documenti e fotografie datati anni Novanta, che rappresentano Torino e il suo panorama culturale fatto di Casino Royale, il concerto dei Public Enemy, la collegata diffusione dell’hip hop e del graffitismo, gli albori dei Subsonica e degli Africa Unite, Culicchia con chitarra e maglietta di un gruppo punk, prime esperienze Club2Club. Oggi tante di quelle emozioni vengono annoverate nell’ambito dell’eccellenza. Quali sperimentazioni attuali Torino sarà capace di ricordare tra vent’anni?
DAMA è un nuovo progetto realizzato in un antico palazzo al centro di Torino – Palazzo Saluzzo Paesana. Come è nato e quali erano gli obiettivi con cui è stato pensato?
Galotti. Siamo partiti dalla necessità di sviluppare qualcosa che potesse rispecchiare la nostra generazione e la posizione degli artisti con cui lavoriamo. Tutti noi abbiamo bisogno di accumulare esperienze più che partecipazioni in fiere internazionali che, per quanto necessarie a far conoscere la ricerca di un artista, spesso sono limitanti sotto diversi punti di vista. Su questi presupposti abbiamo creato un progetto che potesse rafforzare la nostra proposta e focalizzarla su pochi elementi selezionati.
NESXT è un progetto realizzato da ArteSera, con la tua direzione artistica, dedicato al panorama artistico no profit, tra associazioni, artist run space e collettivi artistici. In questo caso, come è nato e quali erano gli obiettivi con cui è stato pensato?
Gambari. Il progetto nasce da riflessioni e osservazioni ricavate negli ultimi anni nell’ambito di mie esperienze pregresse, come organizzatrice, curatrice e anche giornalista di settore. La realtà della dimensione della produzione indipendente è diventata sempre più presente e al centro della scena dell’arte, indipendentemente dalla volontà e dallo spazio concesso da quello che possiamo chiamare ‘sistema’. Come qualcosa di inarrestabile, di surgivo e spontaneo. Si tratta di una dimensione in crescita, vitale, dinamica, articolata su più livelli, che assume forme diverse, ibride, nuove di organizzazione, produzione e relazione. Un laboratorio di pratiche che costituisce un vero osservatorio e che può contenere risorse per altri ambiti. È un mondo in cui il concetto di contemporaneo e di futuro risulta consustanziale, così come quello di società e arte-vita.
Come è stato scelto il luogo in cui realizzare DAMA?
Galotti. Abbiamo riflettuto sulla storia della città e del territorio in cui il progetto stava prendendo forma, questo ci ha naturalmente condotto verso alcuni luoghi ideali per Torino e per gran parte dell'Italia: gli antichi palazzi del centro storico.
Come è stato scelto Q35, la bellissima location in cui è stata realizzata questa prima edizione?
Gambari. Cercavamo un luogo che avesse delle caratteristiche storiche di produzione dal basso, che contenesse già in sé l’idea stessa della ‘fabbrica’, del luogo di lavoro concreto in cui nascono e prendono forma idee e pratiche. Q35 è un ex spazio industriale collocato in una zona rappresentativa proprio della storia industriale torinese. Ancora adesso è una zona che ha mantenuto questa identità e che la comunica ai progetti e alle realtà che qui arrivano, legate alla produzione creativa.
Diversi articoli comparsi su giornali e riviste di settore definiscono il vostro progetto “indipendente”. Prima di tutto vi riconoscete in questa etichetta anche se voi l’avete definita curated fair, e quali sono le differenze che caratterizzano DAMA rispetto ad altri progetti presenti in città durante la Art Week?
Galotti. In realtà il termine "curated fair" ci è stato assegnato da qualche testata che ha scritto per prima di DAMA. Noi abbiamo solo provato ad offrire una lettura differente e indipendente da quello che negli ultimi anni si era visto di frequente, soprattutto provando a dissociarci dal sistema fiera nel momento dell'anno di maggiore attenzione sul sistema fiera stesso. Molti la hanno considerata una reazione, altri un contributo interessante per il territorio proprio per la tipologia di processo che ha avviato, offrendo una cornice unica dove poter conoscere artisti emergenti.
Cosa caratterizza NEXST rispetto ad altri progetti presenti in città durante la Art Week?
Gambari. Non esiste, non solo in Italia, un progetto nato e dedicato espressamente alla dimensione della produzione indipendente, che cerchi di prendere forma seguendo quelle che ne sono le necessità e le caratteristiche. NESXT vuole raccontare una parte di mondo dell’arte, e di società, di cui si conosce l’esistenza ma non l’identità reale e il fenomeno internazionale e di contaminazione che sta avvenendo.
Come si è strutturata la prima edizione di DAMA?
Galotti. È stato sviluppato tutto in modo molto naturale attraverso un dialogo serrato tra di noi e con le gallerie partecipanti. Abbiamo dovuto far capire che non si trattava solo di dare una versione alternativa dell'idea di fiera ma anche di proporre una selezione mirata di artisti che avrebbero avuto l'occasione unica di lavorare in piena relazione con il luogo che avrebbe ospitato le loro opere. Ognuno di loro ha sviluppato il metodo di lavoro più appropriato producendo le opere in relazione con la sala assegnata, così come difficilmente avviene in una fiera e con la differenza che in questo caso la sede non avrebbe concesso sconti o adattamenti a opere deboli, questo ha generato una sorta di dialogo serrato con il luogo, e ogni galleria ha saputo ottenere il meglio dalla propria sala.
E quella di NESXT? Inoltre, quali punti di contatto tra il festival e la parte NESXT OFF, inaugurata una settimana prima del festival? Quali feedback avete avuto da questa parte di programma?
Gambari. Il festival è stato strutturato in due parti, una legata al territorio torinese (circuito off), andando a mettere in circuito i progetti e soggetti che, pur eterogenei, condividono aggettivi come indipendente sperimentale, libero, di ricerca, innovativo. L’altra coagulata in via Quittengo con 20 spazi italiani invitati con una call e poi selezionati da un comitato curatoriale, 8 spazi in cui il concetto di grafica d’arte indipendente presentava progetti artistici nella fase precedente al consolidamento nell’oggetto editoriale vero e proprio, un programma di live inteso a 360°. Ottimi feedback per la parte OFF, soprattutto nel mettere in rete realtà che si rafforzano una con l’altra, che consolidano e riconfermano un naturale talento e aspirazione di ricerca laboratoriale e di innovazione tradizionale del tessuto creativo torinese. Inoltre uno dei punti era riuscire a valorizzare, dar voce e presenza a queste realtà sul territorio che patiscono di poca gratificazione e attenzione da parte istituzionale e dal non avere una forza muscolare per controbilanciare molti main event cittadini legati all’arte che prevaricano il resto, invece che entrare in sinergia reciproca. Il contatto tra le due parti off e di via quittengo è stato totale e osmotico, perché costituiscono le due parti di un progetto comune.
Come avete finanziato questa prima esperienza?
Gambari. Abbiamo sponsor di varia natura, sia finanziamento puro (penso a sponsor istituzionali come Fondazione CRT per l’Arte sia a privati come personalmedia, che è un’agenzia di comunicazione torinese) sia supporto tecnico e logistico, così come un materiale umano meraviglioso, che va ben oltre l’apporto concreto. ‘Il gruppo’, infatti, è una delle forze del progetto, che contribuisce come spirito e pratica a lavorare su un’idea di rete e condivisione.
Galotti: Gran parte del progetto è stato finanziato dalle gallerie partecipanti, una piccola parte - ma significativa - ci è stata concessa dalla Fondazione CRT che ha abbracciato da subito il progetto supportandolo con un contributo economico che ci ha concesso di sviluppare anche un programma Live. Questa parte di attività ha puntato su un denso programma di performance curato da Lorenzo Balbi, curatore della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che hanno preso forma tra le sale nobiliari del palazzo barocco.
Può tracciare un bilancio, anche in termini di transazioni economiche a livello aggregato, per questa edizione?
Galotti: Inaspettatamente molte delle opere esposte hanno trovato anche degli acquirenti, ad oggi ancora non so in che percentuale, ma quasi tutte le gallerie che erano arrivate a Torino con la sola idea di presentare uno o due artisti, si sono trovate di fronte a diverse richieste di acquisto. Un bilancio assolutamente incredibile per una prima edizione.
Ci sono esperienze passate, sia in ambito artistico sia più genericamente culturale, che avete preso come modello di riferimento o a cui avete guardato con interesse?
Galotti. No, qualcuno ha accomunato questa iniziativa ad alcune realtà già esistenti all'estero (ndr. Granpalazzo, Independent, Liste, Sunday, Paris Internationale o Nada), probabilmente il periodo storico smuove la testa di tutti noi per avviare una ricerca di metodologie di lavoro innovative, ma il nostro unico metro di paragone sono state le nostre esperienze e le nostre necessità.
Gambari. Molte e diverse. In generale il coordinamento delle biennali che hanno spazi centrali preposti così come un circuito di spazi sparsi sul territorio. E poi il progetto di Reload, un'ex-officina automobilistica nel cuore del quartiere Pigneto a Roma nel 2011, naturalmente l’esperienza di Care Off, e poi due grandi eventi, No Soul For Sale: a Festival of Independents alla Tate nel 2010 e The Ungovernables nel 2012 nell’ambito della New Museum Triennial a New York. E poi l’archivio Indipendent del Maxxi.
Quali sono le gallerie che hanno partecipato alla prima edizione di DAMA e come sono state selezionate? Cosa significa per voi collaborare con questi tipi di realtà?
Galotti. Le gallerie sono 10 di cui 8 provenienti dall'estero, da Shanghai, alla Germania, al Messico. Con la maggior parte di loro c'era un dialogo già aperto e sono state infine selezionate sulla base delle proposte fatte da ognuna di loro e l'attenta visione di Domenico de Chirico, curatore indipendente, che è stato impeccabile nella fase finale lasciando purtroppo fuori alcune gallerie molto interessanti per via dello spazio che avevamo a disposizione e che non volevamo sovraccaricare inutilmente: 10 stanze, 10 gallerie.
Cosa significa per voi focalizzare l’attenzione sugli indipendenti e realizzare un progetto all’interno di un sistema “altro” come quello della Settimana del Contemporaneo?
Gambari. In realtà il nostro orizzonte di riferimento non è certo la Settimana del Contemporaneo, che è un degli accadimenti in un flusso di progettualità inter/nazionali alle quali davvero siamo interessati. Tra l’altro questa modalità di ingolfare e spesso sprecare in questa manciata di giorni è un altro dei punti su cui lavorare per elaborare l’esperienza in un’altra formula, rappresentativa ma non esaustiva di quello che l’arte contemporanea a Torino. Il debutto di Nesxt aveva senso in questo periodo, poi vedremo. In generale, se la domanda si riferisce rispetto agli obbiettivi di Nesxt nei confronti del territorio, l’idea è di presentare pluralità messe in pratica fuori dal mondo torinese (o anche al suo interno -perché sono molte e sorprendenti-, ma che non riescono ad avere la giusta attenzione e valorizzazione), che offrano altre prospettive. Alternative a un certo sistema autoreferenziale che ha perso il passo, che ha difficoltà a intercettare il pubblico o che lo insegue dando per scontato un suo gusto nazional-popolare. Così si attesta sempre e ancora l’arte come lusso accessorio che vive in un altrove, e non materiale della quotidianità, luogo della vita normale e necessario, risorsa con doveri e diritti. Nesxt non è la soluzione, né migliore o altro, semplicemente propone una pluralità condivisa legata a un’idea di piattaforma e di esperimento.
Quali sono state le motivazioni principali per cui il pubblico è venuto a visitare la vostra prima edizione?
Galotti. La curiosità sicuramente, e poi la necessità d'innovazione, la facilità di raggiungimento del palazzo e l'idea di trovarsi di fronte a qualcosa di inaspettato.
Gambari. Molta curiosità, interesse, percezione che ci sia un mondo e un modo altro rispetto a un sistema esausto e imballato. E poi il fatto di poter avere contatti diretti, personali di conoscenza e relazioni con gli spazi e con i loro progetti. Cioè di andare in un luogo dove stare, dove incontrare e che sia una metafora di come la zona arte dovrebbe posizionarsi rispetto a quella della quotidianità.
Quali sono i principali ostacoli con i quali vi siete dovuti confrontare?
Galotti. L'aspetto economico in processi del genere è sempre in primo piano, ma anche quello con le istituzioni. Volevamo trovarci comunque nella posizione di portare a termine la prima edizione per far conoscere il progetto e dimostrare il tipo di portata che avrebbe potuto avere. Posso dire che ce l'abbiamo fatta. Ora dovremo solo bilanciare questa prima esperienza sulle evoluzioni future, per migliorarla e offrire una seconda edizione ancora più raffinata e ricca di contenuti. Sappiamo sin da ora che non sarà facile.
Gambari. Un’enorme macchina da guerra da costruire da zero, in ogni sua parte teorica e pratica. E poi pensare un progetto pezzo per pezzo calibrandolo in un confronto diretto con i suoi interlocutori che ne rappresentano anche il contenuto e, in un certo senso, i committenti. Realizzare cioè un progetto vivo cucito su misura senza essere però una teca con volontà uniformante, didascalica e normativizzante, ma flessibile e aperta in prospettiva. Poi c’è la difficoltà del reperimento economico di fondi e del riuscire a creare delle realtà partner da un punto di vista tecnico quanto logistico. Anche in questo vorremmo attivare modalità di coinvolgimento e condivisione diverse.
Come vedete questo progetto tra cinque anni?
Galotti.: DAMA è sicuramente un processo interessante per realtà emergenti e mid-career che spesso si trovano a dover letteralmente bloccare le proprie programmazioni per via dell'economia complessa alla base di questo sistema. Questo metodo consente invece alle gallerie di continuare a difendere il programma in galleria ma nello stesso tempo, con poche energie economiche e molti stimoli per i propri artisti, riuscire a presentare il proprio programma anche al di fuori del proprio territorio di appartenenza. Le fiere sono nate su questo presupposto e unendo le forze dimostreremo che questo progetto ha molti lati positivi per chi svolge un programma di qualità ma spesso risente del peso organizzativo dovuto anche alla complessa burocrazia e i costi alla base della gestione di una galleria.
Gambari.: Come un progetto che crescerà in maniera compartecipata da un punto di vista progettuale e fattivo. Come un festival che potrà avere delle edizioni nomadi, come una piattaforma animata con eventi concreti di natura sovra-territoriale, che sia di riferimento e si ponga come strumento mai fine a se stesso.
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