ALESSI IN - POSSIBLE. ELOGIO DEL FLOP
La mostra «Alessi In-possible. Quando l’idea non è ancora prodotto», promossa dal Museo Alessi e dal 17 Dicembre esposta alla Fondazione Triennale di Milano, racconta, attraverso 50 oggetti di Design mai messi in produzione, il lato non visibile della ricerca, in cui i fallimenti non diversamente dalle medaglie funzionano come indicatori di sperimentazione. “Spostare il border, è il compito del design e di tutte le discipline che ci spingono a spostare in avanti la nostra zona del possibile. Senza rischio e senza errore, le imprese falliscono”.
Nella letteratura sono i fallimenti e le prove a far funzionare le storie anche dal punto di vista narrativo. Come se lo storie, non diversamente dai sogni, avessero sempre bisogno di un ostacolo da superare per potersi avverare. Eppure in Italia, soprattutto nel mondo dell’impresa, il fallimento, o il flop, è omesso, e di fatto cancellato dalla storia produttiva e dal racconto aziendale come inciampo da dimenticare. La mostra «Alessi In-possibile. Quando l’idea non è ancora prodotto», a cura di Francesca Appiani, realizzata dal Museo Alessi in collaborazione con il Design Museum Holon di Israele, ribalta questa trama ridando centralità e valore al flop come chiaro indicatore dell’elevato tasso di sperimentazione dell’impresa, in qualche modo rafforzando l’assunto che chi non fa ricerca di fatto non sbaglia.
Sin dall’entrata in azienda di Alberto Alessi negli anni Settanta, l’errore è diventato una sorta di vanto aziendale e i cosiddetti «congelati», gli oggetti non prodotti (prototipi, schizzi, disegni tecnici, prove colore, stampi), conservati nell’archivio del Museo Alessi, sono usati come memoria e testimonianza della cultura del progetto in tutte le sue fasi, nonché come «errori» consultabili. Ad essere esposta in Triennale è la storia «non produttiva» del Design, ovvero dei progetti che non diventando prodotto mostrano il lato invisibile della ricerca che quotidianamente coinvolge architetti, designer, ingegneri e artigiani. Di fatto, i «congelati »come li chiamano in azienda, svelano che il Design più che magica intuizione dell’autore è a tutti gli effetti una pratica collettiva, in cui l’imprenditore, operando come editore di prodotti (che sono anche storie) rischia e scommette su cosa sta dentro, o resta fuori dal catalogo aziendale. Non a caso lo stesso Alberto Alessi parla dei designer come romanzieri, traduttori e mediatori dei sogni e dei bisogni del pubblico. Attraverso la presentazione di 50 oggetti in ordine cronologico, dal 1921 ad oggi, la mostra ricostruisce tutte le impossibilità con cui si sono confrontati nel tempo alcuni dei più famosi designer e architetti italiani e internazionali: da Ettore Sottsass, Achille Castiglioni, Aldo Rossi a Philippe Starck, Zaha Hadid, Patricia Urquiola, Ronan e Erwan Bouroullec. Una sorta di inside out sui fattori che determinano l’entrata o la fuoriuscita dal mercato, che prende la forma di processi produttivi economicamente non sostenibili, di materie inconciliabili, o di progetti non risolti dal punto di vista della funzionalità o dell’emotività, o il cui linguaggio appare troppo innovativo. Dall’ambiguità del centro tavola di Mimmo Paladino(2012) dalla funzione poco chiara, alle posate troppo innovative per il mercato alberghiero di Ettore Sottsass (1982), al bollitore di Patrica Urquiola(2005); dai costi di produzione elevati, all’instabilità della caraffa di Erwan e Bouroulle, al cestino a forma di ragno di Scott Henderson interessante come progetto ma poco incisivo come prototipo(2009), alla caffettiera espresso di Giovanni Alessi del 1921 la cui brillante idea si è scontrata con la complessità di esecuzione, la lista è lunga .
Alla mostra «Alessi In- possiible», alla sua seconda tappa dopo l’esposizione al Design Museum Olon , spetta il merito di rendere visibile il modus operandi dell’Alessi, che portando avanti l’idea della fabbrica dei sogni, ha scommesso sul migliore progetto possibile purché ancora comprensibile per il pubblico. Nell’ideazione della mostra In- possible si avverte l’eco della teoria del borderline e della cosiddetta formula del successo ideata da Alberto Alessi, che trasmette con chiarezza la linea di confine, il border, con cui ogni progetto/prodotto, è tenuto a confrontarsi. Un limite, spesso invisibile, che ne determina il successo o il fallimento, di cui i flop svelano l’esistenza.
Spostare il border, è il compito del design e di tutte le discipline che ci spingono a spostare in avanti la nostra zona del possibile. Senza rischio e senza errore, le imprese falliscono. «La nostra missione, scrive Alberto Alessi, consiste nell’esplorare l’immensità del possibile creativo, una zona ad altissima turbolenza. Il nostro destino ci spinge a camminare per strade che non sono state ancora aperte, a battere sentieri sconosciuti per raggiungere il cuore del pubblico». Ed ecco che si ritorna alle storie, agli ostacoli da superare come occasione di trasformazione. Come afferma lo scrittore Hans Magnus Enzensberger «La cultura del successo e di tutto quello che ci sta attorno sparisce presto, invece un flop può rimanere a lungo nella memoria. I flop aiutano a conoscere i campi minati con cui ci si dovrebbe confrontare».
Elogio del flop e di un’azienda che ha fatto del racconto del prodotto, e del fallimento, un modello di successo.
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Didascalia: Scott Henderson, cestino Spider Bowl, 2009, prototipo in acciaio inossidabile ©Museo Alessi