Accessibità universale: un progetto MiBAC per la valorizzazione della persona
Rubrica:
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di:
Nicola Alberto De Carlo, Università degli Studi di Padova, Laura Dal Corso e Greta Schonhaut, PSIOP – Istituto di Psicoterapia
Cosa sta accadendo sul fronte dell’accessibilità universale? In collaborazione con LuBEC di Fondazione Promo PA, arricchiamo la conoscenza dello scenario. Il MiBAC ha siglato recentemente una convenzione con l’Università di Padova per realizzare il progetto di ricerca “Azioni di sviluppo professionale/lavorativo e di valorizzazione della persona mediante attività di conservazione del patrimonio artistico-culturale e di restauro”, a favore dell’inclusione sociale. Ne parlano Nicola Alberto De Carlo -Università degli Studi di Padova con Greta Schonhaut e Laura Dal Corso PSIOP – Istituto di Psicoterapia. La ricerca trae origine dall’esperienza “Restauro e disabilità” condotta dal Museo d’Arte Orientale di Venezia, di cui ci parla la direttrice Marta Boscolo Marchi.
Rubrica in collaborazione con la Fondazione Marino Marini di Firenze
È stata firmata di recente la Convenzione fra il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (MiBAC) e l’Università di Padova per promuovere e realizzare un progetto di ricerca dal titolo Azioni di sviluppo professionale/lavorativo e di valorizzazione della persona mediante attività di conservazione del patrimonio artistico-culturale e di restauro. Tali azioni sono centrate sia sulle competenze degli specialisti che sugli strumenti propri della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, della psicoterapia, e in generale della psicologia applicata. Gli obiettivi sono il recupero e il rafforzamento del senso di identità personale e lavorativa, nei singoli e nei gruppi/comunità/collettività, attraverso il lavoro nell’ambito delle attività di conservazione del patrimonio artistico e culturale e di restauro. Attività di per sé caratterizzate da ampi e articolati contenuti valoriali per i singoli e per la società, anche in situazioni difficili o svantaggiate.
In forza della Convenzione si opera sviluppando e realizzando conoscenze teoriche, strumenti di indagine e di raccolta dei dati, esperienze empiriche, progettazione e conduzione di interventi, valutazioni di ritorni attesi e di efficacia personale e sociale, nonché economica. Nel percorso verranno coinvolti stakeholders, creata una piattaforma di dialogo e confronto e verranno individuati beni costituenti il patrimonio artistico e culturale su cui operare.
Tra le esperienze di maggior rilievo che hanno portato allo sviluppo e alla formalizzazione della collaborazione fra MiBAC e Università di Padova si colloca senz’altro quella realizzata – nel contesto del Polo Museale del Veneto diretto dal Dott. Daniele Ferrara – all’interno del Museo d’Arte Orientale di Venezia, diretto dalla Dott.ssa Marta Boscolo Marchi, grazie all’impegno delle tante persone che hanno creduto nell’iniziativa e vi hanno operato con intelligenza e passione. Di tale esperienza, rilevante sul piano scientifico-tecnico così come su quello umano e sociale, pur se circoscritta nel tempo e nel numero delle persone coinvolte, viene fornita un’utile e concretissima testimonianza nel volume “Esperienze di inclusione sociale al Museo d’Arte Orientale di Venezia”, di G. Schonhaut e S. Bisagni, TPM Edizioni, 2018.
Marta Boscolo Marchi , direttrice del Museo d’Arte Orientale di Venezia, ci parla del progetto “Restauro e disabilità”, nato dalla convenzione stipulata dal Museo con PSIOP, Scuola di specializzazione in Psicoterapia, per la realizzazione di un workshop di avviamento alla manutenzione dei beni culturali di persone con disabilità psichica, con la supervisione del prof. Nicola Alberto De Carlo dell’Università degli Studi di Padova per gli aspetti psicosociali, il supporto organizzativo e scientifico di CISES, il sostegno di Cooperativa Polis Nova, ditta Bresciani, Istituto Veneto per i Beni Culturali, della dott.ssa Stefania Bisagni e della prof.ssa Renata Trevisan.
“Il progetto è stato frutto di un incontro con il direttore dell’IVBC, Renzo Ravagnan, dei materiali tattili che il Museo mette a disposizione di adulti e bambini non vedenti e delle difficoltà che talvolta gli operatori museali possono incontrare nell’approccio alle disabilità. Fu Ravagnan ha creare il ponte con la restauratrice e psicologa Greta Schonhaut. Con lei è nato un workshop di una settimana nell’ambito della conservazione preventiva che ha portato cinque persone con disabilità psichica, nel giugno del 2017, al Museo per un avvicinamento alla pratica della manutenzione dei beni culturali.
Il Museo è da tempo dotato di una guida accessibile in Lingua dei Segni Italiana, di materiali tattili per adulti e bambini, alcuni dei quali addirittura scaricabili dal sito orientalevenezia dedicato ai più piccoli. Recentemente abbiamo iniziato a fare anche visite guidate per andare incontro alla disabilità cognitiva. La proposta maturata con la dott.ssa Schonhaut ha dato e voce a un’esigenza ulteriore, che è quella bene espressa non solo all’articolo 3 della nostra Costituzione e dalla Convenzione sui diritti delle persone disabili del 2006 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ma anche dall’art. 6 del Codice dei Beni Culturali (D. Lgs. 42/2004), che tutela la fruizione del patrimonio da parte delle persone con disabilità.
Il Museo è un luogo dove si passa il proprio tempo libero ma è anche un luogo di studio e di lavoro.
L’obiettivo di questo progetto, da parte nostra, era quello di rendere il Museo un luogo vitale, inclusivo, capace di promuovere davvero lo sviluppo della cultura intesa non solo come sapere ma anche come saper fare (art. 34 del DPCM 171/2014). L’accessibilità museale di cui si discute in questi anni si modella soprattutto dalla riflessione condotta nei paesi anglofoni, intercettando discipline molto diverse: la museologia, la museografia, gli studi sui visitatori museali, la didattica, la curatela ma anche la pedagogia, i disability studies, le ricerche sul gaming, sulla partecipazione e sul coinvolgimento delle comunità. Credo che un inserimento così diretto nel lavoro museale vero e proprio sia un settore poco esplorato, da cui il valore aggiunto di questa esperienza.
Il coinvolgimento dello staff museale, con le ore di insegnamento e affiancamento che Barbara Biciocchi, Severina Bortolato, Elisa Giacomello ed io abbiamo dedicato al progetto, è stato molto significativo: avere accolto giornalmente questi nuovi operatori ha permesso di scoprire aspetti inediti del proprio lavoro. L’accessibilità ci obbliga a considerare le differenze di ognuno e i diversi stili di apprendimento di cui anche il pubblico normodotato è portatore. Ma la disabilità in particolare, specie se cognitiva, ci insegna a ripensare alla ristrettezza dei nostri metodi valutativi. Cioè la disabilità non è solo il problema di un gruppo minoritario ma può essere considerata la non possibilità di alcune persone di partecipare attivamente alla società, spostando il problema a una responsabilità di contesto.
Nel progetto è stata coinvolta una liceale in alternanza scuola lavoro presso il Museo: ciò ha attivato un circolo educativo virtuoso poiché la studentessa ha imparato insieme ai nostri ospiti a realizzare una scheda conservativa, a utilizzare l’attrezzatura professionale per le riprese, a comprendere le logiche dell’organizzazione dei depositi museali.
Infine credo sia stato importante da parte nostra far passare il messaggio che il loro lavoro è stato davvero “utile” al Museo. Non è stata la ricostruzione artificiale di un caso di lavoro costruito ad arte, ma una necessità reale del Museo di manutenere e immagazzinare correttamente una serie di opere costitutivamente fragili (considerato che si tratta di materiali per lo più organici), che devono essere tenuti al riparo da luce, polvere, procedere quindi a un riordino per il quale in caso diverso e seppure in scala di grandezza diversa, il Museo avrebbe dovuto incaricare un operatore.
Credo che questa sperimentazione abbia dimostrato che una formazione mirata, seppur minima e basilare, nel settore della manutenzione conservativa, sia realmente possibile in un'ottica di inclusione sociale.”
Rubrica in collaborazione con la Fondazione Marino Marini di Firenze
È stata firmata di recente la Convenzione fra il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (MiBAC) e l’Università di Padova per promuovere e realizzare un progetto di ricerca dal titolo Azioni di sviluppo professionale/lavorativo e di valorizzazione della persona mediante attività di conservazione del patrimonio artistico-culturale e di restauro. Tali azioni sono centrate sia sulle competenze degli specialisti che sugli strumenti propri della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, della psicoterapia, e in generale della psicologia applicata. Gli obiettivi sono il recupero e il rafforzamento del senso di identità personale e lavorativa, nei singoli e nei gruppi/comunità/collettività, attraverso il lavoro nell’ambito delle attività di conservazione del patrimonio artistico e culturale e di restauro. Attività di per sé caratterizzate da ampi e articolati contenuti valoriali per i singoli e per la società, anche in situazioni difficili o svantaggiate.
In forza della Convenzione si opera sviluppando e realizzando conoscenze teoriche, strumenti di indagine e di raccolta dei dati, esperienze empiriche, progettazione e conduzione di interventi, valutazioni di ritorni attesi e di efficacia personale e sociale, nonché economica. Nel percorso verranno coinvolti stakeholders, creata una piattaforma di dialogo e confronto e verranno individuati beni costituenti il patrimonio artistico e culturale su cui operare.
Tra le esperienze di maggior rilievo che hanno portato allo sviluppo e alla formalizzazione della collaborazione fra MiBAC e Università di Padova si colloca senz’altro quella realizzata – nel contesto del Polo Museale del Veneto diretto dal Dott. Daniele Ferrara – all’interno del Museo d’Arte Orientale di Venezia, diretto dalla Dott.ssa Marta Boscolo Marchi, grazie all’impegno delle tante persone che hanno creduto nell’iniziativa e vi hanno operato con intelligenza e passione. Di tale esperienza, rilevante sul piano scientifico-tecnico così come su quello umano e sociale, pur se circoscritta nel tempo e nel numero delle persone coinvolte, viene fornita un’utile e concretissima testimonianza nel volume “Esperienze di inclusione sociale al Museo d’Arte Orientale di Venezia”, di G. Schonhaut e S. Bisagni, TPM Edizioni, 2018.
Marta Boscolo Marchi , direttrice del Museo d’Arte Orientale di Venezia, ci parla del progetto “Restauro e disabilità”, nato dalla convenzione stipulata dal Museo con PSIOP, Scuola di specializzazione in Psicoterapia, per la realizzazione di un workshop di avviamento alla manutenzione dei beni culturali di persone con disabilità psichica, con la supervisione del prof. Nicola Alberto De Carlo dell’Università degli Studi di Padova per gli aspetti psicosociali, il supporto organizzativo e scientifico di CISES, il sostegno di Cooperativa Polis Nova, ditta Bresciani, Istituto Veneto per i Beni Culturali, della dott.ssa Stefania Bisagni e della prof.ssa Renata Trevisan.
“Il progetto è stato frutto di un incontro con il direttore dell’IVBC, Renzo Ravagnan, dei materiali tattili che il Museo mette a disposizione di adulti e bambini non vedenti e delle difficoltà che talvolta gli operatori museali possono incontrare nell’approccio alle disabilità. Fu Ravagnan ha creare il ponte con la restauratrice e psicologa Greta Schonhaut. Con lei è nato un workshop di una settimana nell’ambito della conservazione preventiva che ha portato cinque persone con disabilità psichica, nel giugno del 2017, al Museo per un avvicinamento alla pratica della manutenzione dei beni culturali.
Il Museo è da tempo dotato di una guida accessibile in Lingua dei Segni Italiana, di materiali tattili per adulti e bambini, alcuni dei quali addirittura scaricabili dal sito orientalevenezia dedicato ai più piccoli. Recentemente abbiamo iniziato a fare anche visite guidate per andare incontro alla disabilità cognitiva. La proposta maturata con la dott.ssa Schonhaut ha dato e voce a un’esigenza ulteriore, che è quella bene espressa non solo all’articolo 3 della nostra Costituzione e dalla Convenzione sui diritti delle persone disabili del 2006 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ma anche dall’art. 6 del Codice dei Beni Culturali (D. Lgs. 42/2004), che tutela la fruizione del patrimonio da parte delle persone con disabilità.
Il Museo è un luogo dove si passa il proprio tempo libero ma è anche un luogo di studio e di lavoro.
L’obiettivo di questo progetto, da parte nostra, era quello di rendere il Museo un luogo vitale, inclusivo, capace di promuovere davvero lo sviluppo della cultura intesa non solo come sapere ma anche come saper fare (art. 34 del DPCM 171/2014). L’accessibilità museale di cui si discute in questi anni si modella soprattutto dalla riflessione condotta nei paesi anglofoni, intercettando discipline molto diverse: la museologia, la museografia, gli studi sui visitatori museali, la didattica, la curatela ma anche la pedagogia, i disability studies, le ricerche sul gaming, sulla partecipazione e sul coinvolgimento delle comunità. Credo che un inserimento così diretto nel lavoro museale vero e proprio sia un settore poco esplorato, da cui il valore aggiunto di questa esperienza.
Il coinvolgimento dello staff museale, con le ore di insegnamento e affiancamento che Barbara Biciocchi, Severina Bortolato, Elisa Giacomello ed io abbiamo dedicato al progetto, è stato molto significativo: avere accolto giornalmente questi nuovi operatori ha permesso di scoprire aspetti inediti del proprio lavoro. L’accessibilità ci obbliga a considerare le differenze di ognuno e i diversi stili di apprendimento di cui anche il pubblico normodotato è portatore. Ma la disabilità in particolare, specie se cognitiva, ci insegna a ripensare alla ristrettezza dei nostri metodi valutativi. Cioè la disabilità non è solo il problema di un gruppo minoritario ma può essere considerata la non possibilità di alcune persone di partecipare attivamente alla società, spostando il problema a una responsabilità di contesto.
Nel progetto è stata coinvolta una liceale in alternanza scuola lavoro presso il Museo: ciò ha attivato un circolo educativo virtuoso poiché la studentessa ha imparato insieme ai nostri ospiti a realizzare una scheda conservativa, a utilizzare l’attrezzatura professionale per le riprese, a comprendere le logiche dell’organizzazione dei depositi museali.
Infine credo sia stato importante da parte nostra far passare il messaggio che il loro lavoro è stato davvero “utile” al Museo. Non è stata la ricostruzione artificiale di un caso di lavoro costruito ad arte, ma una necessità reale del Museo di manutenere e immagazzinare correttamente una serie di opere costitutivamente fragili (considerato che si tratta di materiali per lo più organici), che devono essere tenuti al riparo da luce, polvere, procedere quindi a un riordino per il quale in caso diverso e seppure in scala di grandezza diversa, il Museo avrebbe dovuto incaricare un operatore.
Credo che questa sperimentazione abbia dimostrato che una formazione mirata, seppur minima e basilare, nel settore della manutenzione conservativa, sia realmente possibile in un'ottica di inclusione sociale.”