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«Oltre la sindrome del Vilcoyote». Ci vuole coraggio per disegnare le Politiche

  • Pubblicato il: 13/05/2016 - 16:36
Rubrica: 
CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Maria Elena Santagati

Questo il titolo del nuovo libro di Luca Dal Pozzolo e Aldo Garbarini con Francesco De Biase. Riflessioni e proposte per salvare le nostre politiche culturali dall'ennesima caduta nel vuoto. Questione di consapevolezza, questione di scelta, che parte dal «mettere la cultura al centro delle nuove domande sociali»
 
 
 
 
 
«È la sindrome del Vilcoyote, che cammina sospeso nel vuoto tra i due versanti del Canyon, fino a quando un perfido Beep Beep non richiami la sua attenzione. Solo la consapevolezza può ripristinare la drammatica gravità. La catastrofe è differita nel tempo, rispetto alla rottura dell'equilibrio, al venir meno delle ragioni che sostengono l'azione. Paradossi della lunga durata, sopravvivenza delle idee e delle visioni culturali ben oltre il tramonto del mondo che le ha prodotte» (p.15)
 
 
 
Il dibattito sulle politiche culturali in Italia si scalda con  Luca Dal Pozzolo e Aldo Garbarini, in conversazione con Francesco De Biase: una combinazione di ragion pura e pratica di due intellettuali che si confrontano costantemente con la realtà del pubblico e del privato, «ricercatore privato che si confronta con l'agire pubblico» l'uno, «responsabile culturale pubblico che per ovvie ragioni ha a che fare con i soggetti privati», l'altro.
«Oltre la sindrome del Vilcoyote. Politiche culturali per disegnare il futuro» nasce così: «da una riflessione che sentiamo farsi urgente, dalla voglia di lanciare un avvertimento, dal desiderio di provocare altri pensieri».
Non un cahier de doléances sullo stato dell'arte della politica culturale nostrana, ma una lettura critica, dove crisi torna al suo significato originario di scelta. Spunti, indicazioni, suggerimenti, questo emerge dalle pagine del nuovo libro edito da FrancoAngeli per la collana «Pubblico, professioni e luoghi della cultura», accompagnati da proposte concrete, frutto di un'esperienza radicata nelle complesse dinamiche istituzionali e territoriali del bel paese, senza retorica.
Gli autori decidono di prendersi cura di Wile E. Coyote,  ovvero della situazione che la cultura attraversa nel nostro paese, affinché gli si possa risparmiare di precipitare nel buio.
Guidati dalle puntuali e spesso provocatorie domande di Francesco De Biase, gli autori ci accompagnano in un dialogo  in cui ricorrono i termini di governance, processi, sostenibilità, che qui si spogliano della loro astrattezza per assumere una eccezionale concretezza, anche in relazione alle innumerevoli potenzialità del settore, ben illuminate nel susseguirsi delle 118 pagine. Accenni a una molteplicità di casi, dal design all'opera, dalla salute alle biblioteche, diventano pretesti per approfondire problematiche centrali e cruciali delle politiche culturali, entrando nel merito dell'adeguatezza delle politiche pubbliche e non delle norme giuridiche, come è tradizione in Italia.
 
Tentando di fare ordine in un'ecologia culturale complessa, il libro si compone di un'intervista articolata in quattro sessioni, dedicate a specifici temi, e un'ultima parte prospettica. Temi che però riaffiorano ripetutamente anche nelle altre sessioni e si intrecciano, arricchendosi, a testimonianza di quanto sia difficile delimitare e soprattutto impermeabilizzare il perimetro delle politiche culturali.
Parte proprio da qui, infatti, la riflessione degli autori con «Politiche culturali all'alba del terzo millennio»: quale ruolo, quale oggetto, quale obiettivo, quale orizzonte temporale, quali risorse, quali destinatari delle politiche pubbliche per la cultura, in cui l'educazione assume un ruolo sempre più centrale. Politiche culturali che dovrebbero ancorarsi maggiormente ai cambiamenti sociali, tecnologici ed economici del contesto odierno, fornendo ai cittadini gli strumenti necessari per interpretare presente e passato e delineare il futuro. Perché «il patrimonio (…) è importante, va conservato e soprattutto interpretato perché possa parlare alla sensibilità contemporanea, ma non produce automaticamente nuova cultura, non contribuisce di suo (...) a disegnare quel futuro che le politiche culturali vorrebbero individuare e inseguire». Nella consapevolezza della non autodeterminazione delle politiche, si affronta anche la questione della necessaria e inevitabile riforma delle istituzioni pubbliche, che dovrebbero «costruire le condizioni per» e porsi come «regolatore di opportunità» per un fitto sistema di attori.
All'interno del perimetro, posto centrale è indubbiamente quello del patrimonio culturale, a cui è dedicata la seconda parte «Patrimonio. Tra responsabilità e peso insostenibile». Al concetto di patrimonio inteso non come petrolio da sfruttare, ma come eredità di cui si diviene responsabili, alla querelle conservazione/valorizzazione, pubblico/privato, passando per i recenti strumenti di finanziamento come crowdfunding e art bonus, sottende la questione cruciale della memoria. È nella relazione passato-presente-futuro che si costruisce il valore del bene culturale. Infatti «l'ipocrita cullarsi nella convinzione di una possibile «tutela e conservazione del tutto» (…) ha permesso di occultare sotto un manto eticamente sontuoso, quanto impotente, il tema di chi decide cosa conservare e soprattutto perché e per chi». Si suggerisce di reimmettere il patrimonio culturale nel ciclo economico, compatibilmente con le esigenze di conservazione, per garantirne una maggiore fruizione e sostenibilità, attraverso sempre più frequenti ed efficaci collaborazioni pubblico-privato.
Ovviamente il testo non poteva esimersi dall'affrontare la questione della penuria delle risorse finanziarie per la cultura, tema che nel dibattito comune molto spesso la fa da padrone. Nella terza parte «L’assenza di risorse economiche. Il più granitico dei falsi problemi» gli autori assumono una posizione che chiama in causa questioni classiche come la legittimità del finanziamento alla cultura, ma anche prospettive critiche rispetto alla necessità di valutare l'adeguatezza delle risorse economiche e, allo stesso tempo, dei progetti di politica culturale a cui queste sono destinate, spesso essi stessi inadeguati. Vi è, infatti, «la sensazione di una diffusa anche se geopardata difficoltà a indirizzare le risorse verso obiettivi di politica culturale, perfino laddove le risorse siano effettivamente presenti». E talvolta non utilizzate, come nel caso dei Fondi Strutturali. Si sottolinea perciò l'urgenza di un approccio intersettoriale, come peraltro auspicato a livello europeo, ma anche di un cambio di rotta delle istituzioni pubbliche, soprattutto in termini di definizione di priorità, e degli operatori culturali, che dovrebbero volgere il loro sguardo non solo al lato dell'offerta ma anche a quello della domanda. Un finanziamento che sostenga istituzioni e infrastrutture culturali ma anche progetti complessi, di innovazione, di sperimentazione, all'intersezione con settori eterogenei per poterne amplificare gli effetti.
Altro ambito centrale è senz'altro quello dell'arte e della creatività, di cui si occupa la quarta parte «Politiche culturali, arte, creatività: quali regole d’ingaggio?», dove si approfondisce la questione della qualità e del giudizio estetico, non più unico criterio di finanziamento possibile, soprattutto nel caso dell'arte contemporanea. Dalla storia della critica d'arte degli ultimi secoli si può infatti trarre una lezione importante in merito. Si prospetta un finanziamento non più articolato in contributi a pioggia ma in un «sistema di irrigazione», poiché «i finanziamenti di piccola dimensione non attirano l'attenzione e non vengono né controllati né valutati. Al contrario i sistemi di irrigazione devono essere controllati e valutati nei loro effetti». Valutare per scegliere, nell'intento primario non tanto di celebrazione dell'eccellenza, ma di favorire, stimolare, incentivare, irrigare appunto, la diversità della produzione culturale, anche nei suoi obiettivi non prettamente artistici.
 
Infine, con «Cultura e welfare. Una prospettiva per scegliere» gli autori ci prospettano una serie di indicazioni per tentare di salvare il Vilcoyote dall'ennesimo salto nel vuoto. Molto si gioca nel «mettere la cultura al centro delle nuove domande sociali», non tanto in un'ottica opportunistica per ottenere  maggiori risorse finanziarie, quanto riconoscendo il suo ruolo e il suo impatto importante negli altri ambiti sociali, come peraltro da più parti sta dimostrando il dibattito sugli spillovers. Conversazione densa, densissima, da leggere e da rileggere. Una luce  in un buio assordante. Un invito a scegliere (un appello?) a fronte di quanto constatato dagli autori (e non solo): «la sensazione di ripetizione ossessiva dove, ancora una volta, le politiche culturali fossero sospese nel vuoto di un abisso, che, ancora una volta, non fosse così immediata la percezione di questo abisso e che quindi, ancora una volta, qualcuno ci potesse risvegliare (consapevolmente? inconsapevolmente?) per farci cadere giù».
Che poi ci sarebbe da chiedersi se politiche culturali autentiche non siano, qui, ancora da sperimentare. Politiche per disegnare il futuro. Perché, per dirla con Malraux, «la cultura non è soltanto un insieme di conoscenze, ma l'organizzazione di una sensibilità, una trasmissione e ricreazione di valori, un'eredità particolare della nobiltà del mondo»[1], «è innanzitutto una volontà»[2]... «la cultura non la si eredita, la si conquista»[3].

Oltre la sindrome del Vilcoyote. Politiche culturali per disegnare il futuro
Luca Dal Pozzolo, Aldo Garbarini in conversazione con Francesco De Biase
FrancoAngeli
Collana: Pubblico, professioni e luoghi della cultura
pp. 128
Prezzo: € 18,00
Codice ISBN: 9788891729866
 
 

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[1]    Tratto dal discorso pronunciato il 28 settembre 1968 da André Malraux in occasione dell'Assemblea generale dell'Association Internationale des Parlementaires de Langue française

[2]    Tratto dal discorso pronunciato il 17 febbraio 1969 da André Malraux a Niamey in occasione della  Conférence des Pays Francophones

[3]    Tratto dal discorso pronunciato il 28 maggio 1959 da André Malraux ad Atene, Hommage à la Grèce