La complicità sentimentale tra arte e moda
Uno tra i più prestigiosi marchi della moda made in Italy esprime la propria vocazione culturale e una grande attenzione al valore immateriale del lavoro artigianale. Un caso peculiare dell’intervento d’impresa in cultura, con un museo e una fondazione – senza tralasciare aspetti di mecenatismo a favore del patrimonio culturale, come il recente progetto del restauro della Fontana del Nettuno in Piazza Signoria. In occasione della mostra “Marilyn Monroe. La donna oltre il mito”, in svolgimento a Palazzo Madama, intervistiamo Stefana Ricci, Direttrice del Museo Salvatore Ferragamo e della Fondazione Ferragamo, nata nel 2013
Torino. Storica dell’arte e motore – tra le tante pensate sino ad ora – della vastissima mostra «Tra arte e moda», curata assieme a Maria Luisa Frisa, Enrica Morini e Alberto Salvadori, in un prezioso percorso espositivo che si sviluppa su cinque istituzioni diverse: il Museo Salvatore Ferragamo, la Biblioteca Nazionale Centrale, la Galleria del Costume e la Galleria d’Arte Moderna a Palazzo Pitti, il Museo Marino Marini – a Firenze- e il Museo del Tessuto – a Prato. Arte, moda, ricerca e saper fare si integrano alla visione più strategica interpretata nella gestione della Fondazione – ente legato alla tutela dell’archivio storico della figura di Salvatore Ferragamo e allo sviluppo delle competenze e conoscenze sul territorio – in una logica globale come quella dell’impresa e del museo. La mostra resterà aperta per un tempo molto lungo, inaugurata a maggio resterà aperta fino al 7 aprile 2017, come è tradizione nei progetti a cadenza annuale della direttrice - che ci parla della genesi di un progetto d’ispirazione per molte altre aziende.
Il suo rapporto con l’impresa Salvatore Ferragamo risale al 1984, anno in cui organizzò la prima mostra retrospettiva sulla storia dell’azienda a Palazzo Strozzi di Firenze e, successivamente, al Victoria & Albert Museum di Londra e al Los Angeles County Museum, iniziando – così – anche a curare l’archivio dell’azienda. Ci racconta le premesse scientifiche di quel progetto, gli obiettivi e la formalizzazione?
Il 4 maggio 1985 veniva allestita a Firenze, nel piano nobile di Palazzo Strozzi, la prima mostra sulla vita e l’opera di Salvatore Ferragamo. Il progetto espositivo, che storicizzava un marchio in attività, era stato preceduto dalla retrospettiva su Yves Saint Laurent, curata da Diana Vreeland nel 1983 al Metropolitan Museum di New York, la prima a celebrare un designer vivente. La mostra su Ferragamo seguiva, a due anni di distanza, l’apertura, sempre nel 1983, della Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze, il primo museo statale in Italia e, l’unico, dedicato alla storia dell’abito e dell’accessorio, che con le sue attività avrebbe diffuso di lì a poco anche nel nostro paese il dibattito teorico che si era aperto in quegli anni sulla natura delle mostre di moda e su come la moda dovesse rapportarsi al museo.
Il merito di aver intuito le potenzialità di un progetto espositivo dedicato a Ferragamo si deve a Cristina Aschengreen Piacenti, il primo direttore della Galleria del Costume di Palazzo Pitti. Fu dunque la Aschengreen ad introdurre l’argomento alla famiglia Ferragamo, la moglie e i figli di Salvatore, ancora alla guida dell’azienda, prospettando gli sviluppi della tematica.
Fu in particolare Fiamma Ferragamo, la maggiore dei figli di Salvatore, responsabile, dopo la morte del padre, del settore merceologico più importante dell’azienda (le scarpe e gli accessori in pelle), a farsi portavoce del progetto con la madre e i fratelli. Renderlo concreto, dargli un’impostazione strategica, significava avvalersi delle competenze tecniche di storici ed archivisti e chiamando persone come me, laureata in storia dell’arte e consulente della Galleria del Costume, nel ruolo di curatore scientifico della prima mostra. Fiamma credeva nel valore dell’impresa Ferragamo e del suo passato, e allo stesso tempo considerava la cultura un elemento indispensabile per la strategia dell’impresa. Fu tuttavia assolutamente d’accordo con il resto della famiglia e con il direttore della Galleria del Costume di limitare la mostra alla vita del fondatore, di creare cioè un distacco tra il passato e l’azienda contemporanea perché, data la novità del soggetto, soprattutto in Italia, non fosse messo in discussione il rigore scientifico con cui era stata condotta la ricerca su Ferragamo e sul contesto storico in cui si era inserita la sua opera.
La mostra del 1985, da me curata, raccontava il percorso biografico di Ferragamo, attraverso le sue opere le calzature, che volutamente erano presentate da sole, come sculture, in modo che il visitatore fosse concentrato sull’oggetto, sull’invenzione, la maestria tecnica, lo studio delle forme con cui ogni modello era realizzato. Solo alcuni ingrandimenti fotografici di sottofondo lasciavano percepire il contesto storico in cui le calzature erano state concepite. Era importante far apprezzate il prodotto/moda come opera in sé. Il progetto iniziale diventò in breve un’esposizione itinerante, ospitata in alcuni dei musei più prestigiosi del mondo, dal Victoria and Albert Museum a Londra (1987), al Los Angeles County Museum in California (1992), alla Sogetsu Kai Foundation a Tokyo (1998), al Museo des Bellas Artes di Città del Messico (2006), al Museum of Contemporary Art di Shanghai (2008), con qualche modifica nei contenuti e nell’allestimento rispetto alla versione originale, necessaria a rendere l’iniziativa adeguata ai tempi e al pubblico. In Shanghai, a più di vent’anni dalla prima inaugurazione, la mostra ha aperto le porte alla storia globale dell’azienda Ferragamo, raccontando le tappe fondamentali che hanno segnato l’estensione della gamma produttiva e della distribuzione internazionale e testimoniando, oltre la dimensione estetica, che l’impresa non è solo un attore della trasformazione che muove l’economia, ma è tanto più efficace in quanto coinvolge la dimensione sociale e culturale, svolge una funzione intellettuale, elabora un progetto imprenditoriale, aggrega il consenso sociale interno ad esso, organizza i fattori produttivi, mobilita e forma le risorse umane chiamate a cooperare alla sua attuazione. Il mio compito è stato quello, dalla prima mostra, di fare la ricerca storica, progettare insieme a professionisti il percorso espositivo e modificarne le tappe nel tempo, in relazione anche al pubblico e anche all’approfondimento della ricerca.
Nel 1995 è stato inaugurato il Museo Salvatore Ferragamo, e le è stata affidata la direzione scientifica. Oltre la nomina, è stata anche incaricata dell’organizzazione degli eventi culturali in tutto il mondo. Come si è sviluppata quella prima visione legata al mondo della moda e in che maniera cercate di dare continuità al vostro progetto scientifico?
La continuità è stata dettata dalla storia stessa di Ferragamo. La sue vicende autobiografiche, i valori in cui ha creduto, le relazioni intessute con la clientela e le sue creazioni vanno oltre la moda. Rappresenta uno spaccato della storia italiana del Novecento. Parallelamente alla prima mostra retrospettiva, è iniziato il lavoro sull’archivio Ferragamo, ancora oggi non ultimato, che ha permesso e permette tuttora all’azienda di riconoscere il suo Dna, di ricostruire le tappe più importanti del suo sviluppo e di organizzare, nello specifico, oltre l’esposizione itinerante già menzionata, numerosi progetti espositivi di piccole e grandi dimensioni, direttamente gestiti dall’azienda, o di prendere parte a mostre, organizzate da altri, sugli argomenti più vari in musei pubblici e privati, in molte parti del mondo
La componente “soggettiva” ed “emotiva”, che aveva convinto all’inizio la famiglia Ferragamo ad inaugurare la prima mostra, si è trasformata nel tempo in una maggiore consapevolezza dell’importanza della storia quale elemento distintivo del marchio e fonte continua di informazioni e suggestioni. Questo ha portato ad un’evoluzione del progetto prima nella sistematizzazione dell’archivio e poi nella costituzione di un museo d’impresa aperto al pubblico. Durante gli anni è cresciuta la consapevolezza dell’importanza dell’archivio e del museo per l’impresa, che sono stati visti come elementi indispensabili di interazione con il territorio, come centri di promozione del dibattito culturale, come elementi dinamici per la formazione esterna ed interna. Un’azienda, che può vantare una storia più o meno lontana, e che riesce a narrarla nell’archivio e nel museo, è ritenuta avere marcia in più per la sua capacità di durata sul mercato. Il museo è anche inteso come il salotto buono in cui accogliere la propria clientela, effettiva e potenziale, alla quale dimostrare i propri connotati. E’ il luogo dove sono tangibili i valori del marchio e gli elementi di distinzione dalla concorrenza, dove il brand può dimostrare la sua autenticità. Ma è anche il deposito della memoria, intesa in senso dinamico, per la creatività stessa dell’azienda, vale a dire il laboratorio che raccoglie le testimonianze della produzione passata e poi le elabora per generare nuove idee, prototipi, prodotti, nel rispetto di quell’identità del marchio, di cui l’archivio e il museo sono i custodi, aldilà delle tendenze e del turn over manageriale. Il museo è inoltre ritenuto uno strumento importante per creare quel senso di appartenenza all’azienda in chi opera all’interno di essa e per essa, per le loro famiglie, per gli amici. In una società sempre più impersonale, costruire uno spazio, ove ognuno può vantare di essere stato in qualche modo protagonista diretto o indiretto, rappresenta certamente un valore, con un enorme potere aggregante. Progetti di comunicazione, eventi commerciali, collezioni di accessori e di abbigliamento prendono spesso avvio in Ferragamo dal museo e dall’archivio, dalla storia dell’azienda, alla ricerca di quei elementi di originalità e d’innovazione da reinterpretare, che rendono il marchio Ferragamo unico e inimitabile. Questo spiega anche il mio ruolo di responsabile degli eventi culturali nel mondo, non solo per le mie competenze, ma anche perché gli eventi culturali organizzati dall’impresa Ferragamo devono riflettere la strategia e l’impronta generale del museo dell’impresa, ovvero i valori su cui l’azienda si è fondata.
Il 2013, invece, è l’anno in cui è stata istituita la Fondazione Ferragamo, della quale è direttrice. Mentre il Museo mi pare che abbia una funzione legata alla valorizzazione e divulgazione della conoscenza legata all’opera e alla storia di Salvatore Ferragamo, la Fondazione mi sembra più orientata a promuovere l’artigianato e l’italianità attraverso attività di istruzione e formazione. Ci potrebbe descrivere – in questa direzione – le attività della Fondazione?
La Fondazione, nata da poco per volontà della famiglia Ferragamo, inevitabilmente è legata alla storia di Salvatore Ferragamo, prima di tutto perché ne gestisce e tutela l’archivio. La collaborazione con il Museo è quindi fondamentale nella definizione delle sue attività. I valori del fondatore, il legame con il territorio e con la sua cultura, l’importanza dell’artigianato, l’italianità, sono comunque le fonti d’ispirazione per le linee guida della Fondazione, che ha come scopo principale di trasmettere questi valori alle future generazioni. Come vengono trasmesse? Attraverso un programma capillare di iniziative formative rivolte alle scuole, alle università, ai corsi di specializzazione, che si concretizzano in conferenze nelle scuole che fanno interagire la moda con la storia di un periodo, in supporto a tesi universitarie, in organizzazione di corsi (ad esempio ideazione e organizzazione di un corso per archivisti sul tema degli archivi d’impresa, in particolare quelli legati alla moda), di workshop per bambini e adulti dove si insegna a fare scarpe e borse, di percorsi guidati nei maggiori musei del territorio fiorentino.
Far conoscere la storia creativa dell’impresa e la storia umana di Salvatore Ferragamo, da una parte, divulgare conoscenza e interagire con il territorio – dall’altra. In che modo dialogano Museo e Fondazione, e in che maniera si mettono in relazione con gli altri attori culturali e istituzionali?
L’organizzazione delle mostre nel Museo Salvatore Ferragamo è l’occasione in cui Museo e Fondazione dialogano e collaborano sia nella messa a punto dei prodotti e documenti da esporre (gestione dell’archivio da parte della Fondazione) in armonia con il tema della mostra, sia nella elaborazione di percorsi didattici, dove il Museo dichiara le proprie esigenze e gli obiettivi da raggiungere e la Fondazione ha il ruolo di artefice di quei percorsi coerentemente al soggetto dell’esposizione e alla storia del fondatore.
La vostra ricerca è costante e impegnativa, se consideriamo la funzione centrale ricoperta dall’archivio storico. Come organizzate e quale metodologia seguite per realizzare i progetti?
Prima di tutto è da sottolineare che l’archivio Ferragamo è dotato di strumentazioni innovative che rendono più efficace l’archiviazione e la ricerca. Sono state collaudate dopo anni di studio in modo che, ad esempio, la scheda tipo del nostro data base risponda alle esigenze molteplici della nostra utenza, l’azienda, il pubblico, gli studiosi. Il personale che lavora presso il Museo Salvatore Ferragamo e la Fondazione è un personale specializzato in materie storico-artistiche e in archivistica.
Inizialmente il Museo rinnovava ogni due anni la propria esposizione, che restava comunque legata solo alla storia Ferragamo e quindi alla collezione permanente. Dal 2006, uno spostamento all’interno di Palazzo Spini Feroni, sede storica dell’azienda Ferragamo, lo vede in una parte indipendente dalle attività dell’azienda rispetto alla precedente che è più ampia e che già negli anni venti era destinata ad ospitare mostre d’arte antica e contemporanea. Nel tempo, con progetti sempre importanti, il museo ha cambiato la sua impostazione, per arrivare a essere sia museo aziendale che vero e proprio luogo di cultura, di eventi e progetti trasversali dedicati all’arte e alla storia della moda in tutti i suoi aspetti.
Dal 2006 non esiste più la possibilità di vedere la collezione permanente. Per rendere dinamica la vita del museo, come lo è quella di un’azienda, e fare in modo che il pubblico locale, non solo il turista, torni più volte a visitare il museo come un appuntamento costante, è stato pensato di selezionare ogni anno un tema di ricerca, che, partendo dall’esperienza di Salvatore Ferragamo, dalla storia della sua vita, dalle sue creazioni, dalle clienti che ha servito e dai valori in cui ha creduto, viene indagato in modo trasversale, coniugando il mondo Ferragamo con altri ambiti come l’arte, l’architettura, il design, la storia economica e sociale, la filosofia. Il comune denominatore che unisce progetti tanto diversi è il legame con Salvatore Ferragamo e il coinvolgimento emotivo del visitatore, che è chiamato non solo ad approfondire le sue conoscenze, ma a fare un’esperienza autentica. E a tale proposito il Museo Salvatore Ferragamo è diventato l’oggetto di una ricerca nel 2013 dell’Università Bocconi di Milano sulla brand authenticity, il cui risultato è stato presentato nel luglio del 2013 al Aimac di Bogotà, il convegno internazionale di management delle arti e della cultura, vincendo il primo premio.
Come è organizzata la Fondazione a livello gestionale, come funziona la sua sostenibilità e quali sono le partnership che avete attivato sino ad oggi?
La Fondazione ha un Presidente, un Vice-Presidente, un Comitato esecutivo, un direttore e due persone che coadiuvano il direttore, oltre due archivisti a contratto. Le partnership sono molte con musei (Bargello, Palazzo Pitti, Uffizi, Museo Archeologico, Orsanmichele, Giardino di Boboli, Museo degli Innocenti), Archivio di Stato di Firenze, Scuola archivistica, scuole (licei statali, Polimoda, Bocconi), istituzioni come Dynamo Camp per citare i progetti continuativi. Poi negli anni sono state molte le iniziative, che hanno previsto partnership. La Fondazione Ferragamo è sostenuta dalla famiglia Ferragamo e dall’azienda Ferragamo. Il Museo Salvatore Ferragamo è parte dell’azienda con un budget e un’organizzazione direttamente relazionata alla Salvatore Ferragamo Italia spa, nella persona del Presidente.
Qual è il vostro target di pubblico, quali sono le azioni attraverso le quali cercate di includerlo e come monitorate l’adesione alle vostre attività?
Il target di pubblico del Museo Salvatore Ferragamo è molto vario. Ovviamente una grossa percentuale è coperta dal turista, visto che il museo si trova in una città con grande affluenza di turismo straniero e non. Le attività del museo, tuttavia, come mostre, conferenze, percorsi guidati, workshop sono però indirizzati prevalentemente alla città e ai suoi abitanti, al territorio circostante perché il museo si riconosce parte attiva della cultura territoriale. Le attività sono monitorate attraverso questionari che vengono distribuiti ai visitatori, il sito web del museo e naturalmente attraverso il numero di biglietti venduti.
Una lunga conversazione, questa con la Direttrice Stefania Ricci, dove la cura di ogni particolare rispecchia i valori simbolici dell’ambito che indaga quotidianamente. L’estetica e il lusso diventano espressione di un legame forte con il territorio, con le persone e con la tante storie che si possono incontrare nell’arco di una sola vita. Un’azienda che è, prima di ogni altra cosa, un esempio positivo – quello di Salvatore Ferragamo, professionista del fare – un esempio di valore da trasmettere alle future generazioni.
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