Il bello degli open data per la cultura: libera fruizione di dati sull’impresa culturale
Dalla condivisione dei database riferiti ai bandi cheFare1 e 2 nonché IC-Impresa culturale - bando di Fondazione Cariplo, appena rilanciato nella sua seconda edizione - nasce un utilissimo strumento per la ricerca, e non solo, che mette a disposizione dati e informazioni per studiare il fenomeno di questa proto-economia emergente. Una nuova testimonianza del fatto che mettendo a sistema le proprie risorse, anche attraverso dialoghi inter-istituzionali, si possono produrre impatti più forti sull’opinione pubblica, sugli stakeholder, sul mondo della ricerca. Ne abbiamo parlato con il mentore e ideatore, Bertram Niessen, project manager del bando cheFare, oltre che sociologo attento ai fenomeni di trasformazione del settore creativo e culturale.
Possiamo dare una definizione di Open Data per i nostri lettori?
Con il termine «open data» si intendono quei dati che hanno un'impostazione metodologica e tecnica basata sul libero accesso. Questo implica che siano privi di brevetto, o più genericamente sottoposti a vincoli di proprietà intellettuale diversi da quelli relativi alla citazione delle fonti originarie (o, in alcuni casi, della distribuzione dei prodotti derivati in un formato ugualmente non limitato da copyright).
Gli open data sono da inquadrare all'interno di una filosofia più ampia che ha a che fare con la libertà di accesso (e quindi verifica e controllo) dei cittadini alle informazioni relative alla pubblica amministrazione e, in parte, alla scienza.
Quali informazioni mette a disposizione il vostro Open Data?
I dati (opportunamente anonimizzati) sono relativi alle prime due edizioni del bando cheFare ed alla prima edizione del bando IC - Innovazione Culturale.
Entrambi i bandi si rivolgevano alle nuove forme di produzione culturale che stanno emergendo in Italia come conseguenza delle trasformazioni dei settori tradizionali della cultura, della creatività e dell'impresa.
IC è un bando che si rivolge a singoli individui operanti sul territorio della Lombardia. Per questo, il dataset è stato costruito in modo da poter effettuare analisi sui progetti presentati e sulle singole persone che sono state coinvolte. In altri termini, è possibile avere una fotografia sia degli individui che hanno partecipato al bando (come proponenti o come membri di un team) – concentrando l’attenzione sul tipo di professioni coinvolte, i settori lavorativi e le competenze messe in campo – sia delle idee presentate – identificandone le peculiarità, l’utilità, l’impatto e le carenze.
cheFare, invece, si rivolge a organizzazioni (associazioni, imprese, cooperative, fondazioni, etc) su tutto il territorio nazionale. La base di dati è stata costruita
dalla raccolta delle informazioni sui soggetti proponenti che hanno partecipato alle due edizioni. Le informazioni riguardano prevalentemente le caratteristiche principali dell’organizzazione che ha presentato la domanda, quali, ad esempio, il tipo di assetto giuridico, il numero di collaboratori/dipendenti, la provincia di provenienza, ecc.
Perchè avete creato questo database Open Data ?
Innanzitutto vogliamo vedere le reazioni che ne deriveranno. É una sorta di innesco, anche perché i dati disponibili ad oggi sono ancora relativamente pochi. La filosofia che sposiamo è quella della condivisione di informazioni, base dati e strumenti per evitare le sovrapposizioni e gli sprechi di risorse. Nella mia esperienza professionale ho riscontrato questo problema un'infinità di volte: durante il dottorato, ad esempio, ho studiato il rapporto tra città e industrie creative; mi avvalevo di numerosi dati socio-economici ottenuti, in alcuni casi, con molta fatica. Per poi scoprire che solo a Milano in 4 o 5 stavano compiendo una ricerca simile, procurandosi altri database simili. Se invece ci fossimo coordinati, ne avremmo beneficiato tutti, in termini di risparmio di energie, risorse e tempo.
E' esattamente questo tipo di innovazione che cerchiamo di stimolare con questa operazione.
Spiegaci meglio...
La condivisione dei dati è un risparmio sia per il settore pubblico, per quello privato e per il terzo settore. Inoltre ha un vantaggio anche in termini di produzione nella ricerca. Evitando di «blindare» i dati, infatti, ogni stakeholder interessato accede alle fonti e produce elaborazioni che contribuiscono alla crescita del capitale culturale collettivo, con pubblicazioni, articoli, etc.
Ma da un punto di vista di impatto sulla Cultura, cosa vi aspettate?
Innanzitutto va sottolineato che è il primo data set in Open Data del suo genere in Italia, con un'attenzione specifica sulle imprese culturali ed ai bandi di innovazione culturale, prodotto da iniziativa privata e non pubblica. Ci aspettiamo di aprire una fase di dialogo e condivisione fra tutti gli attori coinvolti nelle iniziative a supporto dell'impresa culturale. Ora siamo partiti in due, supportati da Fondazione Fitzcarraldo.
Immaginiamo di poterlo estendere, sul medio periodo, a tutte le realtà che si occupano di cultura e innovazione: costruire una base dati davvero forte, capace di restituire un monitoraggio rilevante del settore dell’impresa culturale emergente.
Quali sono i pre-requisiti per poter aderire a questa iniziativa?
Bisogna credere nella filosofia open e aver voglia di convergere in una regia comune. La condivisione di questi database ha grandi potenzialità, come quella di permetterci di fare matching di informazioni per orientare le nostre strategie. Ci permette di essere più strategici negli impatti del nostro lavoro. Se la comune volontà infatti è quella che l'impresa culturale trovi davvero spazio di crescita, un database condiviso in corso di lavoro ci permette anche di aggregare forze ed energie.
In questo modo I Bandi stessi si trasformerebbero…
Esatto. Alzeremmo l'asticella del valore. Da catalizzatori di energie ed erogatori di opportunità, a consulenti strategici di imprese nascenti. Il nostro impatto sociale si amplificherebbe, senza dubbio. E magari alla lunga ci permetterebbe di aggregare altre energie e ampliare le disponibilità economiche messe in campo.
Qualora l'Open Data prenda corpo, vorremmo offrire dei grants per la ricerca e coinvolgere anche giovani ricercatori.
Quali effetti collaterali pensate di generare?
Beh, siamo solo all'inizio. Non abbiamo ben chiaro cosa aspettarci, anche perché non esiste un benchmark. Stiamo costruendo tutto da zero. Però abbiamo chiaro a cosa puntare: vogliamo che il tema dell'impresa culturale si diffonda sui tavoli di più attori. Vogliamo realizzare una mappatura più dettagliata e capillare delle energie e realtà emergenti, propagando il gesto della condivisione dei dati come un contagio.
E in prospettiva di lungo periodo?
In prospettiva, sarebbe interessante costruire dei database inter-operativi che permettano di segnalare organizzazioni simili (o reciprocamente potenzialmente interessanti) che applicano a bandi diversi. Si mettono a lavorare insieme magari partecipando a un altro bando.
Facciamo un'ipotesi: a cheFare si candida una realtà che vuole produrre un festival di Musica da strada, e parallelamente a IC e ad un altro bando applicano altre due organizzazioni che propongono un format simile. Noi potremmo fare convergere le loro progettualità, aiutandoli a creare maggiore impatto e valore, e portarle tutte alle realizzazione.
Quanto costa questa operazione?
Molti dei costi, va da sé, sono assorbiti nelle attività routinarie di progettazione, promozione e realizzazione dei bandi. Per uniformare, standardizzare e pubblicare il data set sono stati spesi circa 4000 euro. In futuro, una volta che avremo standardizzato le modalità di raccolta dei dati, ci immaginiamo dei costi «di mantenimento» relativamente bassi.
I fruitori del dataset rimaranno in qualche modo tracciati?
ADPSS-Sociodata (l'archivio internazionale che ospita i dati) richiede un breve di compilare un breve form dove si indica genericamente gli scopi e gli interessi di chi scarica i dati. Ad ogni modo, la licenza utilizzata (Italian Open Data) implica che i dati scaricati possano circolare indipendentemente; in altri termini, è implicito nella forma stessa dei dati il fatto che non si tenga necessariamente una traccia di chi li usa e come. E' il bello degli open data.
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