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“Doing the right thing”. Verso un'economia basata sulla generazione di valore

  • Pubblicato il: 10/10/2016 - 19:40
Rubrica: 
CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Vittoria Azzarita

In occasione dell'uscita del suo nuovo libro Doing the right thing. A value based economy, abbiamo posto alcune domande ad Arjo Klamer, economista della cultura di fama internazionale, Professore presso l'Erasmus University di Rotterdam e Presidente della Association of cultural economists. Partendo dall'analisi dello scenario contemporaneo, ci siamo confrontati sul valore della cultura e sulla necessità di identificare un nuovo modello economico capace di superare l'attuale approccio strumentale e di spostare l'attenzione dalla quantità alla qualità

Prof. Klamer, viviamo in un periodo di insicurezza e incertezza caratterizzato dal più alto livello di disuguaglianza tra le persone ricche e il resto della popolazione degli ultimi cinquant'anni. In tale contesto, quali sono le sfide principali che il settore culturale deve affrontare al giorno d'oggi?
Il settore culturale, che comprende tutte le organizzazioni e le persone che si dedicano alla realizzazione dei valori culturali, svolge sia un ruolo terapeutico che edificante. La funzione terapeutica consiste nel porsi domande scomode, impegnative e volte a ottenere maggiori informazioni. Si pensi a domande come: “perché noi, benestanti come siamo nel mondo sviluppato, sembriamo essere così ossessionati dalle grandezze quantitative come il PIL e la sua crescita, il profitto, le entrate, l'impatto economico, e la ricchezza finanziaria? Perché misuriamo il valore dei nostri edifici e non quello delle nostre 'case'? Oppure perché ci sono così tante persone arrabbiate? Per la paura degli stranieri, delle altre religioni?”.
La prossima sfida per il settore culturale sarà quella di essere edificante, ossia di fornire i concetti, le storie, le immagini, la musica capaci di rispondere in qualche modo alle nostre domande, di consentire alle persone di far fronte alle incertezze di questi tempi. L'edificazione, o se preferite l'educazione, è un risultato fondamentale delle pratiche culturali. Per molti anni, i grandi artisti sono stati impegnati a sovvertire e a mettere in discussione le idee e gli ordini prestabiliti. Oggi è giunto il tempo di focalizzarsi su una ri-valutazione delle idee e dei lavori che hanno condiviso la nostra civiltà.

Se si prendono in considerazione la Brexit e la frustrazione dei cittadini europei nei confronti della democrazia rappresentativa, è possibile affermare che le persone stanno perdendo il loro senso di appartenenza a un progetto europeo. Dal suo punto di vista, la cultura dovrebbe svolgere un ruolo maggiormente rilevante sia a livello europeo che a livello locale al fine di trovare modalità innovative attraverso cui rafforzare la nostra comune identità?
La cultura è stata l'elemento mancante del progetto europeo, come Jean Monnet – uno dei suoi padri fondatori – ha messo in evidenza. Il progetto è stato principalmente un progetto governativo, ossia un progetto fatto di organizzazione, di costruzione del sistema, e troppo poco un progetto sociale e culturale fatto di persone che scoprono i loro obiettivi e valori comuni mentre prendono parte a nuove storie attraverso esperienze condivise. Esemplare a questo proposito è la frammentazione delle notizie e del modo in cui sono trasmesse ai cittadini europei. Al contrario, gli americani condividono bene o male le stesse informazioni. Quando succede qualcosa a Washington, tutti i mezzi di comunicazione ne parlano. Quando accade qualcosa a Bruxelles, i media nazionali degli altri Paesi europei restano prevalentemente in silenzio.
Sicuramente, ci sono molteplici programmi di scambio che stimolano gli studenti a studiare in altri Paesi europei. Sicuramente, gli europei fanno grandi affari insieme e viaggiano in tutta Europa. Tuttavia questo non ci ha condotto verso una cultura comune, di qualsiasi tipo. Forse gli europei hanno un'identità distinta e condivisa quando operano al di fuori dell'Europa, ma in Europa una tale identità non si fa sentire. Non credo che tale identità si realizzerà in un prossimo futuro.

Prof. Klamer, negli ultimi anni lei ha lavorato alla formulazione di un nuovo approccio all'economia basato sul valore e definito “value based approach”. I risultati delle sue ricerche sono poi confluiti nel suo ultimo libro Doing the Right Thing: A Value Based Economy, che sta presentando proprio in questi giorni in giro per l'Olanda. Qual è la tesi al centro del libro?
In un certo senso ho già fatto riferimento alla tesi centrale del libro quando ho sottolineato la differenza tra il prezzo di un appartamento e i valori di una casa, intesa nell'accezione inglese del termine “home”. Quando Piketty definisce l'inuguaglianza, egli considera i prezzi di assett come le case, ma non tiene conto dei nostri “averi” più importanti come le nostre relazioni familiari, le nostre amicizie, le nostre conoscenze, la nostra arte, la nostra società, la nostra civiltà. Questi ultimi sono beni carichi di valore, ma che non possiamo né comprare né vendere.
Io ridefinisco l'economia come la disciplina che studia la realizzazione di valori. La realizzazione implica l'essere consapevoli di quali sono i valori importanti e di come renderli reali, ossia della loro valorizzazione.
Nel libro mostro che la valorizzazione si realizza soprattutto a casa, nella sfera privata, nell'ambito sociale – che rappresenta la sfera delle relazioni informali - , nella sfera del mercato e nella sfera del governo (si pensi ad esempio alle organizzazioni).
L'approccio basato sul valore si presta molto bene a sostenere pratiche economiche alternative, come l'economica condivisa e l'economia circolare.

Quali sono le principali differenze tra l'approccio basato sul valore e l'approccio strumentale che prevale ancora oggi?
L'approccio strumentale enfatizza la dimensione quantitativa della vita sociale ed economica. L'approccio basato sul valore fa riferimento invece alle qualità. Quando assegniamo un valore a una casa (intesa come “home”), la quantificazione di qualsiasi cosa (il numero di mezzi condivisi, i minuti trascorsi con i bambini, i soldi spesi per le vacanze) è più o meno irrilevante. Una buona casa ha delle caratteristiche qualitative come il calore delle relazioni, l'intimità, la gioia che viene condivisa, la possibilità di fare delle belle conversazioni, la condivisione di esperienze e così via. Ciò che si può applicare alla nostra casa, si può applicare a tutte le altre dimensioni della vita. Anche in ambito commerciale, la qualità del lavoro, della cultura condivisa, dei servizi offerti, è fondamentale.
L'approccio basato sul valore, quindi, dirige l'attenzione verso ciò che è importante per le persone, le organizzazioni e le società. Così mentre l'approccio strumentale ci spinge a porci domande come “che cosa vuoi?”, l'approccio basato sul valore ci incoraggia a domandare “che cosa è importante per te?”.
Nel mio libro mostro come l'approccio basato sul valore è molto più funzionale di quanto lo sia l'approccio strumentale, in quanto dice alle persone e alle organizzazioni che cosa fare. L'approccio strumentale cerca di dire ai politici cosa devono fare, ma non è molto efficace nel farlo.

Oggigiorno, stiamo assistendo a un dibattito cruciale sulla valutazione dell'impatto sociale sia nel settore culturale che nella sfera del non profit. Sulla base del suo ultimo libro, esiste una correlazione tra l'approccio basato sul valore e gli studi di impatto sociale?
Impatto sociale e impatto culturale: entrambi i concetti sono indicativi di un'importante nuova tendenza che si sta registrando nelle politiche. A lungo i politici sono apparsi interessati esclusivamente alle misure quantitative, quali il numero di visitatori e l'impatto economico. La realizzazione ha fatto emergere che le attività culturali generano di solito impatti sociali e culturali. Nel mio libro presento un metodo per valutare questo tipo di impatti. Tale metodo comprende il chiedere alla gente: “cosa è importante per voi?”.

In qualità di esperto e di Presidente della Association for Cultural Economics International (ACEI), lei ha un punto di vista privilegiato sulla discussione scientifica nel campo dell'economia della cultura. Secondo lei, le attuali politiche culturali europee stanno andando nella giusta direzione?
Non ne sono sicuro. Vorrei che ci fosse un maggior interesse nei confronti dell'impatto della cultura. L'importanza di mantenere pratiche artistiche è spesso trascurata nella nostra società. I musicisti hanno bisogno di trovare persone con cui condividere la loro musica e gli artisti visivi hanno bisogno di essere presenti negli ambienti che sono in grado di apprezzare il loro lavoro. In realtà dubito che una politica culturale sia possibile. La cultura si forma, accade tra le persone nel corso delle loro interazioni engelsiane. Il governo dovrebbe avere un ruolo in questo processo? Oppure dovrebbe preoccuparsi, attraverso l'istruzione scolastica, di educare tutti i bambini a una sensibilità artistica e ad essere competenti nelle pratiche culturali?

Lei è anche il co-fondatore di CREARE (Centre for Research in Arts and Economics), una fondazione che ha lo scopo di migliorare la ricerca e l'educazione nel campo dell'economia della cultura attraverso programmi formativi e servizi di consulenza. La Summer School è la principale attività di CREARE. Può dirmi qualcosa di più su CREARE e il suo corso maggiormente rappresentativo?
Ogni anno organizziamo ad Amsterdam il corso “Value of Culture”. Negli ultimi anni l'approccio basato sul valore è stato l'argomento centrale del corso. Inoltre discutiamo di economia della cultura, di politiche culturali e di imprenditorialità culturale. Al corso partecipano persone che vengono da tutto il mondo. Alcuni di loro dopo hanno intrapreso un dottorato in economia della cultura, hanno collaborato con altri studenti su alcuni progetti, oppure hanno apportato cambiamenti nelle loro attività in funzione del corso che hanno frequentato. Sono molto soddisfatto sia dell'impatto sociale che culturale del corso.

CREARE, insieme alla Erasmus University e al Rotterdam Unlimited Festival, sono stati selezionati dalla European Research Partnership on Cultural and Creative Spillovers per testare nuovi metodi di valutazione degli “spillover effects” prodotti dalle industrie culturali e creative. In particolare, il suo gruppo di ricerca ha applicato il “value based approach” al caso del Rotterdam Unlimited Festival. Quali sono i principali risultati del progetto?
Nel caso di un festival abbiamo individuato un impatto principalmente sociale. Non abbiamo potuto rilevare un significativo impatto culturale nonostante questo fosse importante per gli organizzatori. La ricerca li ha incoraggiati a riconsiderare il loro approccio. Nel contesto italiano abbiamo scoperto che l'applicazione del “value based approach” ha portato a un consistente incremento della consapevolezza sia dei propri obiettivi che degli stakeholder rilevanti. Questo ha avuto un impatto profondo sui progetti.

Il suo libro “Conversations With Economists” è considerato un libro da leggere. Oggi, quale economista le piacerebbe intervistare?
Attualmente preferirei intervistare le persone che operano nel settore culturale e che perseguono in maniera consapevole obiettivi relazionali, sociali e artistici. Temo che la professione economica non abbia prodotto economisti capaci di catturare la mia attenzione. Forse le esigenze della vita accademica soffocano la creatività e l'originalità. Le pratiche economiche attuali sono poco sorprendenti - io temo - e non generano alcuna nuova visione. E questo è davvero un peccato. Naturalmente spero che il “value based approach” dimostri di essere una valida alternativa.

Doing the Right Thing è disponibile al seguente link: www.doingtherightthing.nl

>>>>> English version below

Prof. Klamer, we live in a time of insecurity and uncertainty characterised by the highest level of disparity between the rich and everyone else for the past half century. In such a context, what are the main challenges faced by the cultural sector today?
The cultural sector, including all organizations and people dedicated to the realization of cultural values, has both a therapeutic and an edifying role. Therapeutic is the asking of uncomfortable, probing or challenging questions. Think of questions: “Why we, wealthy as we are in the developed world, seem so obsessed with quantitative magnitudes such as GDP and the growth thereof, profit, income, economic impact, and financial wealth? Why do we count the financial value of our house and not the value of our home? Or why are so many people so angry? Whence the fear for foreigners, for other religions?”.
The next challenge is to be edifying, that is, to provide concepts, stories, images, music that somehow respond to the questions, that enable people to cope with the uncertainties of these times. Edification, or call it education, is a critical outcome of cultural practices. For many years important artists have been busy unsettling and disturbing established ideas and orders. Now, it is time to focus on a re-valuation of the ideas and works that have shared our civilization.

Taking into account Brexit and citizens’ frustration with representative democracy at the EU level, it is possible to assert that people are losing their sense of belonging to a European project. In your opinion, should culture play a more relevant role at the European and the local levels in order to find innovative ways to strengthen our common identity?
Culture has been the missing factor in the European project, as Jean Monnet, one of its father, has pointed out. The project has been too much a governmental project, that is, a project of organization, of system building, and too little a social and cultural project of people discovering their common goals and values, while sharing new histories by way of shared experiences. Exemplary is the fragmentary news as it is received by Europeans. In contrast, Americans share more or less their news. When something happens in Washington, all media report on it. When something happens in Brussels the national media throughout Europe mostly remain silent.
Surely, there are all kinds of exchange programs stimulating students to study in other European countries. Surely, Europeans do a great deal of business together and travel all over Europe. Yet this has not led to a shared culture of any sort. Maybe Europeans have a distinct and shared identity when they operate outside Europe, yet within Europe such an identity is not felt. I do not think that such an identity comes about in the near future.

Prof. Klamer, you have been working on the formulation of a value based approach to economics for the last few years. Then the results of your research have been collected in your latest book Doing the Right Thing: A Value Based Economy, that you are presenting across the Netherlands in these days. Which is the central thesis of the volume?
In a way I already hinted at the central thesis of the book by pointing out the difference between the price of a house and the values of a home. When Piketty determines inequality he considers the prices of assets such as houses, yet ignores our most important “possessions” such as our home, our friendships, our knowledge, our art, our society, and our civilization. The latter goods are so valuable yet we cannot buy or sell them.
I redefines economics as the discipline that studies the realization of values. Realization implies being conscious of the important values and the making real of them, that is, their valorization.
I show that the valorization takes place especially at home, in the own sphere, in the social sphere, that is, the sphere of informal relations, and in the market sphere and the sphere of governance (think organizations).
The value based approach is well suited to inform and support alternative economic practices, such as the sharing economy and the circular economy.

What are the relevant differences between the value based approach and the currently prevailing instrumentalist approach?
The instrumentalist approach is stressing the quantitative dimension of social and economic life. The value based approach is all about qualities. When we value a home, quantification of whatever (number of means together, minutes of meaningful contact with the children, amount of money spent on vacations) is more or less beside the point. A good home shows in qualitative characteristics such as the warmth of the relationships, the coziness, the joy that is shared, the possibilities for good conversations, the sharing of experiences and so on. What applies to our home, applies to all other dimensions of life. Even in commercial business the quality of work, of the shared culture, of the services rendered is crucial.
The value based approach, therefore, directs the attention to what is important to people, organizations and societies. So where the instrumentalist approach gets us to ask questions like "what do you want?", the value based approach encourages the question “what is important to you?”.
The value based approach tends to be qualitative whereas the instrumentalist approach in economics tends to be quantitative and mathematical.
I show that the value based approach is far more practical than the instrumentalist approach. It tells people and organizations what to do. The instrumentalist approach tries to tell politicians what to do, but is not all too effective in doing so.

Nowadays, there is a crucial debate over the social impact's evaluation in the cultural sector as well as in the non-profit area. On the basis of your latest book, is there a correlation between the value based approach and the social impact studies?
Social impact and cultural impact: both notions are indicative of an important new trend in policy. For a long time politicians seemed to care only about quantitative measures, such as number of visitors and economic impact. The realization has set in that cultural activities are usually intended to have social and cultural impacts. In my book I present a method to assess these kinds of impacts. The method includes asking people “what is important to you?”.

As a well-known expert and the President of the Association for Cultural Economics International (ACEI), you have privileged access to the scientific discussion on cultural economics. From your point of view, are the current European cultural policies heading in the right direction?
I am not sure. I wish there be more interest in cultural impact. Often overlooked is the importance of maintaining artistic practices in our society. Musicians need to find people with whom to share their music and visual artists need to circulate in circles that are able to appreciate their work. I actually doubt that a cultural policy is possible. Culture comes about among people, in the course of their Engels interactions. Should the government have a role in that process? Or should it preoccupy itself - with education - to prime all kids into a sensitivity of anything artistic and competent in cultural practices?

You are also the co-founder of the Centre for Research in Arts and Economics (CREARE), a foundation that aims to advance the research and education in Cultural Economics providing education programs and consultancy. The Summer School is the core activity of CREARE. Can you tell me more about CREARE and its flagship course?
Each year we organize the course “Value of Culture” in Amsterdam. In recent years the value based approach has been the central theme. Besides that we discuss cultural economics, cultural policy and cultural entrepreneurship. People from all over the world attend the course. Quite a few did later a PhD in cultural economics, collaborated with other students on projects, or made changes in their own practices because of the course. I am most pleased with both the social and the cultural impact of the course.

CREARE, together with Erasmus University and Rotterdam Unlimited Festival, have been selected by the European Research Partnership on Cultural and Creative Spillovers for testing innovative methods to evaluate the CCI spillover effects. In particular, your research group has applied the value-based approach to the case of the Rotterdam Unlimited Festival. What are the key findings of the project?
In the case of a festival we established mainly social impact. A serious cultural impact we could not detect even though that was important for the organizers. The research encouraged them to reconsider their approach. In the Italian context we discovered that the application of the value based approach led to a sharp increase in awareness of the own goals and the relevant stakeholders. It had a deep impact on the projects.

Your book Conversations With Economists has become a must-read. At present, which economist would you like to interview?
Now, I would rather interview people who are consciously pursuing social, societal and artistic goals in the cultural sector. I am afraid that the economics profession has not generated economists that catch my attention. Maybe the requirements of academic life stifle creativity and originality. Current economic practices are little surprising - I am afraid - and generate hardly any new insights. That is really too bad. Of course I hope that the value based approach proves to be a viable alternative.

Doing the Right Thing is available through www.doingtherightthing.nl

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