Visto due volte e PARI. Quando ricerca artistica e progettualità strategica trovano una radice comune nell’Arte Irregolare
Il rito del varo della programmazione autunnale di P.A.R.I. – Polo delle Arti relazionali e irregolari, si è consumato il 6 ottobre scorso, con l’inaugurazione a Palazzo Barolo della rassegna Singolare e Plurale, frutto del proficuo connubio tra Città di Torino e l’Opera Barolo. Da due anni, infatti, la Fondazione accoglie progettualità che intersecano la produzione culturale fuori dal sistema dell’arte, il benessere psico-fisico dei singolo, il welfare sociale e la salute pubblica. A precedere questa iniziativa, a fine settembre nello spazio Barriera, è stata inaugurata la mostra di Giulio Squillacciotti, Visto due volte, a cura di Arteco (Annalisa Pellino e Beatrice Zanelli). Sebbene i progetti abbiano una natura propria e una formalizzazione autonoma, vivono di una radice comune. La mostra di Squillacciotti, infatti, è esito di un programma di residenza inserito nel lavoro di studio e ricerca condotto negli archivi di arte irregolare del progetto Mai Visti. Mai Visti e Altre Storie, nato nel 2015 con l’obiettivo di catalogare e far conoscere il grande patrimonio di arte outsider presenti nelle collezioni piemontesi.
Rubrica di ricerca in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo.
Torino - Arte sconosciuta ai circuiti internazionali, forme portatrici di sensibilità e mondi plasmati da intime fragilità. Affianco a loro artisti giovani o poco conosciuti nel “mondo dell’arte che conta” e altri che ne fanno parte ormai da anni. Che cosa hanno in comune queste tre categorie di artisti? Nel caso dei due progetti presentati a Torino nelle scorse settimane, la mostra di Giulio Squillacciotti, Visto due volte (a cura di Arteco), e la rassegna Singolare e Plurale, il focus della ricerca sono le arti irregolari – storicamente definite prima Art Brut e poi outsider art. Per quest’ultima, all’orizzonte la partecipazione ai Dialoge presso la Kunst Museum di Bonn – fissata per il 10 dicembre 2017.
P.A.R.I. – Polo delle Arti relazionali e irregolari - Progetto unico in ambito nazionale, P.A.R.I. ha preso forma grazie ad un lavoro sinergico tra singoli e istituzioni orientato dalla curatela di Tea Taramino, artista da tempo impegnata nell’indagine sull’arte irregolare, in forza all’Assessorato alle politiche sociali della Città di Torino. Insieme a questi soggetti, un ruolo fondamentale viene ricoperto dall’Opera Barolo, centro di relazioni e interventi finalizzati alla promozione della salute e dell’empowerment di soggetti svantaggiati. Il progetto parte dall’idea di avviare processi di inclusione incardinati sulle pratiche artistiche. La rassegna presenta 3 mostre, 20 laboratori, 4 residenze d’artista, workshop ed eventi; annoverando importanti collaborazioni con altri centri quali, per esempio, il L.A.O. Laboratori Artisti Outsider di Verona che, per mezzo del contributo della curatrice Daniela Rosi, ha reso possibile l’esibizione di progetti quali Domus Sanctorum, dell’artista panamense Jhafis Quintero (1973), reduce dalla recente partecipazione alla Biennale di Venezia in qualità di rappresentante del proprio paese. Inserito all’interno della mostra Fuorisede, il lavoro dell’artista panamense consiste nella realizzazione della “cappella dei santi malandrini”, tempio ovale “innalzato” durante tre mesi di laboratorio con studenti di Design sociale del Politecnico di Torino, cittadini e artigiani, che contiene le statue in gesso che raffigurano i delinquenti popolari nelle favelas – moderni Robin Hood idolatrati dal popolo.
All’interno di Singolare e Plurale, inoltre, vengono ospitate altre due mostre, Chiaroscuro e Divergoconarte, e diverse attività – tra le tante anche quelle orientate al recupero del lavoro video di Gustavo Gamna, medico, docente in psichiatria, ultimo direttore dell'ospedale psichiatrico di Collegno, oltre che artista e uomo di cinema. Nell’ambito del programma 3 SERE FUORI, al cinema, - infatti – in collaborazione con Associazione Nazionale Museo del Cinema, al Centro Sereno Regis ci saranno proiezioni e dibattiti ai quali parteciperanno artisti come Salvatore Accolla e Adolfo Amateis. Singolare e Plurale si configura, dunque, come un progetto articolato e complesso, che comprende anche altre iniziative che vanno dal programma di residenza-workshop con Cesare Pietroiusti ai laboratori con gli studenti sul tema del pregiudizio, che hanno unito liceali con persone disabili e universitari. L’arte ne esce come mezzo di superamento di quelle barriere cognitive che trovano nutrimento nei luoghi comuni, figli della diffidenza e del pregiudizio. Opere innocenti o dissacranti sono il veicolo che permette di indagare e superare confini umani, sociali e culturali, tracciati a volte in modo arbitrario.
Attraverso le opere, gli autori dimostrano come il vissuto, seppur denso di difficoltà e di ripetute sconfitte, sia anche un atto di resilienza rispetto all’inesorabilità degli eventi e si ponga come atto generativo per la comunità. Il programma si inserisce perfettamente nella storia recente di Palazzo Barolo e in quella legata alla sua origine avviata dai Marchesi Falletti di Barolo dagli inizi dell’Ottocento. Dal 1864, l’Opera Barolo, ente loro erede, coltiva la loro visione, attraverso la gestione delle scuole e nel Distretto Sociale Barolo di via Cigna che, grazie a 14 enti offre ogni anno risposte ai fabbisogni di oltre 20mila persone con particolare attenzione verso coloro che sono a rischio di esclusione sociale.
Il senso etimologico del termine educare, da educere (portare fuori), trova compimento in un luogo caratterizzato da una storia unica sul piano etico e culturale. Attraverso l’esercizio della bellezza, infatti, si vogliono portare alla luce le potenzialità di ognuno, anche grazie al patrimonio di esperienze e professionalità maturate nel corso del tempo a Torino rispetto al tema della diversità. P.A.R.I. vuole aprire un percorso di avvicinamento della collettività nei confronti di fenomeni di disagio e condizioni di precarietà esistenziale.
VISTO DUE VOLTE – Dal 2014, inoltre, l’Opera Barolo si fa promotrice di Mai visti e altre storie, un progetto ideato da Tea Taramino e curato da Beatrice Zanelli e Annalisa Pellino di Arteco, con una nutrita commissione scientifica. Con questa esperienza si cerca di valorizzare le opere degli outsider artists archiviate in collezioni di ASL, Comune di Torino e privati, con mostre, cataloghi e attività dedicate agli autori, contestualizzandole in un frame storico e mettendole in connessione con esperienze di arte contemporanea di rilievo internazionale. Il progetto vanta la collaborazione di Università di Torino, il Museo di Antropologia ed Etnografia (Università di Torino) e il patrocinio della Regione Piemonte, oltre al sostegno della Compagnia di San Paolo e della Città di Torino (Direzione Politiche Sociali), con il contributo tecnico di sponsor privati.
Per l’edizione 2017, il film-maker e ricercatore Giulio Squillacciotti è stato invitato – attraverso la formula della residenza – ad indagare gli archivi di arte irregolare presenti nelle collezioni piemontesi. Con l’intento di offrire una possibilità di riflessione sulla permeabilità dei confini tra arte outsider e pratiche artistiche contemporanee riconosciute, Squillacciotti e le curatrici hanno lavorato sulla materia viva – le opere in archivio – al fine di rivelarne il potenziale narrativo. Nello specifico, Squillacciotti si è concentrato su tre archivi – il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università degli Studi di Torino, quello di opere realizzate nell’ex Ospedale Psichiatrico di Collegno e l’Archivio Mai Visti della Città di Torino – mappando le tracce di alterità e rintracciando in esse i segni di quelle parti che – successivamente e in modo arbitrario – sono diventate le tessere costitutive del lavoro scenografico e video presentato in mostra. Suggestioni e elementi che hanno dato il via a una nuova storia – per “vedere” due volte – dove è possibile rintracciare un raddoppiamento/sdoppiamento di luoghi e soggettività, dove realtà e finzione si fondono senza soluzione di continuità.
TRAIT D’UNION - In un approfondito testo pubblicato sull’ultimo numero di Economia della Cultura, a firma di Roberto Mastroianni (filosofo, curatore e critico d’arte, oltre che ricercatore indipendente di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso l’Università degli Studi di Torino) sul tema delle pratiche di produzione e fruizione della bellezza tra “welfare culturale” e promozione della salute, è possibile trovare il trait d’union delle due esperienze citate quando scrive che «la partecipazione culturale e l’arte possono essere motori di sviluppo di benessere psicofisico e sociale e possono essere sicuramente fattori di aumento della consapevolezza del sé e del mondo, favorendo processi adattivi utili alla cura o alla creazione di una migliore relazione con l’ambiente circostante. Detto ciò, l’arte di per sé non cura e non educa, ma permette di esprimere emozioni e chiarificare sensazioni materializzandole in una relazione con il sé, la materia, il manufatto e il fruitore. L’arte è lo spazio delle influenze e dei rapporti reciprochi e istituisce un luogo materiale e simbolico di condivisione, che di per sé può diventare terapeutico, in quanto permette al disagio (patologie, abusi, esclusione...) di manifestarsi, assumendo una forma comunicabile e quindi maneggiabile e gestibile. Questa spazialità relazionale e comunicativa è l’elemento curativo e l’arte è in grado di instauralo quando si presenta come processi di ricerca, espressione e comunicazione capaci di attivare risorse fisiche, intellettuali, emotive e sensoriali utili per materializzare in forma estetica il mondo interiore e le esperienze del soggetto creatore quanto del fruitore».
Dopo anni di sperimentazioni, lavoro sul campo e riflessioni a mente aperta, anche una rivista scientifica di un settore apparentemente lontano come Economia della Cultura (edita da Il Mulino) dedica una intera issue al tema Cultura, Salute e Benessere/ Culture, Health and Wellbeing, prendendo l’esperienza torinese come caso studio. Così facendo abbiamo la certezza che un altro ecosistema di welfare esiste e, attraverso la produzione e la fruizione di attività culturali, offre a tutti una possibilità di espressione e conoscenza di potenzialità estetiche e sociali altrimenti impossibili da ammirare.
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