Viaggio in Italia, ultima tappa a Bologna
La Fondazione Furla, nata nel 2008 in seno a Furla SpA, a partire dalla pluriennale esperienza del «Premio Furla per l’Arte», rappresenta oggi uno dei punti di riferimento in Italia per l’emersione di giovani talenti nel campo dell’arte visiva e del fashion design. Curato da Chiara Bertola, il «Premio Furla per l’Arte», che ha raggiunto un budget di quasi 400mila Euro, è interamente finanziato dall’azienda e da un main partner, con la cooperazione scientifica di alcuni tra gli artisti contemporanei più rilevanti a livello internazionale. Giunto alla ottava edizione, il Premio racconta l’evoluzione della giovane creatività italiana nell’arte visiva, una responsabilità che l’azienda ha preso sul serio, trasformando il premio da semplice elargizione di denaro in un programma strutturato di produzioni artistiche e residenze.
Quali sono le ragioni che vi hanno spinto a istituire la Fondazione Furla?
La Fondazione è nata nel 2008 per garantire e dare continuità ai progetti messi in essere da Furla in campo culturale e permetterne lo sviluppo e un rafforzamento internazionale. In particolare, abbiamo deciso di dare una veste giuridica alla progettualità legata al «Premio Furla per l’arte», istituito nel 2000, per avere una maggiore spendibilità prospettica anche su eventi internazionali. Mi ha reso orgogliosa essermi sentita dire da un grande gallerista italiano che il Premio Furla ha rimesso in moto l’attenzione al contemporaneo in Italia. Effettivamente, quando è nato il premio, nel Paese non c’era tutto questo interesse per l’arte contemporanea e il sodalizio tra arte visiva e moda non era così conclamato. I numerosi premi che sono sorti dopo di noi sono sostegni alla cultura e alla creatività fondamentali in un Paese come il nostro, anche se la credibilità del nostro progetto, grazie alle radici che affondano indietro nel tempo, lo rendono ancora il premio più importante per continuità e qualità.
Ciò che vi differenzia è soprattutto la straordinaria piattaforma internazionale che avete costituito…
Nel tempo abbiamo costruito un network internazionale di grandi artisti, che di volta in volta si sono avvicendati come tutor per i giovani artisti partecipanti. Quest’anno, padrino dell’ottava edizione del Premio è stato Christian Boltanski che ci ha detto: «prendo volentieri questa responsabilità perché sono molto interessato a una mappatura dell’evoluzione della ricerca artistica in Italia». E’ proprio questa la nostra missione: con un approccio altamente scientifico, registriamo l’evoluzione della ricerca artistica contemporanea italiana da una generazione ad un’altra facendo emergere anche gli addetti ai lavori, i curatori. Non a caso Alfredo Cramerotti, che ha curato il progetto in gara di Marinella Senatore insieme alla collega britannica Emily Pethic, è stato appena nominato direttore della Mostyn Art Gallery, il principale centro d’arte contemporanea del Galles. La formula dell’affiancamento ai cinque curatori italiani di altrettanti curatori stranieri permette di selezionare artisti che abbiano una valenza prospettica internazionale. Questo assume tanto valore quanto più consideriamo che di artisti italiani delle nuovissime leve non ce ne sono tanti all’estero, se non quei pochissimi che hanno il coraggio di buttarsi fuori. Come dice Angela Vettese, il Premio Furla non è un importo in denaro per comprarsi il monolocale, ma un’opportunità per investire sulla propria crescita professionale avantaggiandosi di esperienze di residenza. Quest’anno il vincitore Matteo Rubbi, partirà per l’Arizona State University Art Museum dove avrà la possibilità di lavorare, di sperimentare e ampliare le proprie conoscenze.
State pensando a nuove evoluzioni del Premio?
Il Premio, che ha una cadenza biennale, è soprattutto un network che si è messo in movimento. Speriamo che questo ci possa consentire di pensare a progetti internazionali di livello nell’anno in cui il premio è fermo. Ad esempio, l’anno prossimo vorremmo realizzare una grande mostra retrospettiva con le opere finaliste delle otto edizioni del Furla in Russia, uno dei Paesi in cui l’azienda si sta espandendo, puntando i riflettori sulla giovane creatività italiana esportandola in Paesi che hanno un crescente interesse per l’arte, come la Corea, un Paese straordinario in cui abbiamo un mercato in crescita, la Tailandia, la Cina, Paesi emergenti con cui è sempre più importante intrecciare relazioni di livello, dunque strategici per la crescita economica italiana.
Come influisce l’andamento del Premio con la comunicazione istituzionale dell’azienda?
Per dieci anni il Premio ha viaggiato parallelamente alla vita dell’azienda, senza interferenze, per salvaguardare la qualità della ricerca artistica da contaminazioni specifiche con le attività profit dell’azienda. Poi, quattro stagioni fa, abbiamo iniziato un nuovo percorso realizzando una forte campagna di comunicazione in cui ritraiamo gli artisti insieme ai nostri prodotti. Non è un percorso semplicissimo: ci chiediamo se questa comunicazione possa realmente funzionare. Devo dire che ciò che mi interessa, è poter fare una comunicazione che abbia anche un portato culturale legando i progetti della Fondazione Furla con i prodotti dell’azienda in una scia etica e di divulgazione prospettica. Ad esempio, se spendo un’immagine di Deborah Ligorio, finalista del Furla nel 2005, piuttosto che una qualsiasi modella, io sto raccontando anche una passione, in questo caso per la fotografia, e compio un’azione di riconoscibilità dell’artista, un primo passo verso la comprensione del suo lavoro.
Fondata nel 1927 da suo padre Aldo, Furla è un’azienda familiare radicata nella città di Bologna, ma come abbiamo visto è aperta al mondo e operante in 63 Paesi. Quest’anno la Fondazione Furla ha stretto una partnership con la Fondazione Carisbo per il progetto «Genus Bononiae» esponendo la mostra dei finalisti del Premio a Palazzo Pepoli Vecchio. Come è nata questa decisione e come si declinerà in futuro?
Il Premio ha sempre avuto un main partner del settore bancario. Dopo UniCredit, la nostra banca di riferimento è divenuta Carisbo e da qui, i legami con la Fondazione di origine bancaria, che intende destinare Palazzo Pepoli Vecchio ai giovani artisti. Abbiamo coinvolto nella partnership anche Gianfranco Maraniello del Mambo e Silvia Evangelisti di Arte Fiera.
Il Premio, infatti, ha una presenza in ArteFiera, la seconda fiera d’arte più importante d’Europa, e l’opera vincitrice viene concessa in comodato gratuito al Mambo, il museo d’arte contemporanea della città. Credo sia sempre molto importante, tanto più nelle città medio-piccole, che i progetti culturali siano condivisi, lavorando in una logica di sistema per fare di singoli petardi un grande fuoco d’artificio…
Quali invece gli obiettivi con il Talent Hub, il progetto della Fondazione Furla per il design?
«Talent Hub» è nato a latere del Premio Furla per portare un sostegno all’innovazione, alla ricerca e alla creatività anche nel nostro settore di appartenenza, quello degli accessori. L’Italia ne ha un bisogno incredibile, soprattutto in un momento di affanno come quello che viviamo. Devo dire, però, che è sempre più arduo trovare giovani italiani con una visione, capaci di portare nel nostro settore un input creativo evolutivo, vorrei quasi dire, rivoluzionario, tanto è vero che stiamo allargando l’hub anche in campo internazionale. Sono orgogliosa dei talenti che sono passati per il Talent Hub e che oggi stanno crescendo notevolmente come Leitmotiv, Max Kibardin, Silvio Betterelli, ed entusiasta delle relazioni con lo Ied e il Politecnico di Milano.
Ai giovani designer e grazie al nostro network d’azienda possiamo offrire l’opportunità di rendere il loro sogno concreto: un sostegno non solo economico ma anche produttivo, di prototipia e di test nei nostri negozi in tutto il mondo. Peccato che di idee folgoranti non ce ne sono tante… come invece lo è il nostro ultimo prodotto Candy, quasi un’opera d’arte, una borsa in pressofusione, unica al mondo.
Chi è l’autore?
Ne ho curato personalmente il processo creativo.
Forse questi 10 anni di Premio e la conoscenza degli artisti e delle loro opere hanno influenzato le sue potenzialità creative?
Il mondo della moda e del lusso si nutre di bellezza, ricerca e innovazione. Il mondo dell’arte è la punta di diamante di queste tre cose, a cui possiamo aggiungere la passione. Da un punto di vista imprenditoriale, nutrire il proprio se di questo, anche semplicemente osservando, imparando dal lavoro degli artisti, ci aiuta ad affrontare il futuro, a generare l’inedito. Mio padre diceva: «siete come vasi, dovete riempirvi di contenuti». Ho sempre creduto che solo osservando le cose, espandendo la propria conoscenza, si riesca a nutrire il proprio sé, ad allenare il gusto, a far lavorare il muscolo cerebrale. Tutto ciò che possiamo mettere dentro al nostro vaso, alla fine ci nutre all’interno ed emerge quando agiamo. Di ciò che impariamo, che guardiamo, nulla va sprecato, perché ritorna in tutto ciò che compiamo.
❑ Giovanna Furlanetto è Presidente di Furla Spa e Presidente di Fondazione Furla. Nel 2007 è stata insignita dalla Camera di Commercio di Bologna del titolo di Ambasciatrice dell’economia italiana nel mondo.