Viaggio in Italia. Bologna, terza tappa
Unipolis è la Fondazione d’impresa del Gruppo Unipol, del quale costituisce uno degli strumenti più rilevanti per la realizzazione di iniziative di responsabilità sociale e civile, nel quadro della più complessiva strategia di sostenibilità. Ha assunto l’attuale denominazione nel corso del 2007 a seguito di un percorso di riposizionamento strategico della precedente Fondazione Cesar, costituita alla fine del 1989 come Centro Europeo di ricerche dell’economia sociale e dell’assicurazione. La Fondazione Unipolis, che nel 2010 ha assunto impegni per oltre 1,4 milioni di euro, persegue finalità di ricerca scientifica e culturale, di promozione della sicurezza e dell’inclusione sociale, attraverso progetti diretti e l’erogazione di risorse ad azioni di solidarietà.
La Fondazione Unipolis, nata in seno al Gruppo Unipol, ne rappresenta uno degli strumenti principali di corporate social responsibility. Quali rapporti legano i due soggetti e che tipo di condivisioni si verificano per generare effetti osmotici tra la cultura e il sistema di valori veicolati dall’impresa e quelli della Fondazione?
A seguito della costituzione del Gruppo Finanziario, nel 2007, decidemmo di dare vita a una Fondazione più direttamente collegata a Unipol, come rivela la denominazione, affinché fosse, a tutti gli effetti, la fondazione d’impresa del Gruppo. Come indicato nella nostra missione, la Fondazione Unipolis ha lo scopo di svolgere, in maniera specifica e autonoma, una parte del compito di responsabilità sociale e di sostenibilità che è proprio del Gruppo Unipol. Occupandomi, oltre che della responsabilità della Fondazione, anche della Responsabilità Sociale ed Etica di Unipol, posso dire che identifichiamo la responsabilità sociale e la sua sostenibilità con un legame molto forte sul business. Attraverso la Fondazione operiamo in quattro macro-ambiti: cultura e ricerca, elementi essenziali della crescita e dello sviluppo della società civile; sicurezza, coerentemente con gli obiettivi di un Gruppo assicurativo; solidarietà,per gli aspetti legati all’impegno sul terreno sociale. Non siamo solo una fondazione di erogazione, perché promuoviamo, sviluppiamo e realizziamo progetti in proprio e attraverso collaborazioni. In questo ci differenziamo da altre fondazioni di gruppi bancari e assicurativi che hanno fondamentalmente lo scopo di erogare contributi e tendiamo a caratterizzarci per una nostra capacità progettuale. L’obiettivo è quello di utilizzare le risorse disponibili per progetti da realizzare insieme a operatori qualificati nei vari ambiti di attività, al fine di moltiplicare l’impatto nei confronti dei destinatari e in particolare della comunità. I soggetti coinvolti vengono individuati, selezionati sulla base dei principi che definiscono missione e scopo della Fondazione. In questo quadro, è fondamentale la condivisione di comuni obiettivi volti alla crescita culturale, sociale e civile delle comunità e dei contesti nei quali si sviluppano le attività. Per alcune iniziative si utilizza la modalità del “bando”, pubblicizzato attraverso il sito della Fondazione e i diversi strumenti di comunicazione. Per altre attività, oltre a valutare le proposte che vengono direttamente presentate alla Fondazione, si procede a uno screening delle organizzazioni che operano in ambiti o in territori di interesse su progetti e iniziative che rientrano tra gli assi fondamentali di attività di Unipolis. Attualmente oltre 360 sono i rapporti di partnership in essere, tra cui 27 con Enti istituzionali e 279 con organismi associativi.
Senza l’opportunità di erogare fondi a terzi, non si darebbe voce a tutta una serie di realtà che sussistono grazie ai bandi. A suo avviso, qual è il giusto equilibrio tra natura erogativa e progettualità propria delle fondazioni?
Nel nostro caso l’attività è subordinata al contributo che annualmente il socio fondatore Unipol ci fornisce. Noi non abbiamo un patrimonio da valorizzare, attraverso il quale ricavare le risorse per finanziare progetti e interventi di terzi. Questo rende il nostro un percorso in parte obbligato. Esistono, comunque, altre fondazioni d’impresa che ricevono unicamente il contributo annuale dal socio fondatore ma operano esclusivamente attraverso erogazioni. Noi abbiamo scelto un’altra strada sia per ragioni istitutive sia perché pensiamo di essere agenti dello sviluppo sociale del territorio e della comunità. Il che significa essere capaci di interagire con la rete dei soggetti operanti sul territorio, contribuendo a valorizzare ciò che nel territorio e nella società civile è già attivo e si esprime. Più che aggiungere nuovi soggetti, tendiamo a stimolare, aiutare, sostenere, valorizzare ciò che già esiste e potrebbe non avere la possibilità di esprimersi in misura adeguata.
Le istituzioni culturali, in particolare negli ultimi anni, hanno sofferto una carenza di risorse pubbliche fondamentali per l’attività ordinaria. La capacità di fare rete è una delle chiavi per uscire da questi meccanismi. Quali i vostri progetti in campo culturale?
Partirei da un’affermazione di principio che può apparire scontata, ma non lo è: la cultura, in quanto bene primario della società, deve essere uno degli investimenti più importanti delle istituzioni pubbliche a tutti i livelli, dallo Stato centrale alle Regioni agli Enti locali. La cultura è un diritto sociale e civile per una comunità. Non a caso noi l’abbiamo equiparato a una componente del welfare: come esiste il diritto alla salute, all’istruzione e alla previdenza, esiste anche il diritto alla cultura, un diritto essenziale, fondamentale, delle persone. Così come salute, istruzione e previdenza non possono o non debbono necessariamente essere assicurate soltanto dal pubblico, ma possono e debbono trovare modalità di integrazione con il privato affinché questi diritti siano garantiti, anche nella cultura le imprese, le associazioni di imprese, i soggetti organizzati debbono cooperare con i soggetti pubblici. La nostra strategia è quella di mettere risorse e competenze a disposizione di soggetti che, sul versante istituzionale, dell’associazionismo e del volontariato, contribuiscono a rendere effettivo il diritto alla cultura, soprattutto nei confronti dei soggetti che tendenzialmente ne sono esclusi. Nasce da qui il progetto «Culturability», un luogo virtuale di discussione e confronto sul tema del diritto alla cultura e dell’accessibilità alla cultura. Attraverso «Culturability» agiamo concretamente su realtà locali per sostenere esperienze che vadano in questa direzione. Ad esempio, nelle settimane immediatamente successive al terremoto, abbiamo realizzato a L’Aquila il Progetto Bibliobus, una biblioteca itinerante tra le tendopoli istituita in collaborazione con l’associazionismo della città. Il progetto è evoluto con la realizzazione di uno spazio fisico, la Bibliocasa, una struttura prefabbricata posta in un contesto più ampio dedicato ad attività culturali e sociali, la cosiddetta Piazza d’Arti, dove si trovano le sedi delle associazioni culturali e del volontariato della città. Oggi il progetto Bibliobus porta i libri nei nuovi insediamenti urbani di periferia, luoghi dove si abita ma ancora privi di servizi. Una nostra prerogativa è la continuità, la sostenibilità, dei nostri progetti. Per questo vogliamo realizzarli in partnership con realtà locali con un intervento non solo erogativo, ma che corrisponde a un approccio strategico condiviso. Con il mondo del volontariato e dell’associazionismo, che svolge una funzione preziosa e assolutamente meritevole, è necessario superare la logica del rapporto da donatore a percettore, per far crescere una cultura della relazione e della collaborazione condividendo competenze specifiche, affinché il progetto abbia un valore più elevato, ben oltre le risorse finanziarie messe a disposizione.
Con questa visione, quest’anno realizzeremo due biblioteche a Napoli, nel quartiere Scampia, e a Palermo, nel centro storico.
Il tema dell’accessibilità alla cultura è un tema cruciale per il Paese. I luoghi culturali si stanno ripensando soprattutto come luoghi educativi e se il pubblico deve mostrare le traiettorie evolutive, il privato è sempre più chiamato in causa. Quali sono nuove formule possibili per la cooperazione pubblico-privato?
Il modello della collaborazione pubblico-privato vale a tutti i livelli: per la sanità, per la previdenza, in certa misura per l’istruzione, per la cultura. Deve esserci chiara la scelta del pubblico di impegnarsi e investire. Non esiste un modello che dà ai cittadini la responsabilità di auto-organizzarsi se non c’è un pubblico che sceglie la direzione. Il modello europeo di sviluppo ha posto al centro il ruolo del sistema pubblico istituzionale per garantire ai cittadini parità di diritti e doveri. Io concepisco un modello d’intervento della società organizzata, dei privati che non può prescindere da un ruolo fondamentale del pubblico. Parliamo di sussidiarietà e di integrazione ma non di sostituzione. Anche per la cultura, quindi, non si può prescindere da un impegno fondamentale delle istituzioni pubbliche, accanto alle quali possono e debbono esserci una pluralità di forme e di interventi dei privati.
Recentemente a Bologna si è discusso l’inserimento di un cosiddetto «obolo» per la cultura. Cosa ne pensa?
Mi pare che il termine obolo richiami un’istituzione caritatevole; è un termine estraneo alle logiche di un sistema culturale evoluto. E’ invece necessario studiare delle forme strutturate attraverso le quali i singoli e le organizzazioni possano intervenire non perché un’istituzione rimanga aperta ma affinché accresca il suo livello di servizio. Faccio un esempio. Prima di tutto le istituzioni pubbliche debbono garantire che le biblioteche siano aperte in modo tale da consentirne a tutti l’accesso. Dopodiché se vogliamo tenerla aperta di più, se vogliamo accrescerne i servizi, dobbiamo trovare modalità per finanziarla, soprattutto attraverso forme organizzate con cui i cittadini, singolarmente o associati, possano sostenere le attività che ritengono importanti. In questo senso, attraverso un rapporto organizzato e riconosciuto, possono assumere un ruolo significativo le Associazioni dei sostenitori.
Walter Dondi è Consigliere Delegato e Direttore della Fondazione Unipolis e ha la Responsabilità Sociale ed Etica del Gruppo Unipol. Dopo oltre vent’anni di esperienza giornalistica, è entrato in Coop Adriatica nel 1999, divenendone dopo un paio d’anni Direttore delle Politiche sociali e della Comunicazione. In questo ambito ha contributo allo sviluppo delle strategie di responsabilità sociale. Su questa esperienza ha pubblicato diversi contributi; ha partecipato alla costituzione di Impronta Etica (associazione per la promozione della RSI), della quale è tuttora membro del Comitato Direttivo.
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