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V edizione Culturit University “Start up! Start down!”

  • Pubblicato il: 15/10/2018 - 00:05
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Rubrica: 
DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di: 
Giorgia Laudati
In un periodo di incertezza politica ed economica come quello attuale, ci si ritrova spesso a interrogarsi sul futuro del nostro Paese. A farlo non sono solo studiosi e ricercatori, ma anche chi di quel futuro ne sarà protagonista: i giovani. Ed è così che il 6 e 7 ottobre i giovani membri di Culturit, rete di associazioni universitarie no-profit, hanno organizzato a Milano un weekend di formazione su di un tema tanto radicato al presente quanto di fondamentale importanza per il futuro e cioè quello delle startup. Ne scrive una giovane penna, Giorgia Laudati, per stimolare l’imprenditorialità dei giovani che non cercano un lavoro, ma lo creano. “Listen, look, leap, learn!” (Ascolta, guarda, buttati, impara!)
Sul tema Start up! Start down! Successi e sconfitte di giovani imprenditori ha lavorato la V edizione della Culturit University (CU), il raduno nazionale semestrale dei membri del Culturit Network. Il weekend è stato un susseguirsi di eventi durante i quali, grazie all’intervento di ospiti di rilievo, sono state sviluppate riflessioni intorno alle opportunità lavorative per i giovani in Italia e al significato di termini largamente usati ma spesso poco chiari: imprenditorialità, startup, innovazione e fallimento tra i più ricorrenti.

All’evento realizzato presso la sede centrale dell’Università Cattolica e il Circolo Filologico Milanese grazie alla partnership con Digital Advisor Network, hanno preso parte come relatori Fabio Antoldi, Docente di Strategia Aziendale e Imprenditorialità; Marianna Poletti, Fondatrice di Just Knock; Marco Bicocchi Pichi, già Presidente Italia Startup; Domenico Colucci, Fondatore di Nextome; Cecilia Nostro, Fondatrice di Friendz; Zeno Pellizzari, Business Angel; Giacomo Bonardi, Operation manager di Moovit; Andrea Visconti, Fondatore di Sinba.

Il quadro di partenza da cui si è sviluppata l’analisi non è dei più rosei. Infatti, secondo quanto riportato dall’Istat per il primo trimestre 2018, la disoccupazione giovanile nella fascia 15-24 anni è al 31,7%. Desta preoccupazione inoltre il fenomeno dei cosiddetti Neet (Not in education, employment or training) che nel nostro paese raggiungono la quota più alta d’Europa. Ma nella realtà dei fatti non ci sono solo dati negativi, c’è una parte di giovani che ha voglia di realizzare i propri sogni e la grinta necessaria per raggiungere i propri obiettivi. Ed è di questi giovani, e a questi giovani, che si è parlato durante la Culturit University. Infatti, come ha suggerito Marco Bicocchi Pichi durante il suo intervento, alle due “e” della parola Neet ne andrebbe aggiunta una terza che sta per Entrepreneurship (termine inglese per Imprenditorialità) a simboleggiare quella parte di giovani che un lavoro non lo cerca ma si propone di crearlo.

Viene però naturale domandarsi se ai giovani italiani siano forniti gli strumenti necessari per intraprendere questo cammino oppure se si trovino impreparati di fronte a un mondo che affascina ma del quale non conoscono i meccanismi. E inoltre se l’imprenditorialità è qualcosa che possa essere insegnato. Per Fabio Antoldi la risposta a quest’ultima domanda è affermativa, e lo dimostra la sua attività di insegnante in corsi universitari incentrati su questo tema. Durante il suo discorso, spiega infatti che c’è una distinzione sostanziale tra creatività e innovazione e che in questa differenza risiede la capacità di fare impresa. Con il termine creatività si indica un’attitudine personale che può essere stimolata, ma è per certi versi innata e che non è di per sé sufficiente a costituire un’impresa. Una startup nasce invece quando c’è innovazione, e cioè la capacità di trasformare la creatività in un prodotto o servizio che risponde a un bisogno (evidente o latente) di un gruppo di persone trovando una soluzione che crea valore. Ed è proprio la risposta al binomio bisogno-valore che, supportata da un adeguato business model, consente la nascita di una startup.

Un business model ben strutturato è dunque essenziale alla riuscita di una startup, ma è qui che forse molti dei giovani imprenditori riscontrano difficoltà poiché, seppur dotati di grande creatività e voglia di fare, spesso non hanno sufficiente esperienza, conoscenze e fonti di finanziamento. Ed infatti, il Global Entrepreneurship Monitor (GEM) nel suo Global Report 2017/2018 sullo stato dell’imprenditorialità a livello globale riporta che il maggior numero di fondatori di startup non è tra i giovanissimi ma ha età compresa tra i 25-34 e i 35-44 anni. Senza contare che in Italia, secondo lo studio dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sullo Startup Act, la nascita e crescita di startup è ostacolata dall’eccessiva burocrazia e dalla mancanza di un sistema adeguato di incentivi.

Lo stesso studio evidenzia inoltre la presenza in Italia di un problema più ampio che emerge come costante anche nel corso della Culturit University e che è di matrice culturale. Bassa propensione al rischio, scarsa fiducia interpersonale, poca predisposizione all’innovazione e paura del fallimento ne sono i fattori più eclatanti. In gran parte dei casi, i giovani italiani si trovano dunque a proporre idee innovative in un ambiente che non è pronto ad accoglierle in quanto poco predisposto a rinnovarsi e restio ad investire su di loro perché timoroso di un eventuale esito negativo. Ed è in particolare questa paura di “fallire” che i membri di Culturit vogliono ribaltare e guardare da una diversa prospettiva. A sostenerli in questa nuova interpretazione ci sono i loro ospiti: Zeno Pellizzari che si dichiara un esperto del fallimento ma soprattutto del rialzarsi in piedi; Domenico Colucci che racconta di come il fallimento iniziale della sua idea lo abbia poi spinto a ripensarla fino a farne un successo e Andrea Visconti che ricorda di non associare il proprio successo personale esclusivamente alle cose che si fanno poiché il rischio è quello di sottoporsi a un forte stress psicologico e di delegare la propria felicità a fattori che possono sfuggire al proprio controllo, dice infatti a proposito della sua esperienza di fallimento “volevo spiegare ai miei figli che era fallita la startup del papà, ma non il papà”. 

Sono queste dunque le storie che bisogna iniziare a raccontare ai giovani. Storie di idee per cui mettersi in gioco, delle competenze che bisogna acquisire per farlo, della grande fatica che ciò comporta e dell’immensa soddisfazione che si prova nel realizzare qualcosa, della possibilità del fallimento e dell’occasione di apprendimento che questo offre. Come dicono gli imprenditori americani “Listen, look, leap, learn!” (Ascolta, guarda, buttati, impara!)

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Fonti:
Dati Istat sulla disoccupazione giovanile
Global Report GEM
Studio Ocse
 
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