Una nuova occasione?
Palermo – Presentato il terzo Rapporto annuale della Fondazione RES - Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia, con le istituzioni dispiegate: Giovanni Puglisi (Presidente Fondazione Banco di Sicilia), Paola Casavola (Fondazione Res), Carlo Trigilia (Presidente Fondazione Res), Gaetano Armao (Ass. Economia - Regione Siciliana), Roberto Nicastro (Direttore Generale Unicredit), Fabio Mazzola (Università di Palermo), Giuliano Segre (Presidente Fondazione di Venezia), Ivan Lo Bello (Presidente Confindustria Sicilia), Arnaldo Bagnasco (Università di Torino), Pierluigi Sacco (Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM).
La ricerca, sostenuta da Fondazione Banco di Sicilia e UniCredit Group, dal titolo di “La nuova occasione. Città e risorse locali in Sicilia e nel Mezzogiorno”, analizza il ruolo delle città nella valorizzazione delle risorse locali. Come sottolinea il Prof. Puglisi, presidente della Fondazione Banco di Sicilia il disegno “è strutturato secondo tre direttrici, che sono le dotazioni culturali e naturali, ossia il grande patrimonio che oggi costituisce il tessuto connettivo della Sicilia, le conoscenze scientifiche inglobate nelle università e nei centri di ricerca, e il saper fare di lungo periodo, che è la vitalità di un’esperienza che diventa arricchimento per il futuro. Parametri che secondo me vanno intrisi dal parametro della sostenibilità dello sviluppo”.
Secondo il Presidente della Fondazione Res, Carlo Trigilia “I cambiamenti nei mercati creano infatti spazi crescenti per una intelligente valorizzazione del patrimonio ambientale-storico-artistico, per le conoscenze scientifiche racchiuse nell'università e per il saper fare diffuso legato ad antiche vocazioni produttive di lungo periodo. L’occasione non sarà però colta senza un ruolo più attivo delle città che devono funzionare da “trasformatori” delle risorse potenziali in concrete occasioni di sviluppo”.
Perché studiare le città e le risorse locali?
Con ‘risorse locali’ si intendono il patrimonio di beni culturali e ambientali, di conoscenze legate al progresso scientifico e di saper fare diffuso, radicato in specializzazioni produttive, che contribuiscono a definire l’identità di un luogo. È importante valutare in questo scenario macro-economico, in che misura esse riescano a operare come trasformatori efficaci delle risorse locali e come generatori di nuove risorse. Un obiettivo ancor più rilevante nel Mezzogiorno, che presentano un’industrializzazione più fragile e più esposta all’instabilità e un tessuto tradizionalmente poco fecondo ad incubare progetti di sviluppo.
Il rapporto è un primo tentativo di mappature quali-quantitativa delle dotazioni di risorse locali presenti, di come sono attivate, quali fattori endogeni ed esogeni influiscono è la precondizione per delineare politiche efficaci di intervento. Una sfida, che necessita di una “metrica” nuova per misurare le dotazioni e riconoscerne il grado di attivazione; non mira a creare graduatorie, ma valutare il potenziale inespresso, anche attraverso ipotesi teoriche e comparazioni con casi di successo nazionali con similitudini demografiche e patrimoniali.
Come?
· costruendo (con indicatori relativi a beni culturali e ambientali; conoscenze scientifiche disponibili in università e centri di ricerca; saper fare diffuso legato a specializzazioni produttive consolidate) ‘misurazioni’ comparabili tra città diverse della dotazione di risorse locali e del loro grado di attivazione.
· focalizzando i fattori che possono influire sull’attivazione, casuali o intenzionali, caratterizzati da gradi diversi di relazionalità (iniziative isolate o azioni più coordinate tra attori molteplici, alleanze esplicite o interazioni meno strutturate) e investimenti pubblici e privati.
Con quali risultati?
L’assunto è che la crescita dei territori dipenda molto dalle città, perché in esse si concentra la residenzialità, il pensiero di governo dell’interesse pubblico, l’attività intellettuale e della direzione d’impresa.
Emerge che la situazione di partenza non è così sperequata rispetto al Nord: le dotazioni sono mediamente rilevanti per dimensione e articolazione interna e nei beni culturali e ambientali a volte superiori rispetto ad altre aree. Nell’agricoltura è forte il saper fare con esiti diversificati verso la filiera dell’agroindustria. La scelta nazionale di diffondere le sedi universitarie e i centri di ricerca sul territorio ha lasciato invece oggi un patrimonio significativo di sapere scientifico anche in molte città che si traduce nel numero di ricercatori e nella qualità della ricerca, risorse per lo sviluppo dei territori.
Se il problema non è di dotazione - pur nella diversificazione della composizione e della specificità delle diverse realtà -,il divario si apre in termini di capacità di attivazione di queste risorse per lo sviluppo. Intervengono fattori esogeni e i diversi gradi di relazione della nuova domanda con le risorse locali, il carico di scelte pregresse della politica nazionale e sovra locale. Tuttavia, è evidente come il fattore decisivo sia la capacità di protagonismo attivo delle singole città e dei loro attori, pubblici e privati. Il problema non è il finanziamento, ma il coordinamento.
Soprattutto in Sicilia gli spazi per una maggiore valorizzazione sono elevati e la capacità di azione attiva e coordinata da parte degli attori pubblici e privati è modesta, ma i segnali di un’inversione di tendenza nella consapevolezza degli attori locali sono netti. Occorre uscire dall’incentivazione individuale a singoli operatori, per puntare al coordinamento per produrre beni e servizi collettivi. Una buona occasione, come dal titolo del rapporto, da cogliere innestando rapidi cambiamenti.
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