Una battaglia culturale a favore dell’economia sociale
Ho letto con immenso piacere il recente articolo di Carola Carazzone comparso su queste colonne perché sostiene una “battaglia culturale” che Nesta Italia, a un anno dal suo lancio nel nostro Paese, afferma come prioritaria per scalare le opportunità di sviluppo di iniziative e progetti che possono riconoscersi nell’ambito dell’economia sociale.
Sul tema delle organizzazioni stiamo osservando come in Italia (sia nei centri che nelle periferie delle città ma anche nei piccoli e medi centri o nelle aree rurali) si stanno moltiplicando esperienze di innovazione sociale che nascono e si sostengono grazie a un mix tra uso delle tecnologie, modelli gestionali innovativi e una ricombinazione creativa delle risorse presenti sul territorio.
I protagonisti di queste esperienze sono soggetti ibridi, a cavallo tra profit e non-profit, nati come esito della crisi per rispondere a bisogni sociali emergenti ma anche per creare opportunità di autoimpiego. Hanno forte vocazione imprenditoriale, ma sono portatori di istanze trasformative e di senso quasi militanti. Operano in molteplici settori di attività ad alto tasso di conoscenza, utilizzano le nuove tecnologie ma mantengono un forte radicamento sul territorio e mutano in corsa adattandosi al contesto in cui operano dimostrando capacità di anticipare tendenze e bisogni e di volgere i problemi del proprio contesto in opportunità. In Italia vengono comunemente chiamate startup sociali e culturali ma raramente sviluppano modelli di business capaci di intercettare l’interesse di capitali di rischio. Nel contempo hanno difficoltà a intercettare strumenti di sostegno pubblico (scarsa solidità capacità economico finanziaria, forme giuridiche ibride).
Il valore generato da queste esperienze non si traduce solo nel (modesto) apporto economico delle attività quanto nel contributo che offrono alla coesione sociale, soprattutto nei contesti di inefficacia delle politiche pubbliche e degli operatori privati, nella sperimentazione e disseminazione di nuove pratiche economiche. Economie e organizzazioni che lavorano in diversi livelli di disintermediazione nei servizi per comunità, individui e una pluralità di attori locali coinvolti, superando i vincoli all’azione grazie a complessi processi community-based di costruzione di asset relazionali, finanziari e spaziali.
È a queste organizzazioni che il terzo settore italiano deve guardare, per evolvere il proprio ruolo e come sostiene la Carazzone per “fare il salto propositivo necessario per essere il motore di trasformazione sociale il catalizzatore di innovazione e sviluppo umano e sostenibile che potrebbe essere”.
Occorre senza dubbio ragionare sugli strumenti di policy che potrebbero rilanciare e scalare lo sviluppo di iniziative di innovazione sociale dal basso sono dunque diversi ma pongono nuove sfide e criticità che il Sistema dovrà intercettare.
La finanza e la valutazione dell’impatto sociale (o social impact finance) può rappresentare una concreta leva per la crescita di progettualità di innovazione sociale, perché aggiunge al focus dalla sostenibilità finanziaria, quello dell’impatto sociale degli investimenti in senso ampio. Bisogna però considerare che gli strumenti finora sperimentati richiedono una documentata presenza di una domanda di investimento: nuovi progetti imprenditoriali a impatto sociale che, senza dare chance di sperimentazione, difficilmente potranno nascere da soli.
Per valutare l’impatto di iniziative di innovazione sociale occorre riconsiderare la rilevanza di variegati esiti territoriali che escono dalla sfera propriamente sociale o economica con quelli che vengono chiamati spill-over effects, ovvero gli impatti che potrebbero interessare ambiti diversi rispetto a quello da cui sono originati (su questo Tiresia sta lavorando tantissimo).
Molti dei business model sociali che con Nesta Italia stiamo incrociando ben si presterebbero ai modelli di finanziamento outcome-based, date le capacità nel promuovere e mobilitare competenze e risorse diverse valorizzandole e mettendole a sistema come forma di intelligenza collettiva.
Come sostenuto da Mento in riferimento alla capacità di mutuare la programmazione outcome-based nella progettazione delle imprese sociali “sia nel settore filantropico che in quello pubblico, rappresenta una via d’uscita dal welfare prestazionale che, in questi anni, ha reso le organizzazioni del Terzo Settore più fragili”, riferendosi a un’impostazione centrata esclusivamente sulla ricerca dell’efficienza, senza interrogarsi sull’efficacia dei servizi o del loro impatto.
Da questo punto di vista, la creazione del Fondo per l’Innovazione Sociale sostenuto dallo scorso Governo poteva essere un potenziale strumento per promuovere il sostegno e la sperimentazione di un approccio pay by result, guardando alla ricerca di nuovi modelli di sostenibilità dei progetti di impresa sociale (come sostiene Giovanna Melandri).
Per questo motivo la nostra riflessione ci porta a ripensare nuovi strumenti di sviluppo e approcci che possano affiancarsi ai bandi, indirizzati a iniziative di lungo periodo, allo sviluppo di una solida attitudine imprenditoriale e una definita struttura finanziaria del proprio business. Come sostenuto da Carola Carazzone occorre superare il meccanismo dei bandi, perchè produttore “di organizzazioni deboli, in starvation cycle e in concorrenza vitale tra loro e un effetto di adattamento, di isomorfismo delle organizzazioni del terzo settore come progettifici.”
Tra i programmi Italiani su cui Nesta Italia si sta impegnando, quello Torino Social Impact offre interessanti spunti di riflessione sia sulla visione, che sul processo e le linee d’azione. Il programma intende sostenere la nascita di imprese in grado di rispondere a bisogni sociali emergenti in campi diversi (dall’educazione al lavoro, dalla mobilità alla qualità della vita, dalla salute all’inclusione sociale), trasformando le idee innovative in servizi, prodotti, soluzioni in grado di creare al tempo stesso valore economico e sociale per il territorio e la comunità. Le linee d’azione del programma comprendono: la strutturazione di una piattaforma di comunicazione dei progetti e delle numerose realtà coinvolte favorendo partenariati pubblico-privati volti a l’intensificazione delle reti di relazioni nell’ecosistema urbano; la creazione di un sistema di “living labs a impatto sociale”, individuando aree della città in cui creare condizioni favorevoli (amministrative e regolative) per attirare investimenti infrastrutturali nella sperimentazione di soluzioni tecnologiche ad alto impatto sociale; la realizzazione di un osservatorio permanente sull’evoluzione dell’ecosistema, utile a fornire informazioni utili agli investitori, connettendo l’intera rete di attori con le più importanti iniziative orientate all’imprenditorialità a impatto sociale su scala nazionale e internazionale; promuovere la disponibilità, la raccolta e la standardizzazione di dati e tracce digitali, promuovendo la formazione di capacità di analisi connesse alle architetture dati distribuite quali le blockchain.
Come sostiene Carola Carazzone “è necessario un cambio di paradigma: bisogna accuratamente selezionare le organizzazioni del terzo settore e investire sulle loro missioni, sui loro obiettivi strategici, espandendo e catalizzando le loro competenze e capacità.” Per fare ciò dobbiamo partire dal locale, da un inquadramento dei contesti capace di trasformare “il modo di finanziare, di investire, di erogare” con “nuove policy e modalità di finanziamento, diverse dai bandi”.
Il ruolo di una fondazione filantropica in questo senso è quello di “ribaltare” gli approcci sull’innovazione e la sostenibilità nei progetti e nelle organizzazioni dei progetti verso una logica di impatto sociale. Con Nesta Italia vogliamo farlo in primo luogo affermando la volontà̀ di realizzare un modello aperto di innovazione che parta dal locale, identificando e mappando opportunità e rischi legate ai contesti e alle risorse messe in campo per gestirle. Da qui lo sforzo di costruire organizzazioni, strumenti e linguaggi condivisi utili alla messa in relazione di individui e soggetti che vivono i sistemi territoriali e urbani, valorizzando le connessioni e condividendo la conoscenza prodotta tramite la ricerca di soluzioni replicabili.
In secondo luogo la necessità di sperimentare politiche e pratiche, restituendo valore all’esordio come espediente di apprendimento utile a identificare limiti e opportunità degli approcci proposti. La necessità di sperimentazione è propedeutica a una seconda fase di policy design frutto di un re-driving collaborativo tra policymaker, practitioner e community, con l’obiettivo di scalare il target delle policy così come gli impatti diretti e indiretti. L’obiettivo finale è dunque la promozione di un cambiamento sistemico che è la sintesi di un processo di ricerca-azione, di confronti aperti (open innovation) e di investimenti nella sperimentazione.
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