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Spirito Design

  • Pubblicato il: 22/06/2012 - 10:43
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ARTISTA
Articolo a cura di: 
Maddalena Bonicelli e Santa Nastro
Achille Castiglioni

Dopo dieci anni di attività, con la scomparsa del grande designer e architetto, lo Studio Museo di Achille Castiglioni si è trasformato, alla fine del 2011, in una fondazione di partecipazione. Il Presidente, e figlio di Achille, Carlo Livio Castiglioni ci racconta l’evoluzione del progetto, al tavolo dello studio del Maestro, attorno al quale si raccolgono ancora oggi le sedie da lui progettate e quelle dei più importanti designer del suo tempo, con cui lavorava e si confrontava. Come queste sedie, ogni oggetto dello studio, compresi gli oggetti anonimi che egli conservava in una grande vetrina, compone un racconto dell’insegnamento, dei valori e della visione del designer. La Fondazione, oltre a tramandare queste storie, vuole crearne di nuove, con una forte apertura ai giovani designer e architetti che hanno costruito un pezzo della storia della città.
 
L’idea della fondazione era nelle volontà di Achille Castiglioni?
Mio padre non ha mai pensato a una fondazione. A lui interessava il rapporto con i giovani, soprattutto come docente. Quando è scomparso, abbiamo pensato al futuro dello studio, che era quello di un artigiano del design, che lavorava quasi da solo, per mantenerne vivo lo spirito, con le sue  caratteristiche progettuali, di lavoro e di insegnamento. Lo abbiamo aperto come «studio vivente» nel quale si potessero «toccare» gli oggetti e spiegare il progetto, la sua evoluzione fino al prodotto.
Grazie all’impegno di mia sorella Giovanna, questa prima fase ci ha portato oltre 4mila visitatori l’anno. Con un finanziamento della Triennale abbiamo archiviato e digitalizzato una massa importante di documenti. Nel 2011, abbiamo pensato ad un salto qualitativo, organizzativo e di gestione:
trasformare lo studio in una fondazione nella quale potessero entrare altri soggetti, per fare di più.

 
Con quali obiettivi nasce la fondazione? Come si è tradotta la visione di Castiglioni nei suoi obiettivi?
Il pallino di mio padre, rimane nel nostro spirito: coinvolgere i giovani. Vogliamo un luogo in cui possano presentare le loro creazioni e trovare un punto di riferimento. Oggi c’è un problema culturale. Quando i designer come mio padre hanno iniziato, si sono trovati nella condizione unica di poter lavorare con imprenditori che avevano capito l’importanza di rischiare e su questo hanno sviluppato le loro imprese. Negli anni ‘60 il design offriva a un’azienda un elemento di distintività rispetto alle altre, oggi è più difficile e corriamo il rischio che il design diventi esclusivamente moda. Occorre ripartire dal processo di produzione intellettuale: conoscere le capacità produttive dell’azienda, sfruttarle al meglio e trovare l’innovazione. Rispetto a questo, la funzione della fondazione deve essere di promozione: puntare sui giovani e creare collegamenti con le aziende. Il Politecnico di Milano, con cui lavoriamo, ci fa avere idee e ci aiuta a far circolare questo modello.

 
Prima e dopo la nascita della fondazione: cosa è cambiato?
Siamo entrati in una nuova ottica, esterna allo studio. Con la mostra Casa Castiglioni, presentata a Milano e oggi richiesta in altre città, abbiamo fatto rivivere gli oggetti, mostrando come debbono essere usati, in relazione alla componente progettuale. Durante il Salone del Mobile abbiamo presentato lavori di giovani architetti e stiamo lanciando un concorso per la progettazione del logo della fondazione.
Creare una fondazione è comunque un processo complesso, un lungo iter burocratico. Abbiamo scelto il modello di partecipazione, in cui è entrata, come socio promotore, la Triennale di Milano, come garanzia istituzionale e di diversificazione degli obiettivi, ma la sostenibilità è un tema critico.
Anche dopo la costituzione della fondazione, la famiglia continua a sostenerla per circa il 40-50%. Il passo successivo è coinvolgere anche le aziende, perché possano fornire il loro
contributo come soci partecipanti. Tra i progetti futuri, vorremmo che in una città come Milano, si creasse un network di studi di designer. L’AMAD (Archivi Milanesi di Architettura e Design), l’associazione che abbiamo creato, ha l’obiettivo di creare un «museo aperto e diffuso » nella città.
 
 
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(dal XII Rapporto Annuale Fondazioni)