Rockefeller Brothers Fund: la capacità di sperimentare e di innovare per il cambiamento sociale
Autore/i:
Rubrica:
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di:
Vittoria Azzarita
Durante il mese di settembre, Assifero - l'associazione italiana che riunisce le più importanti fondazioni private, di famiglia, d'impresa e di comunità – ha organizzato il Primo Incontro delle Fondazioni di Famiglia Italiane, a cui hanno partecipato importanti ospiti internazionali come Rockefeller Brothers Fund (RBF) e OAK Foundation. A seguito di tale iniziativa, Il Giornale delle Fondazioni ha deciso di avviare un percorso di ascolto delle esperienze delle principali fondazioni di famiglia, nazionali ed internazionali, per mantenere vivo il dibattito sulla filantropia familiare e sulle sue potenzialità. La nostra esplorazione parte da New York, città in cui ha sede il Rockefeller Brothers Fund. Per approfondire la conoscenza di uno tra i più noti enti filantropici del mondo, abbiamo posto alcune domande a Valerie B. Rockefeller, Chair del Board of Trustees e a Stephen B. Heintz, Presidente del RBF. Da questo confronto a più voci, è emerso il ritratto di una fondazione di famiglia, fondata nel 1940 dai figli di John D. Rockefeller, Jr. e attiva da quasi 80 anni negli Stati Uniti e nel resto del mondo, che crede fermamente che assumersi rischi sia un obbligo morale se si vuole essere efficaci nell'utilizzare bene le risorse economiche a propria disposizione. L'invito che il Rockefeller Brothers Fund lancia alla filantropia familiare è «di essere audaci nelle proprie ambizioni, di raggiungere obiettivi significativi, di cercare nuove idee, di sperimentare», restando «umili nel proprio approccio, con la reale volontà di imparare dagli altri e di imparare dalle esperienze mentre si va avanti». L'intervista è pubblicata in italiano e in inglese – The interview is published in both Italian and English.
Il Rockefeller Brothers Fund (RBF) è una fondazione di famiglia indipendente con quasi 80 anni di esperienza. Quali sono le principali aree d'intervento del RBF?
Stephen B. Heintz: Noi lavoriamo su tre tematiche globali: rafforzare la qualità della democrazia, promuovere lo sviluppo sostenibile e far avanzare i processi di peacebuilding. In ciascuna di queste aree, operiamo non solo negli Stati Uniti ma anche in diversi luoghi in tutto il mondo. L'elargizione di fondi in queste aree si combina con una grande quantità di lavoro di tipo più tradizionale, che include: organizzare meeting e conferenze; supportare i nostri beneficiari – con consigli e con impegno – nello sviluppo delle loro capacità istituzionali; fare attività di networking e costruire comunità che hanno bisogno di lavorare insieme, in questo momento di crisi politica, per affrontare sfide molto ampie.
I vostri programmi sono attuati attraverso una varietà di approcci connessi all'elargizione di finanziamenti. Ci potreste dire qualcosa in più sulle vostre strategie di sostegno?
Valerie B. Rockefeller: Anche se lavoriamo in una grande varietà di aree geografiche, che vanno dagli Stati Uniti al resto del mondo, molte delle nostre strategie sono simili. Cerchiamo sempre di seguire i bisogni dei nostri partner locali e di far avanzare il lavoro di persone o organizzazioni che condividono i nostri valori, come l'impegno a favore della non-violenza, oppure l'impegno a favore dei partenariati pubblico-privato, o chi condivide il concetto di sviluppo sostenibile, per esempio, o cosa sia la vera democrazia. Cerchiamo di trovare questo tipo di partner e di dare loro quanto più sostegno possibile, nel modo in cui ne hanno bisogno. Come Stephen ha detto prima, ospitiamo conferenze e convegni per cercare di mettere insieme i nostri partner e questa è la nostra strategia più efficace per aiutare i beneficiari a coordinare il loro lavoro in modo da aumentarne l'impatto.
Di sicuro, una delle azioni più potenti e incoraggianti del Rockefeller Brothers Fund è stata la decisione di disinvestire dai combustibili fossili, annunciata nel 2014. È stata una decisione complessa, vero? A qualche anno di distanza, quali sono le vostre ambizioni nel campo dello sviluppo sostenibile?
Stephen B. Heintz: La scelta di disinvestire dai combustibili fossili è stata probabilmente la decisione più importante che abbiamo preso negli ultimi dieci anni, forse in tutta la nostra storia. Abbiamo iniziato ad occuparci del problema del riscaldamento globale fin dagli anni '80. Siamo stati una delle prime fondazioni americane a riconoscere che il riscaldamento globale era in atto e che era necessaria una maggiore attenzione. Così abbiamo iniziato a elargire finanziamenti alle organizzazioni scientifiche per continuare e per approfondire le ricerche. Poi abbiamo sostenuto politiche per la salute, analisi e lavori di sviluppo delle politiche e l'attivismo per cercare di far muovere il mondo verso un'economia pulita e per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili con una certa urgenza, al fine di evitare le peggiori catastrofi climatiche che altrimenti potrebbero verificarsi entro la fine di questo secolo.
Stavamo finanziando lo sviluppo sostenibile ormai da tempo, ma nei nostri investimenti continuavamo a detenere partecipazioni in società di combustibili fossili e questo, francamente, era per noi moralmente ambiguo. In un certo senso, equivaleva ad essere un finanziatore che sostiene la ricerca contro il cancro ai polmoni e al contempo investe in società che producono tabacco. Così abbiamo avviato una discussione con il nostro Board inizialmente sulla nostra ambiguità morale, a cui abbiamo aggiunto molto velocemente anche un'analisi economica, basata sul lavoro di un'organizzazione molto importante di Londra: la Carbon Tracker Initiative. La loro ricerca – che è stata pubblicata per la prima volta all'inizio del 2014 – indica che noi, come comunità globale, abbiamo la possibilità di far rimanere l'innalzamento delle temperature al di sotto dei 2 °C, solo se lasciamo dal 60 all'80% delle riserve conosciute di combustibili fossili sottoterra non utilizzate, perché altrimenti se le estraiamo e le bruciamo continueremo a riscaldare il pianeta ad una velocità allarmante. Questo significa che tutte le riserve di combustibili fossili, normalmente nei bilanci delle principali compagnie di combustibili fossili e delle principali compagnie energetiche, sono “asset bloccati” che inizieranno a perdere il loro valore – in realtà stanno già perdendo valore – e pertanto investire in quelle compagnie che hanno la maggior parte dei loro asset in riserve di combustibili fossili, sul lungo periodo, è una pessima strategia di investimento.
Così la questione morale e la questione economica insieme hanno portato al consenso di tutti i nostri stakeholder e, soprattutto, del Board of Trustees che include alcuni membri della famiglia Rockefeller, che rappresentano il 50% del nostro Board. È stata una decisione storica e mi fa piacere che continui ad avere un significato per il movimento a favore del disinvestimento. Un altro impatto è dato dal fatto che ci stiamo confrontando con altre fondazioni interessate ad esaminare come la nostra esperienza abbia inciso sulle nostre performance di investimento e a immaginare una strategia che possa andar bene per loro.
Valerie B. Rockefeller: Anche se stiamo lavorando con altre fondazioni per incoraggiarle a disinvestire dai combustibili fossili, ritengo che sia importante evidenziare le dimensioni del movimento per il disinvestimento. Quando ci siamo uniti per la prima volta al movimento globale per il disinvestimento, nel 2014, esso valeva complessivamente circa 52 miliardi di dollari di asset under management. Dopo la Conferenza di Parigi sul clima del 2015, molte istituzioni hanno investito i loro soldi nell'energia pulita ed oggi il movimento vale 6,3 trilioni di dollari a livello mondiale. Questo è un segnale di quanto velocemente sia cresciuto il movimento e di quante organizzazioni e comunità si siano unite ad esso. Naturalmente, come fondazione siamo orgogliosi di continuare a far progredire il movimento per il disinvestimento.
Il nostro giornale ha un focus particolare sull'arte e la cultura e per questo ci interessa molto il vostro programma che sostiene la creatività, gli artisti e le organizzazioni culturali. Perché avete deciso di sostenere la cultura e che tipo di progetti state realizzando in questo campo?
Stephen B. Heintz: Crediamo, molto appassionatamente, che l'arte e la cultura diano forma e migliorino la qualità dell'esperienza umana e aggiungano una prospettiva unica a tutti gli altri aspetti a cui teniamo, che ci aiuta ad esaminare noi stessi e la nostra società. Inoltre, l'arte riunisce le persone intorno a diverse visioni di come possa essere il futuro. L'arte e la cultura sono la parte realmente stimolante del nostro lavoro focalizzato sulle comunità culturali della città di New York. Naturalmente, qui a New York, siamo molto fortunati perché abbiamo una scena culturale molto ricca e variegata, con tutti i tipi di organizzazioni piccole e grandi – sperimentali e tradizionali – in ogni disciplina artistica capace di attrarre un pubblico globale. In linea con ciò, una particolare area di lavoro, relativa alle nostre attività di grantmaking, è rappresentata dal sostegno alle piccole e medie organizzazioni culturali che operano nei diversi quartieri della città e che, al contempo, riflettono la nostra società e servono comunità culturali uniche e la diversità della popolazione urbana. Cerchiamo di aiutare queste organizzazioni a costruire la propria capacità istituzionale e ad attrarre un pubblico più vasto, e offriamo anche l'opportunità di realizzare delle residenze d'artista presso il nostro Pocantico Centre, che si trova fuori città nella bellissima comunità di Pocantico Hills. Il Pocantico Centre si trova all'interno dell'ex tenuta della famiglia Rockefeller e ha una straordinaria collezione di opere d'arte e sculture. Qui ospitiamo residenze d'artista in qualsiasi disciplina, dove gli artisti hanno la possibilità di vivere in questo incantevole campus e di creare delle opere nuove. Hanno anche l'opportunità di presentare le loro opere in loco. Questo programma rappresenta una meravigliosa aggiunta alle nostre attività di finanziamento: diamo l'opportunità agli artisti che vivono a New York di lavorare in un bellissimo ambiente naturale, di creare nuove opere, di presentare i loro lavori ancora in corso al di fuori della città, di tornare a New York per continuare a lavorare alle loro opere e poi di presentarle a un pubblico mondiale. Nei due anni in cui stiamo portando avanti questa attività, abbiamo assistito alla creazione di opere davvero straordinarie nei campi della danza, della musica, della scrittura, della poesia, della sceneggiatura e questo è stato molto elettrizzante. Per esempio, una compagnia di danza che abbiamo ospitato in residenza – The Black Iris Project - ha creato una nuova coreografia basata sulla vita di Nelson Mandela in Sud Africa e alcuni mesi dopo la residenza si è esibita in prima mondiale al Kennedy Center di Washington. Questo è un esempio molto bello di come questa opportunità per le persone creative possa funzionare.
Valerie B. Rockefeller: Vorrei aggiungere che l'obiettivo di tutto il nostro lavoro è cercare di dare voce a chi ha bisogno di avere maggiore visibilità all'interno della società. L'arte come espressione umana serve a questo scopo e sosteniamo il processo creativo al fine di offrire agli artisti di colore e sotto-rappresentati l'opportunità di contribuire alla vitalità culturale della città di New York.
Secondo voi, l'arte dovrebbe giocare un ruolo più rilevante nell'educare la società civile rispetto ai cambiamenti climatici e alle conseguenze del riscaldamento globale?
Stephen B. Heintz: Mi fa sempre molto piacere quando gli artisti, in qualsiasi campo, usano la loro energia creativa per richiamare l'attenzione su problemi sociali molto importanti. Ma sono anche molto restio a dire agli artisti di cosa si dovrebbero occupare, perché il processo creativo viene dall'interno e ritengo che sia molto importante per gli artisti vivere esperienze di vita reale e poi esprimere tali esperienze attraverso la loro arte. Chiaramente, il riscaldamento globale riguarda tutti e stiamo vedendo un numero crescente di artisti coinvolti nell'educare il pubblico, nell'ispirarlo e nel comunicare a gran voce l'urgenza di questo problema e penso che questo sia fantastico. Tuttavia, nei nostri programmi di finanziamento non cerchiamo mai di influenzare i contenuti delle opere che i nostri beneficiari e partner stanno creando. Guardiamo solo alla qualità delle loro opere e alla originalità e creatività delle loro proposte e finanziamo ciò che crediamo sia il lavoro creativo più stimolante che si possa trovare.
Viviamo in un periodo di insicurezza caratterizzato dal più alto livello di disuguaglianza tra le persone ricche e il resto della popolazione degli ultimi cinquant'anni. In tale contesto, quali sono le sfide principali che il settore filantropico deve affrontare al giorno d'oggi?
Valerie B. Rockefeller: Vorrei sottolineare che noi guardiamo alla giustizia sociale in una accezione più ampia. Ad esempio, facciamo attenzione all'impatto dei cambiamenti climatici – che è maggiore su coloro che vivono già una situazione problematica rispetto alle persone ricche, che contribuiscono ai cambiamenti climatici – e all'ineguaglianza e alle sue conseguenze sulla democrazia e sulle persone che hanno meno risorse economiche e connessioni più deboli. Questo è il motivo per cui lavoriamo molto per assicurare a ogni singolo individuo il diritto di voto e per sviluppare opportunità economiche a favore delle popolazioni marginali e vulnerabili. Penso che dobbiamo superare la disuguaglianza economica come nostro obiettivo e affrontiamo questa sfida attraverso strategie e approcci diversi.
Stephen B. Heintz: Valerie ha ragione. Infatti, nei prossimi giorni ci sarà un incontro con il Comitato Esecutivo del nostro Board of Trustees e uno dei punti all'ordine del giorno è quello di rivedere – ed io spero – di impostare piccole revisioni rispetto alle linee guida relative alle modalità di finanziamento del nostro programma sulle pratiche democratiche. Una delle revisioni è rendere un po' più esplicite le nostre preoccupazioni sulle disuguaglianze economiche e sulla giustizia etnica. Ovviamente questi due aspetti sono connessi tra loro anche se non sono sinonimi. Questa è una sfida molto interessante per la filantropia, in quanto noi esistiamo quale risultato della disuguaglianza economica, esistiamo grazie alla creazione di grandi ricchezze e al successo di individui e famiglie nelle loro attività economiche. Non intendo in alcun modo sminuire ciò che hanno realizzato, ma allo stesso tempo è un riflesso dell'enorme ricchezza privata e il fatto che una parte di questo capitale confluisca nella filantropia è una cosa estremamente positiva. Tuttavia, tutti noi dobbiamo tenere a mente che la creazione di ricchezza è spesso una condizione che va a svantaggio di altre popolazioni all'interno della nostra società.
Come cittadini americani o europei tendiamo a dare per scontata la democrazia. Ma l'ascesa dei partiti nazionalisti e dei movimenti populisti in tutte le società occidentali sta mettendo a rischio la tenuta dei governi e dei sistemi democratici. Siete preoccupati per il futuro della democrazie negli Stati Uniti e in Europa? Cosa possiamo fare per invertire tale tendenza?
Stephen B. Heintz: Certamente siamo preoccupati per il futuro della democrazia nel nostro Paese. Siamo preoccupati anche per il futuro della democrazia in tutto il mondo come problema di governance globale. Abbiamo bisogno di rendere più democratici, a livello globale, i processi di presa delle decisioni, di risoluzione dei problemi e di gestione dei problemi e con ciò intendo dire più trasparenti, più responsabili e più inclusivi. La mia opinione personale è che la pratica della democrazia, come la conosciamo oggi, è anacronistica: le sfide del XXI Secolo sono sfide che hanno a che fare con il fatto che i sistemi di governance democratica delle origini non sono più adeguati. Abbiamo bisogno di re-inventare e di riformare tali sistemi per poter rendere la governance democratica più efficace, più inclusiva e più giusta. Abbiamo assistito, soprattutto in questo Paese nel corso degli ultimi 40 anni, a un lento processo di erosione della democrazia nel quale forze economiche molto potenti hanno guadagnato un potere sempre crescente, mentre i cittadini perdevano potere in maniera incrementale. Così, oggi, possiamo vedere l'influenza del denaro sulla nostra politica, il potere delle lobby e delle grandi aziende e di altri interessi particolari nei risultati dei processi legislativi. Vediamo che molti cittadini hanno perso spazio nelle istituzioni democratiche e nei processi democratici, perché percepiscono che il loro impegno – la loro partecipazione – ha un impatto molto ridotto e di conseguenza hanno perso la sicurezza, la fiducia e la voglia di agire. Siamo prossimi a una crisi; si tratta di un problema molto serio e c'è molto lavoro da fare per ricostruire la cultura politica democratica su cui si basano le istituzioni democratiche efficaci. C'è molto lavoro da fare per riformare le istituzioni e i processi e questo – secondo me - può accadere solo attraverso una cultura più solida, in cui i cittadini sono realmente impegnati ed efficaci.
Nonostante la volontà della filantropia di assumersi dei rischi, la percezione generale e diffusa è che nella pratica molte fondazioni abbiano un atteggiamento conservatore e che non siano del tutto consapevoli dell'importanza di essere innovative. Secondo voi, quanto è importante per le fondazioni accettare dei rischi?
Valerie B. Rockefeller: Ritengo che noi abbiamo una tradizione unica nell'assumerci dei rischi e sono d'accordo con Stephen quando dice che dobbiamo riflettere molto attentamente sulla disuguaglianza. Ma ciò che possiamo davvero fare è proprio assumerci dei rischi con quel denaro, perché noi non siamo come i politici, i governi o le imprese che devono ottenere voti o fare profitti e si preoccupano sempre troppo di ciò che pensano gli altri. Noi abbiamo una libertà unica e possiamo seguire i nostri valori e le nostre strategie. È esattamente ciò che facciamo e accettiamo molti rischi quando capiamo che possiamo avere un impatto, che si può diffondere al resto della società. Penso che assumersi rischi sia un nostro obbligo morale e se vogliamo essere efficaci nell'utilizzare bene i nostri soldi, dobbiamo pensare molto attentamente ai rischi che ci assumiamo.
Stephen B. Heintz: Valerie dice bene. Crediamo sul serio che assumersi rischi sia uno dei nostri asset e lo facciamo in un modo in cui gli altri non possono nel settore pubblico oppure nel privato: sperimentiamo, cerchiamo idee nuove e qualche volta possiamo anche fallire, ma questo è necessario per trovare soluzioni creative a problemi molto difficili.
Gli Stati Uniti sono visti spesso come un punto di riferimento per il settore filantropico. Quale fondazione americana di lungo periodo, che consigli volete dare alle fondazioni di famiglia italiane?
Stephen B. Heintz: Vorrei dire tre cose, anche se ci sono molti aspetti che tutte le fondazioni devono tenere a mente per fare il proprio lavoro e per svilupparlo per il futuro. In primo luogo, penso che sia essenziale che le fondazioni abbraccino i propri valori e che si confrontino realmente sui valori che guidano il loro agire. Naturalmente, nella filantropia di famiglia, questi valori derivano dai valori delle famiglie ed è importante che ci sia chiarezza rispetto a tali valori e che siano comunicati a tutti coloro che li usano per guidare il lavoro della fondazione. Secondo, la nostra esperienza di quasi 80 anni ci ha insegnato che coinvolgere persone che non appartengono alla famiglia insieme ai membri della famiglia nella gestione delle fondazioni è un modo molto efficace per aumentare la produttività e ottenere ottime performance. Però bisogna assicurarsi che le persone che non appartengono alla famiglia condividano gli stessi valori condivisi dalla famiglia. È necessario coinvolgere persone che possono contribuire al lavoro della fondazione con particolari conoscenze ed esperienze, lavorando in diversi ruoli – come consulenti, come membri dello staff o anche come membri del Board. Nel nostro caso, come ho detto prima, la metà del nostro Board è composta da membri della famiglia Rockefeller mentre l'altro cinquanta percento è dato da membri che non fanno parte della famiglia Rockefeller, ma che con le loro competenze e capacità ci aiutano nel nostro lavoro. La terza cosa che vorrei dire è che è davvero importante stabilire le dimensioni della propria area di interesse, sia essa l'arte e la cultura o l'ambiente o qualsiasi altro campo di interesse. È importante calibrare queste aree e le proprie ambizioni alle dimensioni delle proprie risorse. La filantropia come settore è estremamente piccolo e dobbiamo riconoscere, con umiltà, che non abbiamo tutte le risposte a problemi così grandi. Ma abbiamo alcune risorse che possono aiutare le persone a lavorare sulle soluzioni a tali problemi. Penso che sia importante essere audaci nelle proprie ambizioni, raggiungere obiettivi significativi, cercare nuove idee, sperimentare. Ma bisogna essere anche umili nel proprio approccio, capendo cosa noi e gli altri possiamo portare al processo, con la reale volontà di imparare dagli altri e di imparare dalle esperienze mentre andiamo avanti.
Stephen B. Heintz: Noi lavoriamo su tre tematiche globali: rafforzare la qualità della democrazia, promuovere lo sviluppo sostenibile e far avanzare i processi di peacebuilding. In ciascuna di queste aree, operiamo non solo negli Stati Uniti ma anche in diversi luoghi in tutto il mondo. L'elargizione di fondi in queste aree si combina con una grande quantità di lavoro di tipo più tradizionale, che include: organizzare meeting e conferenze; supportare i nostri beneficiari – con consigli e con impegno – nello sviluppo delle loro capacità istituzionali; fare attività di networking e costruire comunità che hanno bisogno di lavorare insieme, in questo momento di crisi politica, per affrontare sfide molto ampie.
I vostri programmi sono attuati attraverso una varietà di approcci connessi all'elargizione di finanziamenti. Ci potreste dire qualcosa in più sulle vostre strategie di sostegno?
Valerie B. Rockefeller: Anche se lavoriamo in una grande varietà di aree geografiche, che vanno dagli Stati Uniti al resto del mondo, molte delle nostre strategie sono simili. Cerchiamo sempre di seguire i bisogni dei nostri partner locali e di far avanzare il lavoro di persone o organizzazioni che condividono i nostri valori, come l'impegno a favore della non-violenza, oppure l'impegno a favore dei partenariati pubblico-privato, o chi condivide il concetto di sviluppo sostenibile, per esempio, o cosa sia la vera democrazia. Cerchiamo di trovare questo tipo di partner e di dare loro quanto più sostegno possibile, nel modo in cui ne hanno bisogno. Come Stephen ha detto prima, ospitiamo conferenze e convegni per cercare di mettere insieme i nostri partner e questa è la nostra strategia più efficace per aiutare i beneficiari a coordinare il loro lavoro in modo da aumentarne l'impatto.
Di sicuro, una delle azioni più potenti e incoraggianti del Rockefeller Brothers Fund è stata la decisione di disinvestire dai combustibili fossili, annunciata nel 2014. È stata una decisione complessa, vero? A qualche anno di distanza, quali sono le vostre ambizioni nel campo dello sviluppo sostenibile?
Stephen B. Heintz: La scelta di disinvestire dai combustibili fossili è stata probabilmente la decisione più importante che abbiamo preso negli ultimi dieci anni, forse in tutta la nostra storia. Abbiamo iniziato ad occuparci del problema del riscaldamento globale fin dagli anni '80. Siamo stati una delle prime fondazioni americane a riconoscere che il riscaldamento globale era in atto e che era necessaria una maggiore attenzione. Così abbiamo iniziato a elargire finanziamenti alle organizzazioni scientifiche per continuare e per approfondire le ricerche. Poi abbiamo sostenuto politiche per la salute, analisi e lavori di sviluppo delle politiche e l'attivismo per cercare di far muovere il mondo verso un'economia pulita e per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili con una certa urgenza, al fine di evitare le peggiori catastrofi climatiche che altrimenti potrebbero verificarsi entro la fine di questo secolo.
Stavamo finanziando lo sviluppo sostenibile ormai da tempo, ma nei nostri investimenti continuavamo a detenere partecipazioni in società di combustibili fossili e questo, francamente, era per noi moralmente ambiguo. In un certo senso, equivaleva ad essere un finanziatore che sostiene la ricerca contro il cancro ai polmoni e al contempo investe in società che producono tabacco. Così abbiamo avviato una discussione con il nostro Board inizialmente sulla nostra ambiguità morale, a cui abbiamo aggiunto molto velocemente anche un'analisi economica, basata sul lavoro di un'organizzazione molto importante di Londra: la Carbon Tracker Initiative. La loro ricerca – che è stata pubblicata per la prima volta all'inizio del 2014 – indica che noi, come comunità globale, abbiamo la possibilità di far rimanere l'innalzamento delle temperature al di sotto dei 2 °C, solo se lasciamo dal 60 all'80% delle riserve conosciute di combustibili fossili sottoterra non utilizzate, perché altrimenti se le estraiamo e le bruciamo continueremo a riscaldare il pianeta ad una velocità allarmante. Questo significa che tutte le riserve di combustibili fossili, normalmente nei bilanci delle principali compagnie di combustibili fossili e delle principali compagnie energetiche, sono “asset bloccati” che inizieranno a perdere il loro valore – in realtà stanno già perdendo valore – e pertanto investire in quelle compagnie che hanno la maggior parte dei loro asset in riserve di combustibili fossili, sul lungo periodo, è una pessima strategia di investimento.
Così la questione morale e la questione economica insieme hanno portato al consenso di tutti i nostri stakeholder e, soprattutto, del Board of Trustees che include alcuni membri della famiglia Rockefeller, che rappresentano il 50% del nostro Board. È stata una decisione storica e mi fa piacere che continui ad avere un significato per il movimento a favore del disinvestimento. Un altro impatto è dato dal fatto che ci stiamo confrontando con altre fondazioni interessate ad esaminare come la nostra esperienza abbia inciso sulle nostre performance di investimento e a immaginare una strategia che possa andar bene per loro.
Valerie B. Rockefeller: Anche se stiamo lavorando con altre fondazioni per incoraggiarle a disinvestire dai combustibili fossili, ritengo che sia importante evidenziare le dimensioni del movimento per il disinvestimento. Quando ci siamo uniti per la prima volta al movimento globale per il disinvestimento, nel 2014, esso valeva complessivamente circa 52 miliardi di dollari di asset under management. Dopo la Conferenza di Parigi sul clima del 2015, molte istituzioni hanno investito i loro soldi nell'energia pulita ed oggi il movimento vale 6,3 trilioni di dollari a livello mondiale. Questo è un segnale di quanto velocemente sia cresciuto il movimento e di quante organizzazioni e comunità si siano unite ad esso. Naturalmente, come fondazione siamo orgogliosi di continuare a far progredire il movimento per il disinvestimento.
Il nostro giornale ha un focus particolare sull'arte e la cultura e per questo ci interessa molto il vostro programma che sostiene la creatività, gli artisti e le organizzazioni culturali. Perché avete deciso di sostenere la cultura e che tipo di progetti state realizzando in questo campo?
Stephen B. Heintz: Crediamo, molto appassionatamente, che l'arte e la cultura diano forma e migliorino la qualità dell'esperienza umana e aggiungano una prospettiva unica a tutti gli altri aspetti a cui teniamo, che ci aiuta ad esaminare noi stessi e la nostra società. Inoltre, l'arte riunisce le persone intorno a diverse visioni di come possa essere il futuro. L'arte e la cultura sono la parte realmente stimolante del nostro lavoro focalizzato sulle comunità culturali della città di New York. Naturalmente, qui a New York, siamo molto fortunati perché abbiamo una scena culturale molto ricca e variegata, con tutti i tipi di organizzazioni piccole e grandi – sperimentali e tradizionali – in ogni disciplina artistica capace di attrarre un pubblico globale. In linea con ciò, una particolare area di lavoro, relativa alle nostre attività di grantmaking, è rappresentata dal sostegno alle piccole e medie organizzazioni culturali che operano nei diversi quartieri della città e che, al contempo, riflettono la nostra società e servono comunità culturali uniche e la diversità della popolazione urbana. Cerchiamo di aiutare queste organizzazioni a costruire la propria capacità istituzionale e ad attrarre un pubblico più vasto, e offriamo anche l'opportunità di realizzare delle residenze d'artista presso il nostro Pocantico Centre, che si trova fuori città nella bellissima comunità di Pocantico Hills. Il Pocantico Centre si trova all'interno dell'ex tenuta della famiglia Rockefeller e ha una straordinaria collezione di opere d'arte e sculture. Qui ospitiamo residenze d'artista in qualsiasi disciplina, dove gli artisti hanno la possibilità di vivere in questo incantevole campus e di creare delle opere nuove. Hanno anche l'opportunità di presentare le loro opere in loco. Questo programma rappresenta una meravigliosa aggiunta alle nostre attività di finanziamento: diamo l'opportunità agli artisti che vivono a New York di lavorare in un bellissimo ambiente naturale, di creare nuove opere, di presentare i loro lavori ancora in corso al di fuori della città, di tornare a New York per continuare a lavorare alle loro opere e poi di presentarle a un pubblico mondiale. Nei due anni in cui stiamo portando avanti questa attività, abbiamo assistito alla creazione di opere davvero straordinarie nei campi della danza, della musica, della scrittura, della poesia, della sceneggiatura e questo è stato molto elettrizzante. Per esempio, una compagnia di danza che abbiamo ospitato in residenza – The Black Iris Project - ha creato una nuova coreografia basata sulla vita di Nelson Mandela in Sud Africa e alcuni mesi dopo la residenza si è esibita in prima mondiale al Kennedy Center di Washington. Questo è un esempio molto bello di come questa opportunità per le persone creative possa funzionare.
Valerie B. Rockefeller: Vorrei aggiungere che l'obiettivo di tutto il nostro lavoro è cercare di dare voce a chi ha bisogno di avere maggiore visibilità all'interno della società. L'arte come espressione umana serve a questo scopo e sosteniamo il processo creativo al fine di offrire agli artisti di colore e sotto-rappresentati l'opportunità di contribuire alla vitalità culturale della città di New York.
Secondo voi, l'arte dovrebbe giocare un ruolo più rilevante nell'educare la società civile rispetto ai cambiamenti climatici e alle conseguenze del riscaldamento globale?
Stephen B. Heintz: Mi fa sempre molto piacere quando gli artisti, in qualsiasi campo, usano la loro energia creativa per richiamare l'attenzione su problemi sociali molto importanti. Ma sono anche molto restio a dire agli artisti di cosa si dovrebbero occupare, perché il processo creativo viene dall'interno e ritengo che sia molto importante per gli artisti vivere esperienze di vita reale e poi esprimere tali esperienze attraverso la loro arte. Chiaramente, il riscaldamento globale riguarda tutti e stiamo vedendo un numero crescente di artisti coinvolti nell'educare il pubblico, nell'ispirarlo e nel comunicare a gran voce l'urgenza di questo problema e penso che questo sia fantastico. Tuttavia, nei nostri programmi di finanziamento non cerchiamo mai di influenzare i contenuti delle opere che i nostri beneficiari e partner stanno creando. Guardiamo solo alla qualità delle loro opere e alla originalità e creatività delle loro proposte e finanziamo ciò che crediamo sia il lavoro creativo più stimolante che si possa trovare.
Viviamo in un periodo di insicurezza caratterizzato dal più alto livello di disuguaglianza tra le persone ricche e il resto della popolazione degli ultimi cinquant'anni. In tale contesto, quali sono le sfide principali che il settore filantropico deve affrontare al giorno d'oggi?
Valerie B. Rockefeller: Vorrei sottolineare che noi guardiamo alla giustizia sociale in una accezione più ampia. Ad esempio, facciamo attenzione all'impatto dei cambiamenti climatici – che è maggiore su coloro che vivono già una situazione problematica rispetto alle persone ricche, che contribuiscono ai cambiamenti climatici – e all'ineguaglianza e alle sue conseguenze sulla democrazia e sulle persone che hanno meno risorse economiche e connessioni più deboli. Questo è il motivo per cui lavoriamo molto per assicurare a ogni singolo individuo il diritto di voto e per sviluppare opportunità economiche a favore delle popolazioni marginali e vulnerabili. Penso che dobbiamo superare la disuguaglianza economica come nostro obiettivo e affrontiamo questa sfida attraverso strategie e approcci diversi.
Stephen B. Heintz: Valerie ha ragione. Infatti, nei prossimi giorni ci sarà un incontro con il Comitato Esecutivo del nostro Board of Trustees e uno dei punti all'ordine del giorno è quello di rivedere – ed io spero – di impostare piccole revisioni rispetto alle linee guida relative alle modalità di finanziamento del nostro programma sulle pratiche democratiche. Una delle revisioni è rendere un po' più esplicite le nostre preoccupazioni sulle disuguaglianze economiche e sulla giustizia etnica. Ovviamente questi due aspetti sono connessi tra loro anche se non sono sinonimi. Questa è una sfida molto interessante per la filantropia, in quanto noi esistiamo quale risultato della disuguaglianza economica, esistiamo grazie alla creazione di grandi ricchezze e al successo di individui e famiglie nelle loro attività economiche. Non intendo in alcun modo sminuire ciò che hanno realizzato, ma allo stesso tempo è un riflesso dell'enorme ricchezza privata e il fatto che una parte di questo capitale confluisca nella filantropia è una cosa estremamente positiva. Tuttavia, tutti noi dobbiamo tenere a mente che la creazione di ricchezza è spesso una condizione che va a svantaggio di altre popolazioni all'interno della nostra società.
Come cittadini americani o europei tendiamo a dare per scontata la democrazia. Ma l'ascesa dei partiti nazionalisti e dei movimenti populisti in tutte le società occidentali sta mettendo a rischio la tenuta dei governi e dei sistemi democratici. Siete preoccupati per il futuro della democrazie negli Stati Uniti e in Europa? Cosa possiamo fare per invertire tale tendenza?
Stephen B. Heintz: Certamente siamo preoccupati per il futuro della democrazia nel nostro Paese. Siamo preoccupati anche per il futuro della democrazia in tutto il mondo come problema di governance globale. Abbiamo bisogno di rendere più democratici, a livello globale, i processi di presa delle decisioni, di risoluzione dei problemi e di gestione dei problemi e con ciò intendo dire più trasparenti, più responsabili e più inclusivi. La mia opinione personale è che la pratica della democrazia, come la conosciamo oggi, è anacronistica: le sfide del XXI Secolo sono sfide che hanno a che fare con il fatto che i sistemi di governance democratica delle origini non sono più adeguati. Abbiamo bisogno di re-inventare e di riformare tali sistemi per poter rendere la governance democratica più efficace, più inclusiva e più giusta. Abbiamo assistito, soprattutto in questo Paese nel corso degli ultimi 40 anni, a un lento processo di erosione della democrazia nel quale forze economiche molto potenti hanno guadagnato un potere sempre crescente, mentre i cittadini perdevano potere in maniera incrementale. Così, oggi, possiamo vedere l'influenza del denaro sulla nostra politica, il potere delle lobby e delle grandi aziende e di altri interessi particolari nei risultati dei processi legislativi. Vediamo che molti cittadini hanno perso spazio nelle istituzioni democratiche e nei processi democratici, perché percepiscono che il loro impegno – la loro partecipazione – ha un impatto molto ridotto e di conseguenza hanno perso la sicurezza, la fiducia e la voglia di agire. Siamo prossimi a una crisi; si tratta di un problema molto serio e c'è molto lavoro da fare per ricostruire la cultura politica democratica su cui si basano le istituzioni democratiche efficaci. C'è molto lavoro da fare per riformare le istituzioni e i processi e questo – secondo me - può accadere solo attraverso una cultura più solida, in cui i cittadini sono realmente impegnati ed efficaci.
Nonostante la volontà della filantropia di assumersi dei rischi, la percezione generale e diffusa è che nella pratica molte fondazioni abbiano un atteggiamento conservatore e che non siano del tutto consapevoli dell'importanza di essere innovative. Secondo voi, quanto è importante per le fondazioni accettare dei rischi?
Valerie B. Rockefeller: Ritengo che noi abbiamo una tradizione unica nell'assumerci dei rischi e sono d'accordo con Stephen quando dice che dobbiamo riflettere molto attentamente sulla disuguaglianza. Ma ciò che possiamo davvero fare è proprio assumerci dei rischi con quel denaro, perché noi non siamo come i politici, i governi o le imprese che devono ottenere voti o fare profitti e si preoccupano sempre troppo di ciò che pensano gli altri. Noi abbiamo una libertà unica e possiamo seguire i nostri valori e le nostre strategie. È esattamente ciò che facciamo e accettiamo molti rischi quando capiamo che possiamo avere un impatto, che si può diffondere al resto della società. Penso che assumersi rischi sia un nostro obbligo morale e se vogliamo essere efficaci nell'utilizzare bene i nostri soldi, dobbiamo pensare molto attentamente ai rischi che ci assumiamo.
Stephen B. Heintz: Valerie dice bene. Crediamo sul serio che assumersi rischi sia uno dei nostri asset e lo facciamo in un modo in cui gli altri non possono nel settore pubblico oppure nel privato: sperimentiamo, cerchiamo idee nuove e qualche volta possiamo anche fallire, ma questo è necessario per trovare soluzioni creative a problemi molto difficili.
Gli Stati Uniti sono visti spesso come un punto di riferimento per il settore filantropico. Quale fondazione americana di lungo periodo, che consigli volete dare alle fondazioni di famiglia italiane?
Stephen B. Heintz: Vorrei dire tre cose, anche se ci sono molti aspetti che tutte le fondazioni devono tenere a mente per fare il proprio lavoro e per svilupparlo per il futuro. In primo luogo, penso che sia essenziale che le fondazioni abbraccino i propri valori e che si confrontino realmente sui valori che guidano il loro agire. Naturalmente, nella filantropia di famiglia, questi valori derivano dai valori delle famiglie ed è importante che ci sia chiarezza rispetto a tali valori e che siano comunicati a tutti coloro che li usano per guidare il lavoro della fondazione. Secondo, la nostra esperienza di quasi 80 anni ci ha insegnato che coinvolgere persone che non appartengono alla famiglia insieme ai membri della famiglia nella gestione delle fondazioni è un modo molto efficace per aumentare la produttività e ottenere ottime performance. Però bisogna assicurarsi che le persone che non appartengono alla famiglia condividano gli stessi valori condivisi dalla famiglia. È necessario coinvolgere persone che possono contribuire al lavoro della fondazione con particolari conoscenze ed esperienze, lavorando in diversi ruoli – come consulenti, come membri dello staff o anche come membri del Board. Nel nostro caso, come ho detto prima, la metà del nostro Board è composta da membri della famiglia Rockefeller mentre l'altro cinquanta percento è dato da membri che non fanno parte della famiglia Rockefeller, ma che con le loro competenze e capacità ci aiutano nel nostro lavoro. La terza cosa che vorrei dire è che è davvero importante stabilire le dimensioni della propria area di interesse, sia essa l'arte e la cultura o l'ambiente o qualsiasi altro campo di interesse. È importante calibrare queste aree e le proprie ambizioni alle dimensioni delle proprie risorse. La filantropia come settore è estremamente piccolo e dobbiamo riconoscere, con umiltà, che non abbiamo tutte le risposte a problemi così grandi. Ma abbiamo alcune risorse che possono aiutare le persone a lavorare sulle soluzioni a tali problemi. Penso che sia importante essere audaci nelle proprie ambizioni, raggiungere obiettivi significativi, cercare nuove idee, sperimentare. Ma bisogna essere anche umili nel proprio approccio, capendo cosa noi e gli altri possiamo portare al processo, con la reale volontà di imparare dagli altri e di imparare dalle esperienze mentre andiamo avanti.
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