Resiliente o imprenditoriale? Per l’editoria, il Laboratorio Formentini
Inaugurato qualche mese fa nel pieno centro di Milano- una città che produce il 38% dei titoli a livello nazionale - uno spazio per la valorizzazione del lavoro editoriale, di tutta la filiera del libro, gestito dalla Fondazione Arnoldo e Aberto Mondadori, frutto di una articolata collaborazione pubblico privato. Dalle prime battute si leggono le potenzialità nel dialogo fra categorie professionali, di formazione diffusa e divulgazione alta nel promuove il libro e la lettura. E i caratteri di una buona gestione
Sappiamo che resilienza è un termine di moda, molto adatto allo spirito dei tempi. Utilizzato nell’ambito della fisica e delle scienze naturali per definire la capacità di un sistema di ritrovare l’equilibrio a fronte di shock esogeni e di affrontare un urto senza rompersi, e in psicologia per spiegare la capacità di reagire positivamente e riorganizzarsi di fronte alle avversità, è stato progressivamente applicato a diversi contesti. E trova in ambito culturale e sociale un utilizzo crescente, al punto da aver portato due ricercatori dell’European Expert Network on Culture (EENC) a pubblicare uno studio all’inizio del 2015 sulla resilienza dei settori culturali e creativi, rilevanti in epoca di crisi per la loro elevata intensità di lavoro. Lo studio riconosce la concentrazione a livello territoriale di questi ambiti e distingue due categorie di contesti lavorativi: da una parte una serie di organizzazioni molto sensibili alla disponibilità di risorse pubbliche e ai cambiamenti nelle politiche culturali dei diversi stati membri, poco resiliente e con poche opportunità di lavoro, soprattutto per personale giovane. Dall’altra parte, lo studio evidenzia un ambito fortemente innovativo e prevalentemente privato caratterizzato invece da elevato dinamismo e da un mercato del lavoro meno formale.
La tesi sostenuta è che le persone che operano in questo secondo tipo di contesti hanno meglio affrontato la crisi rispetto ai colleghi in altri settori, poiché questi ambiti richiedono flessibilità e orientamento al mercato.
In questo articolo metto un po’ in discussione il termine attraverso il caso del laboratorio Formentini e rifletto sulla differenza fra organizzazione resiliente - ossia organizzazione in grado di anticipare cambiamenti strutturali di contesto, adattarsi agli eventi e creare valore duraturo, secondo la definizione comunemente utilizzata – e organizzazione imprenditoriale - ossia organizzazione in grado di individuare sistematicamente opportunità e di creare valore attraverso una capacità trasformativa, quella “distruzione creativa” per la quale Schumpeter, che il termine ha coniato, è noto. L’organizzazione resiliente reagisce ad un contesto sfavorevole e “recupera”. L’organizzazione culturale imprenditoriale è “struttualmente sempre un po’avanti”; capitalizza sulla resilienza per collocarsi su un percorso di capitalizzazione nella trasformazione.
Il Laboratorio Formentini per l’editoria è uno spazio per la valorizzazione del lavoro editoriale che ha sede nel pieno centro di Milano e che è stato inaugurato da qualche mese. La localizzazione è importante, poiché Milano è cluster produttivo di riferimento per la filiera del libro tradizionale e per quelle dei libri e dei contenuti digitali e mercato di riferimento per l’editoria italiana: tanto per dare qualche numero, a Milano ci sono circa 600 marchi editoriali, che producono il 38% dei titoli nazionali, ci sono oltre 200 biblioteche e 280 librerie. E’ quindi il posto giusto per conoscere gli attori del libro, per imparare, per dilettarsi, per approfondire sui mestieri del libro: c’e’ chi ha cose da dire sul tema, e chi trae beneficio diretto per ascoltarle.
Dal punto di vista istituzionale, il laboratorio è il risultato di una articolata collaborazione pubblico privato: gli spazi sono del comune di Milano; la gestione è affidata alla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori che da anni si occupa di promuovere la cultura editoriale e l’”incubatore” dell’iniziativa è Copy in Milan, un progetto articolato di valorizzazione dei mestieri del libro partecipato da Mibact, Centro per il libro e la lettura, Maeci, Regione Lombardia. Un’altra Fondazione, la Cariplo, ha fornito sostegno finanziario, insieme ad una serie di sponsor tecnici: igv_domus (ascensori), MaxMeyer (vernici), Forbo Flooring System (linoleum), Linealight (luci), Saint-Gobain Gyproc (soffitti) Torre Fornello (vino).
Costruita la “scatola”, la dimensione collaborativa si esprime anche nella gestione. Associazioni, enti e soggetti che svolgono iniziative che hanno a che fare con la cultura editoriale (da corsi di aggiornamento a incontri a mostre) trovano nel laboratorio Formentini un luogo in cui i diversi pubblici possono trovarsi: gli operatori professionali (editori, grafici e illustratori, traduttori, editor e agenti letterari) possono incontrare librai, bibliotecari, archivisti, docenti e lettori, che a loro volta possono discorrere con scrittori, poeti, critici, esperti di diritto, tipografi.
In questo modo, il laboratorio costruisce il contesto nel quale contemporaneamente si rende visibile la complessità e la specificità delle filiere del libro, si affrontano i temi in prospettive diverse (culturale, storica, economica…), si facilita il dialogo fra categorie professionali molto specializzate che di solito si parlano poco, si fa formazione diffusa e divulgazione alta e in questo modo si promuove il libro e la lettura. Attraverso il lavoro con gli operatori e i mediatori culturali, il laboratorio progressivamente contamina le diverse categorie professionali - che mantengono la loro specificità – e raggiunge (questa è la speranza e l’augurio) pubblici via via più ampi.
La presenza del contenitore in cui tutto succede favorisce il perseguimento di economie di scala e di raggio d’azione e il raggiungimento quindi della sostenibilità economica.
I meccanismi organizzativi che rendono possibile una gestione efficace di questa rete sono relativamente semplici: coordinamento nell’allocazione di spazi comuni e calendari di attività fitti e ben comunicati, in una spirale di crescita graduale.
Penso che questo progetto abbia i caratteri della buona gestione:
- identifica grappoli di bisogni (di visibilità, di crescita professionale, di trasferimento interdisciplinare di competenze) e nasce per soddisfarli, interpretandoli in modo nuovo, così da interessare potenzialmente pubblici diversi su nuovi denominatori comuni;
- mobilita le risorse occorrenti allo svolgimento dell’attività, anche se per fare questo deve raggiungere una varietà di interlocutori molto ampia;
- è molto attento alle condizioni di equilibrio economico-finanziario in termini di massa critica di attività da svolgere e di ritmi possibili di crescita e di risorse finanziarie disponibili;
- si fonda su un progetto culturale forte, chiaro e attrattivo per diverse categorie di operatori; al tempo stesso lo declina in modo nuovo.
E’ difficile costruire a tavolino un sistema come questo, perché gli interlocutori da far collaborare sono molti e servono tutti. E il tempo necessario per progettare e realizzare una iniziativa come questa è lungo, perché la numerosità degli attori coinvolti e dei mercati che devono essere mobilitati contemporaneamente richiede un lavoro paziente. Ma se la dimensione progettuale si unisce ad un capitale sociale accumulato nel tempo, la complessità del contesto non è fattore scatenante (come nel caso delle organizzazioni resilienti), ma parte costitutiva di un modo di intendere il progetto culturale: imprenditoriale per natura.
Paola Dubini
Associate Professor - Department of Management and Technology Director - CLEACC (Corso di Laurea in Economia per le Arti, la Cultura e la comunicazione) Bocconi Arts Campus
www.ask.unibocconi.it
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