Recupero del territorio, del costruito e housing sociale: le azioni delle Fondazioni
Compagnia di San Paolo
1. Quali azioni sono state, o saranno, intraprese per trasformare il territorio, recuperare il costruito e per l’housing sociale?
La Compagnia di San Paolo segue con molta attenzione il recupero del territorio in cui opera, in prevalenza il Piemonte, per le ricadute sulla stabilità sociale e sullo sviluppo delle persone che vi abitano. Il Programma Housing, iniziato nel 2006, ha visto uno stanziamento di 6 milioni nel quadriennio 2008- 2012. Obiettivo sono lo studio e l’attivazione d’interventi sperimentali con soluzioni abitative innovative destinate a persone in condizione di fragilità.
Prevede inoltre la ristrutturazione di due stabili a Porta Palazzo e nel quartiere di San Salvario, destinati a residenze sociali temporanee in aiuto di chi non riesce più a pagare il canone di locazione o le rate del mutuo. Oltre a mirare a ridurre l’impatto di problemi contingenti, intende favorire le condizioni per un’abitudine mentale alla solidarietà e all’accoglienza, con il sostegno a progetti come il co-housing tra giovani (progetto Stessopiano) o i condomini solidali.
Non è trascurabile il contributo e lo stimolo che il Programma offre all’analisi e al dibattito tra tutti i soggetti che in città si occupano di politiche abitative. Oltre a ciò, il Programma Housing si affida a progetti che non solo coniughino funzionalità e bellezza, ma impieghino anche tecnologie avanzate per il risparmio energetico e l’ecocompatibilità. La Compagnia è inoltre impegnata, con 25 milioni, nel Fondo Abitare Sostenibile Piemonte (Fasp), un fondo d’investimento immobiliare per l’housing sociale a cui partecipano altre otto fondazioni piemontesi. In primavera è stato deliberato l’acquisto di un immobile a Porta Palazzo, da destinare per il 70% alla locazione a lungo termine (20 anni) a canone calmierato con un investimento di poco più di 13 milioni.
2. In questo periodo di crisi, quali meccanismi permettono di reperire le risorse per realizzare, garantendo una remuneratività, i progetti in programma?
Compagnia di San Paolo non ha tra gli obiettivi primari la ricerca della remuneratività degli investimenti così come intesa da chi opera in una situazione di mercato. Con questa premessa, ogni investimento, dall’erogazione per un progetto o un intervento a livello patrimoniale, deve però avere una redditività adeguata, valutata secondo criteri che attengono al mondo delle fondazioni.
Nel caso del sostegno a progetti ed enti, la redditività è principalmente funzione della ricaduta sullo sviluppo e sulla crescita del territorio.
Quando si tratta invece di gestione patrimoniale, è oggetto di grande attenzione, tanto più nel difficilissimo contesto attuale, considerato che l’obiettivo di lungo termine è conservare il valore reale del patrimonio e possibilmente incrementarlo, a favore delle future generazioni così come è stato preservato e trasmesso nei 450 anni di storia della Compagnia (che ricorrono l’anno prossimo). La Compagnia ha aggiunto una nuova componente di gestione del portafoglio strategico tramite investimenti legati agli obiettivi istituzionali (Mission-related investiment). Sono investimenti in progetti che insistono sul territorio in modo strutturale e hanno regole chiare: devono essere coerenti con le strategie e le finalità istituzionali, prevedere un rendimento potenziale netto positivo, presentare un livello di rischio pari a quello adottato per altri investimenti della Compagnia e una liquidabilità agevole a fine investimento. Il Fasp è uno di questi esempi, in cui è stato possibile stanziare 25 milioni, altrimenti difficili con il solo strumento erogativo.
Fondazione Crt
1. Quali azioni sono state, o saranno, intraprese per trasformare il territorio, recuperare il costruito e per l’housing sociale?
Abbiamo dato avvio a un filone d’investimenti di natura sociale nel 2007, quando si è costituita la Fondazione Sviluppo e crescita - Crt che, insieme al fondo italiano di venture capital sociale Oltre Venture, ha dato vita a Ivrea 24 abitare sostenibile spa per convertire in residenza temporanea e albergo sociale un ex immobile delle Poste in un quartiere problematico alla periferia nord di Torino. Realizzato in tempi rapidi e gestito da Oltre Venture e D.O.C. attraverso Sharing srl, la struttura offre oggi 122 unità residenziali, 58 camere a uso hotel, servizi sanitari, di promozione sociale e spazi commerciali. L’investimento Crt è stato oltre 13 milioni, il 90% del complessivo. Le iniziative di housing sociale, è necessario sottolineare, hanno bisogno di competenze specifiche, che siano in grado di gestire il finanziamento e il servizio alla collettività.
Grazie all’esperienza dei soggetti coinvolti, Ivrea 24 ha contribuito alla riqualificazione dell’intera zona e ha dato una redditività lorda di poco inferiore al 4%. Confluirà inoltre nel Fondo d’investimento «Social and Human Purpose» di Ream (società di gestione del risparmio di cui Fondazione Crt è fra i principali azionisti), che permetterà il rientro del capitale investito per l’avvio di nuove iniziative. Ivrea 24 è pertanto un esperimento di venture philanthropy in cui le risorse generate dagli affitti, calmierati, consentiranno il reinvestimento in operazioni della stessa natura, dando auspicabilmente avvio a un circolo virtuoso. Sviluppo e crescita ha inoltre investito 5 milioni nel fondo Fasp, che ha cominciato quest’anno ad avviare operazioni di housing sociale a Torino e nel territorio regionale.
2. In questo periodo di crisi, quali meccanismi permettono di reperire le risorse per realizzare, garantendo una remuneratività, i progetti in programma?
Nel contesto attuale la remuneratività dei capitali è bassa anche in altri tipi d’investimento. È d’altronde negli obiettivi per cui è stata realizzata Sviluppo e crescita l’essere «investitori miti», volendo puntare su ritorni anche bassi e di lungo periodo, ma in un’ottica di maturazione e crescita del territorio e di conservazione e rigenerazione del capitale iniziale. L’esperienza fatta dice che per ottenere risultati sociali credibili - canoni d’affitto più bassi e interventi sostenibili - è necessario che la redditività sia di poco superiore al tasso d’inflazione annuo e ciò rende difficile il reperimento dei capitali.
L’housing sociale è un tipo d’investimento che non può mirare all’elevato rendimento a breve, ma alla sostenibilità economica e al rendimento certo a medio lungo termine.
Può garantire investimenti a redditi contenuti e con basso profilo di rischio grazie ai soggetti coinvolti (CDP che sta operando su questo modello e fondazioni bancarie) e alla sua finalità nel mercato dell’affitto. A luglio il presidente del Consiglio Mario Monti ha inoltre eliminato il tetto massimo del 40% alla partecipazione del Fondo investimento abitare ai fondi locali per il social housing, consentendo maggiori possibilità ai progetti «buoni» che hanno difficoltà a trovare altri investitori. È auspicabile, e necessario, che la remunerazione minima delle risorse di CDP, ora al 3% più inflazione, scenda almeno al 2% per consentire agli interventi «buoni» di avere un’adeguata valenza sociale, contenendo i prezzi di locazione e la redditività.
Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
1. Quali azioni sono state, o saranno, intraprese per trasformare il territorio, recuperare il costruito e per l’housing sociale?
Per definizione i progetti di edilizia sociale hanno un orizzonte più ampio rispetto alla realizzazione della singola residenza e la progettazione comprende necessariamente, fin dalle prime elaborazioni, appositi spazi dedicati a servizi locali per una buona integrazione con il contesto urbano in cui l’intervento andrà a collocarsi. L’attenzione alle esigenze del quartiere, una pluralità di funzioni a servizio pubblico, il favorire la nascita di una comunità equilibrata contribuiscono a rafforzare il valore del singolo progetto nel tempo, elemento fondamentale per gli investimenti nell’abitare sociale finanziati con risorse private che devono comunque garantire un rendimento, per quanto etico esso sia. Passando dalla teoria alla pratica è utile portare l’esempio del primo investimento realizzato dal Fasp che prevede la riqualificazione di un edificio storico nel cuore del centro di Torino, a Porta Palazzo. Si tratta del recupero di un immobile in un contesto di rigenerazione urbana che coinvolge tutti gli operatori presenti sul territorio, dall’ente pubblico impegnato nella pianificazione dello sviluppo dell’area nel lungo periodo, all’associazionismo e agli attori del privato sociale. Tra i progetti di housing sociale in avanzata fase di analisi da parte del Fondo, molti hanno caratteristiche simili e prevedono la riqualificazione dell’esistente.
L’impostazione consente di dare risposte concrete a un’esigenza sociale primaria, che è quella del diritto alla casa, riqualificando il territorio senza consumo di suolo. Non sono esclusi e, anzi, seguiranno anche progetti su green field che, operando sul nuovo, offrono la possibilità di un utilizzo di tecniche costruttive improntate alla massima sostenibilità ambientale, costi di gestione contenuti e, di conseguenza, prestazioni sociali elevate.
2. In questo periodo di crisi, quali meccanismi permettono di reperire le risorse per realizzare, garantendo una remuneratività, i progetti in programma?
Risorse per realizzare i progetti di abitare sociale sono in via di reperimento attraverso il concorso delle Fondazioni, delle Regioni e di altri enti pubblici, a cui si andrà a sommare l’apporto importante del Fondo Investimenti per l’Abitare che opera su una scala nazionale.
Senza avere la pretesa di operare un ruolo sostitutivo dell’edilizia sociale pubblica, si tratta comunque di risorse importanti che si stanno allocando su progetti concreti.
Nella fase in cui ci troviamo, il ragionamento deve essere focalizzato su come impiegare quanto raccolto. Il tema della remuneratività è una questione cruciale con cui ci stiamo confrontando anche nel territorio di riferimento della Fondazione. L’housing sociale privato è nato in funzione delle caratteristiche di un contesto metropolitano dove condizioni di mercato più favorevoli e prezzi della locazione e della vendita più alti e più stabili nel tempo consentono di contemperare la volontà di offrire alloggi a canone calmierato con l’esigenza di redditività dei fondi.
Allontanandosi dalla città alla provincia il sentiero del mercato si fa più stretto ma non per questo siamo disposti a rinunciare alla sfida di declinare l’abitare sociale in una realtà di provincia dove il mercato sarà magari meno favorevole ma l’esigenza di abitazioni sociali è in crescita.
In provincia ci si confronta anche con altri problemi, che complicano il quadro e riducono le possibilità di investimento. Aree e immobili che potrebbero essere apportati ai fondi sono in carico a prezzi anticrisi generando oggettive difficoltà di negoziazione, la dimensione ridotta degli interventi impedisce di realizzare adeguate economie di scala e l’uscita dall’investimento al termine del progetto non è sempre facilmente pianificabile. In questo quadro è fondamentale il contributo che gli enti locali possono dare nel costruire le condizioni per fare edilizia sociale. Rinunciare, dove possibile, ad alcuni oneri di urbanizzazione, mettere a disposizione spazi e apportare immobili consente l’investimento, con la conseguenza non trascurabile di far muovere l’economia, e consente di offrire soluzioni alla questione dell’abitare, considerando che più sono bassi i costi, maggiore sarà la qualità della prestazione sociale erogabile.
Fondazione Housing Sociale
1. Quali azioni sono state, o saranno, intraprese per trasformare il territorio, recuperare il costruito e per l’housing sociale?
Oggi è possibile recuperare l’esistente: grazie ai nuovi strumenti urbanistici, alla riduzione dei costi di ristrutturazione e alla rinnovata attenzione della pubblica amministrazione.
Un esempio è Abit@giovani, un progetto di housing sociale diffuso che si propone di realizzare, partendo da patrimonio esistente su cui intervenire, sul territorio milanese 1.000 alloggi distribuiti per nuclei di prossimità. La prima fase del progetto, che si rivolge a giovani con età inferiore ai 35 anni, è costituita da circa 210 unità rese disponibili da Aler. Vuole allargare le prospettive e ricollocare la casa nella più ampia dimensione collettiva della vita del condominio, del quartiere e della città, perché l’abitazione non è soltanto una questione edilizia: è un bene fondamentale ed è, assieme al lavoro, una condizione di partenza per poter fare progetti, costruire relazioni e alleanze, sviluppare il tessuto sociale. Per questo motivo Abit@giovani non propone soltanto case a costi contenuti, ma intende accompagnare i nuovi insediamenti con servizi e progetti di promozione lavorativa e di cooperazione sociale, pensati insieme agli abitanti e integrati nella rete sociale esistente per amplificarne l’efficacia e l’estensione. Il progetto intende offrire alloggi in affitto a canone calmierato (400 euro al mese per 70 mq) per un periodo di 8 anni (4+4), o tramite la formula dell’affitto/acquisto, che prevede l’acquisto dell’alloggio da perfezionare a partire dal quinto ed entro l’ottavo anno di locazione (470 euro per 70 mq). Questo è un esempio di recupero dell’esistente e di buona collaborazione tra il pubblico (Alere Regione Lombardia) e il privato (Polaris e Fondo immobiliare di Lombardia).
2. In questo periodo di crisi, quali meccanismi permettono di reperire le risorse per realizzare, garantendo una remuneratività, i progetti in programma?
È in atto un importante processo di cambiamento nel mercato immobiliare e nella pubblica amministrazione, che passa inevitabilmente per la messa in discussione di molte delle regole e prassi finora adottate per l’edilizia residenziale. La risposta a un bisogno, difficilmente affrontabile in queste condizioni economiche, sta portando al ripensamento della struttura di base attraverso la quale erogare il «servizio della casa». Questo cambiamento, fatto di riflessioni ma anche di tentativi, ci fa intravedere molte possibilità che potrebbero finalmente far emergere nuovi strumenti efficaci e chiari per rispondere alla domanda di locazione permanente, che oggi è la più urgente. Sicuramente lo sviluppo della partnership tra pubblico e privato e tra le istituzioni è una delle strade che può consentire, per esempio, di aumentare la prestazione sociale attraverso l’intervento del pubblico. Oppure la possibilità di sfruttare la leva urbanistica e quella patrimoniale in un processo di valorizzazione della fondiaria e di cessione di beni. Questi sono solo alcuni esempi che però devono sempre essere immaginati a partire dal progetto e dalla collaborazione, indispensabile oggi, con il pubblico e gli enti.
Carisbo
1. Quali azioni sono state, o saranno, intraprese per trasformare il territorio, recuperare il costruito e per l’housing sociale?
Recuperare il costruito è un vecchio problema, che influisce sulla trasformazione del territorio e può influire sull’housing sociale. Finora è stato fatto troppo poco, a causa delle caratteristiche dell’industria edilizia nazionale, ma anche dei comportamenti dei Comuni e delle Regioni. Restaurare un edificio medievale o del Settecento o dell’Ottocento è più costoso rispetto alla costruzione ex novo, ma se all’interesse dei soggetti privati si sommano quello pubblico, la preservazione della qualità e il mancato consumo del territorio, ciò ben compensa l’onere che c’è. In questo senso lo Stato può intervenire con detassazioni e contribuiti, che diventano agevolazioni significative se gli interventi sono rivolti alla conservazione del costruito, anche recente (per cui devono essere soddisfatte esigenze energetiche e di sicurezza). A patto che le imprese si trasformino. Interventi di questo genere possono portare all’utilizzo di edifici esistenti, che possono poi essere gestiti per l’housing sociale, e consentire una possibilità, se non di guadagno, almeno di pareggio a chi si rende disponibile.
Agli inizi degli anni 2000 la Fondazione ha finanziato la costruzione di un numero notevole di appartamenti a condizioni favorevoli, vero e proprio housing sociale, e ha realizzato un intervento che ha portato molte decine di abitazioni in almeno cinque Comuni nella cintura di Bologna, inaugurate nel 2003. In alcuni casi però, a partire dal capoluogo, non abbiamo potuto spendere cifre ingenti (l’intero intervento era di almeno 2 milioni di euro) perché non abbiamo trovato terreni da valorizzare con l’housing sociale. Per il futuro, siamo disponibili a dare il nostro contributo attraverso iniziative che partono anche da parte di soggetti con alte capacità di investimento, come CDP, ma né la legislazione
statale né quella regionale favoriscono questo tipo di investimento.
2. In questo periodo di crisi, quali meccanismi permettono di reperire le risorse per realizzare, garantendo una remuneratività, i progetti in programma?
Le risorse devono provenire da investitori o finanziatori istituzionali, come CDP, e devono essere resi disponibili i terreni con l’iter che porta all’edificabilità completato e garantito.
E deve esserci una forte regia, che tutto programma attraverso piani di vario tipo.
In Emilia-Romagna sono procedure complesse. A Bologna tutti attendono piani che poi possano consentire di fare proposte su cui si faranno altri piani che alla fine porteranno a costruire. E poi c’è la remuneratività, per cui occorre che lo Stato, le Regioni e i Comuni, ognuno nelle rispettive competenze, individuino procedure che garantiscano un giusto compenso a chi è disposto a fare attività di questo genere.
L’utenza c’è in alcune città e meno in altre, ma questa è una questione di mercato che può risolta dai singoli operatori di questo settore.
CariForlì
1. Quali azioni sono state, o saranno, intraprese per trasformare il territorio, recuperare il costruito e per l’housing sociale?
Premesso che più che a trasformare il territorio il nostro impegno è rivolto a valorizzare, anche attraverso la rifunzionalizzazione, i manufatti architettonici, ritengo opportuno segnalare soprattutto le azioni rivolte all’housing sociale. A partire dal 2007, la Fondazione ha, infatti, riservato un’attenzione crescente a questo tema, sia sostenendo i progetti elaborati dal mondo della cooperazione sociale, sia impegnandosi in prima persona in progetti di particolare rilievo. Ne sono esempio, da una parte, il Villaggio Mafalda (complesso residenziale condiviso da madri in difficoltà, neo maggiorenni e persone in situazione di bisogno con famiglie d’appoggio che offrono loro accoglienza e supporto) e il Villaggio della Gioia (composto da 4 case-famiglia e 13 minialloggi per famiglie in difficoltà) e, dall’altra, il progetto «Territori dell’accoglienza», grazie al quale sono in fase di ultimazione 89 alloggi (capaci di ospitare fino a 284 persone) in 8 diversi Comuni del territorio. Sulla scorta di questa esperienza, si è colta l’opportunità di aderire al costituendo Fondo di Housing Sociale della regione Emilia-Romagna, col cui apporto si sta valutando l’opportunità di dare seguito e tre nuovi progetti nel comune capoluogo (destinando parte dell’ex Hotel Universal a residenza sociale e parte ad attività commerciali di vicinato), a Meldola (riqualificando un immobile dell’Istituto San Giuseppe ad uso foresteria per gli utenti dell’adiacente struttura di ricerca e cura oncologica, l’Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori) e a Rocca San Casciano (ricavando dall’ex residenza sanitaria una struttura a servizio della Polizia stradale ed una dedicata alla residenza sociale).
2. In questo periodo di crisi, quali meccanismi permettono di reperire le risorse per realizzare, garantendo una remuneratività, i progetti in programma?
La risposta è insita nello statuto stesso delle Fondazioni, nel richiamo alla loro missione sociale contenuto nell’articolo 118 della Costituzione laddove Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni sono chiamate a favorire «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà», una sussidiarietà che deve esplicarsi sul duplice piano della verticalità e dell’orizzontalità. Mi rifaccio all’esempio dei tre progetti che stiamo portando avanti in questi mesi e in particolar modo alla riqualificazione dell’Istituto San Giuseppe, in cui le risorse necessarie all’attuazione vedono l’impegno convergente della Fondazione, delle amministrazioni comunali e del Fondo di Housing Sociale, che è
gestito da Polaris sgr e conta sull’apporto di risorse patrimoniali da parte delle sei Fondazioni promotrici, oltre che dall’apposito fondo costituito da CDP in virtù del Piano Casa nazionale. Un esempio virtuoso di sinergia tra istituzioni locali e tra istituzioni locali e nazionali, che risponde alla loro capacità di visione strategica, ma che trova ragione anche nell’imperativo categorico del «fare sistema» dettato dalla perdurante crisi economica.
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da Il Giornale dell'Architettura, Numero 111, dicembre 2012 - SPECIALE URBANPROMO