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Privatizzazioni, un dibattito aperto

  • Pubblicato il: 28/09/2012 - 15:28
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Il cortile dell'Accademia di Brera

Le privatizzazioni sono tra i temi caldi dell’agenda politica della nuova stagione che si è aperta. Non potrà non toccare la cultura.
Partiamo dal dibattito che si è acceso con il decreto sviluppo per la gestione di Brera, per un ragionamento sull’agognata cooperazione tra pubblico e privato.
Un parere autorevole, quello di Francesco Florian, professore alla Cattolica in Milano, dello storico studio notarile al quale si attribuisce la paternità delle fondazioni di partecipazione.

Non tutti i percorsi di privatizzazione- sia del mondo industriale che culturale- hanno dato gli esiti sperati, proprio per la concentrazione, forse, più sul veicolo giuridico che sulla reale strategia.
Brera può rappresentare un paradigma, perché apre una traiettoria di gestione del patrimonio culturale italiano, dei grandi musei, da sempre appannaggio del pubblico, ai privati. Mi sembra comunque difficile sostenere che tecnicamente si stia parlando di privatizzazioni.
Dalla lettura attenta dell’articolo 8, con i riferimenti espliciti al decreto 27 novembre 2001 491 che disciplina la modalità di costituzione di intervento del Ministero in fondazioni, non si può parlare né di svendita né di privatizzazione. L’impostazione è nuova perché non prevede più un ente gestore totalmente statale ed eventualmente una struttura per il coinvolgimento dei privati a latere - e qui tutta l'esperienza dell'associazionismo degli enti "amici del museo" - ma contempla  un ingresso del privato nella struttura chiamata alla gestione del museo, direttamente all'interno dell'ente.

Quali le garanzie che il patrimonio artistico e architettonico non venga messo nelle mani dello sceicchi del Qatar, che ha 60 miliardi di euro da spendere?
La fondazione che ha in mente il Ministro, e che ormai è legge e nascerà, è costituita ai sensi del dl 491, il che  significa che non c'è conferimento, dismissione  di proprietà alcuna alla fondazione. ll patrimonio artistico e immobiliare (rectius: il suo uso) viene conferito ad un fondo di dotazione  inalienabile.
I beni mobili, immobili, le collezioni passeranno alla fondazione tramite un conferimento d'uso. L’attribuzione al fondo di dotazione rende difficile persino il pignoramento e anche la sub-gestione. L’uso deve essere della fondazione.
Il Ministero è l'unico fondatore. Ci  sarà l’ingresso degli enti territoriali in qualità di promotori,  anch'essi soggetti pubblici che,  anche se  in una fondazione di diritto privato, non abdicano alla loro funzione pubblica. I privati penso saranno prevalentemente   istituzionali (come la Camera di Commercio, la Fondazione Cariplo) e contribuiranno in modo  non inferiore al  Ministero.
In questo tipo di struttura di fondazione aperta, partecipata conta molto come viene redatto lo statuto.

E i controlli?
Il Ministero ha un ruolo di vigilanza e la fondazione, che ha personalità giuridica è sottoposta alla vigilanza della prefettura e del Ministero. Il conferimento d'uso di un bene vincolato deve sempre essere autorizzato dalla Direzione Regionale dei Beni Culturali, che  può anche dettare le condizioni di utilizzo. Questo controllo esterno è un argine ad eventuali interpretazioni disinvolte della gestione.
Ora, potremmo ragionare sull'efficacia reale del controllo, ma non si può dire che non ci sia il telaio normativo o di istituzioni competenti.
Come al solito però sia il controllo, sia gli enti camminano sulle gambe degli uomini, per cui bisogna poi vedere come  viene esercitato realmente.

Un grande patrimonio, da conservare e gestire. Ma la fondazione come potrà essere sostenibile?
Da questo punto di vista offre più garanzie di flessibilità dello Stato, ma il  punto è proprio come suscitare l'appetibilità per i privati. Ad oggi potrebbero salire a bordo grandi imprese per l’innescarsi di un meccanismo del tipo «non posso non esserci». Devo dire che ogni volta che ho seguito esperienze pubblico-private, nel momento in cui un'azienda decide di entrare nella fondazione di un teatro o di un museo cittadino, per fare un esempio,  di proprietà del Comune, o del museo civico, sa fin dall'inizio che i ruoli sono diversi.

Quali strumenti si prospettano alternativi alla fondazione di partecipazione?
A mio avviso pochi. Non è una questione di innamoramento dello strumento.
La scelta a monte è tra strumenti di diritto pubblico o strumenti di diritto privato, ovvero previsti dal codice civile. Non è la pubblica amministrazione a privatizzarsi, ma  accede al sistema contrattuale privatistico.
Se lo strumento è di diritto pubblico lo Stato gestisce il bene direttamente o in modo mediato, creando strutture di supporto, come un'azienda speciale, piuttosto che un'istituzione e tiene il privato fuori. Quindi una sorta di doppio binario. Escluderei società miste e i consorzi, avendo visto i risultati che hanno dato.
Se si accede a strumenti di diritto privato, occorre assicurarsi che vengano garantiti due aspetti: stabilità nei controlli e nelle finalità. Sotto questi profili la fondazione, ora come ora è sicuramente l'ente più vantaggioso, perché per esistere deve avere la personalità giuridica, il che significa che deve esserci un patrimonio - finché l'ente vive – perennemente destinato ad uno scopo, che non può essere distolto per altri fini. Uno scopo immutabile. Patrimonio e scopo sono le garanzie. Sullo scopo, sia l'autorità di vigilanza, sia - nel caso di Brera - il comitato scientifico, possono valutare la coerenza delle delibere del consiglio di gestione.
E poi la fondazione deve essere riconosciuta, deve avere il «patentino» da parte di prefetture o regioni. Le associazioni, ad esempio, non devono essere provviste di personalità giuridica, essendo la forma dell’associazione non riconosciuta quella costituzionalmente Prevista e protetta: la personalità giuridica è un di piu’ (senza contar del fatto che lo scopo è «mutabile»)
I dubbi legittimi che si sollevano è che la  fondazione possa essere «uno strumento ponte», tra la gestione attuale e una data in concessione a terzi, sulla base di un dato di fatto incontrovertibile e cioè che lo Stato ha un problema di risorse nel mantenere il patrimonio, a prescindere da un'evoluzione indispensabile del sistema - che c'è anche un problema di risorse per mantenere questi gioielli.

Un altro tema della governance di una fondazione è dato dal meccanismo di nomine.
Questo è il punto, il profilo dell’alta selezione.– Come diceva Orazio «Est modus in rebus», abbiamo visto  manager eccezionali nella  gestione di una s.p.a. come  manager pubblici straordinari nel gestire servizi di trasporto, piuttosto che società municipalizzate.
Per la cultura occorrono competenze imprescindibili.
Posso  dotare l'ente  di tre anime tutte attente e preparate: una  pubblica, una privata e soggetti che fungono da mediatori anche attraverso  un consiglio di indirizzo,
Il punto di attenzione è  mantenere  la finalità pubblica in un clima gestionale che è pubblico-privato.

L'altro grande allarme accesso è la destinazione delle risorse umane, passando da  da un regime di gestione pubblico ad un regime privatistico. Nel  caso del museo Egizio di Torino o della Fondazione Torino Musei, il passaggio dai Musei Civici a Palazzo Madama è avvenuto dando un’opzione ai dipendenti sul contesto da scegliere. Molti sono rimasti al pubblico. Questo, su vasta scala è un problema non banale.
Soprattutto in un momento delicato congiunturalmente come l’attuale. Sono operazioni che risentono dello stato di salute del Paese. Rimanendo su Brera, nella scrittura dell'articolo sul  personale si può scrivere in molti modi. In sede di prima applicazione si può prevedere  una formula più garantista, immediata, perché il decreto dà la cornice entro cui si deve muovere lo statuto. La  fondazione è uno strumento e non un contenitore. Debbono essere chiari strategia e contenuti.

Ma proprio non ci sono rischi?
Considerando le violazioni del rispetto e del senso comune del nostro Paese, vanno posti ex ante tutti gli elementi garantisti affinché  una via che sta a cavallo tra la gestione pubblica e  privata, sia mantenuta  in ambito strumentale alla pubblica fruizione  e non di  mero sfruttamento del bene.
Dall'altro lato, una gestione solo pubblica non è più possibile. È inutile anche mettersi a discutere su cosa sarebbe meglio. Sicuramente la scelta su Brera  se non altro smuove la materia e si faranno gli approfondimenti necessari. Secondo me è stato corretto il riferimento a questo tipo di fondazione.   Bisogna uscire dall’impasse. Non possiamo stare lì a guardare.

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