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#PoliticaProStartup – todo me parece bonito

  • Pubblicato il: 01/03/2013 - 10:21
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Gian Gavino Pazzola

Corriere Innovazione, nuova realtà editoriale dedicata alle idee imprenditoriali in campo dell’innovazione, ha promosso insieme a Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici del Veneto l’incontro #PoliticaProStartup. Svoltosi a Padova il 19 febbraio, #PoliticaProStartup è un confronto tra giovani imprenditori e candidati alle elezioni di tutti gli schieramenti sulle politiche dell’Innovazione necessarie in Italia.
Giovani e determinati a lanciare una sfida al futuro, in collegamento internet dai loro luoghi di produzione, gli uni, interessati e disponibili, gli altri. Gli startupper di H-Farm (Roncade) e del Talent Garden (Padova), gli scienziati di M31 (Padova), insieme al venture capitalist Stefano Bernardi dalla Silicon Valley hanno incalzato i candidati sui temi più caldi, per non abbandonare il percorso iniziato con il Decreto Sviluppo, e tracciare una nuova prospettiva per tanti futuri imprenditori. Avanzati e tecnologici.

L’identikit dell’ innovatore ideale è impersonata dal ventiseienne Stefano Bernardi, autore di un documento che focalizza le criticità del sistema Italia per lo sviluppo delle startup d’azienda e evidenzia «come dimostrato da diversi studi e ricerche, che le startup innovative creano più lavoro di quanto ne distruggono». Non ci deve meravigliare che l’Italia sia indietro ai competitor internazionali. Dopo aver lasciato Milano alla volta degli States, Bernardi ha aiutato a lanciare la startup Betable e, nel tempo libero, gestisce un gruppo su Facebook con più di 10.000 iscritti su startup ed innovazione – oltre a scommettere su idee imprenditoriali nostrane. Nonostante la giovane età, conosce i problemi degli imprenditori e, avendo vissuto altre realtà estere, cerca di proporre pensiero e soluzioni per il cambiamento. Il ministro Passera e il Decreto Sviluppo hanno spinto verso le startup, ma con piccoli miglioramenti che rischiano di rimanere marginali se non vengono seguiti da azioni mirate e concrete.
Sono tre i punti cruciali della proposta: riforma del sistema societario, riforma della burocrazia e della fiscalità IVA.
I suggerimenti sono chiari e operativi, come istituire un fondo di fondi per private equity e venture capital, con dotazione evergreen e allocazione stabilita a priori (% per PE, % per seed, % per tech, etc.) e l’obbligo per INPS (ed altri fondi para-istituzionali) ad investire il 3% dei loro asset liquidi in venture capital, per sopperire al grande handicap della mancanza di investimenti.
Per riformare la burocrazia e i veicoli societari, viene suggerita la creazione di un nuovo veicolo societario modellato sulle C Corporations statunitensi, che abbia la possibilità di creare diverse tipologie di classi azionarie e di dare opzioni e «restricted stock units». Per queste tipologie societarie non dovrebbe esser previsto alcun obbligo notarile.
Seguendo la casistica americana, viene proposta l’abolizione della partita Iva, degli obblighi burocratici sulle fatture (numero sequenziale, bolli, etc.) e avanzato un nuovo iter di emissione delle fatture di vendita, pagamento e dichiarazione.
La fattura dovrebbe essere emessa specificando un termine ultimo di pagamento, essere accettata da parte dell’acquirente e – in caso di mancata quietanza – gravata dell’obbligo di  interesse per il ritardo nel pagamento stesso. Qualora il debito fosse saldato entro la data indicata, il tutto sarebbe registrato in un database gestionale che aggiornerebbe la situazione economica aziendale. In caso contrario, il venditore consegnerebbe la fattura all’agenzia delle entrate o un nuovo ente specifico, che si farebbe carico del pagamento e rivarrebbe sull’acquirente moroso.  Novità anche per la dichiarazione dei redditi annuale, che prevedrebbe l’impossibilità di eliminare un costo lordo nel caso non si giustificasse un pagamento per mezzo di fattura, incentivandone e semplificandone la diffusione di emissione.
Per quanto riguarda la tassazione sul lavoro, la proposta forte è la drastica diminuzione del costo del lavoro per le aziende che assumono, le quali sarebbero tassate con metodi incrementali e progressivi (es. primo anno 0% sul lordo, secondo anno 5% etc. senza mai toccare i livelli attuali). Si chiede inoltre di assumere in maniera flessibile, con contratti a tempo-indeterminato «at will» e con ammortizzatori sociali a carico dello Stato e non delle aziende, se non per un breve periodo dopo il licenziamento.

L’analisi dei livelli di innovazione passa anche per una critica immanente sul sistema formativo nazionale, dove troviamo un’università che blocca la possibilità di fare esperienza e trattiene gli studenti troppo a lungo al suo interno. Una nuova «laurea di 4 anni, combinata, con metà del percorso a scelta» sarebbe la ricetta ideale. Propongono «un focus non sul superare gli esami, ma su un progetto pratico che deve essere completato prima della fine del corso di studi. Base di economia manageriale, hr, management, imprenditoria obbligatoria per tutti e poi verticali specifici su ogni materia, a scelta». Poi sono previsti anche master o specialistiche, per chi li vuole fare, ma non sono vincolanti.

Il mondo delle nuove imprese viaggia a una velocità supersonica, ma chi sarà capace di lavorare su questi temi senza agitare la bandierina del proprio partito? Know-how e consapevolezza dell’argomento sono vitali. Poi verranno i provvedimenti, sperando non servano altri appelli.

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