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Obama-Romney è una docufiction

  • Pubblicato il: 19/10/2012 - 10:06
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NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Jenny Dogliani
Republican Party National Convention. Young Republicans. Detroit

Torino. All’avvicinarsi del countdown delle elezioni presidenziali degli Usa, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo analizza attraverso 8 artisti, provenienti da Europa, Stati Uniti e Medioriente, gli aspetti che caratterizzano la corsa alla Casa Bianca. «For President»fino al 6 gennaio, presenta video, dipinti e installazioni di Francesco Vezzoli, TVTV, Jonathan Horowitz, Ramak Fazel e Max Almy, accanto agli scatti di 27 fotografi dell’agenzia Magnum Photo, documentando strategie mediatiche, aspetti teatrali ed emotivi delle campagne elettorali da John Kennedy a oggi. Un progetto inedito firmato da Mario CalabresiFrancesco Bonami, che racconta alcuni retroscena.
Francesco Bonami, la mostra nasce in collaborazione tra lei, curatore, e Calabresi, direttore del quotidiano «La Stampa». In che cosa si differenziano e come si legano i vostri approcci?
L’idea della mostra è venuta a Mario Calabresi e da lì siamo partiti per una conversazione che ha partorito la trama della rassegna, cui ha contribuito anche Irene Calderoni. L’approccio di Calabresi è quello del giornalista, abituato a guardare un’immagine per il suo valore d’informazione e documentazione. Credo che per lui la bellezza di un’immagine derivi dal potere evocativo di un evento, un fatto, un’esperienza diretta. Per me, curatore di arte contemporanea, più l’immagine è interpretata, trasformata e rappresentata, più funziona come «vera» opera d’arte. Attraverso due approcci «polarizzati» si è arrivati a creare una tensione molto interessante nella mostra. Come se si fosse fatto un montaggio di una fiction con un documentario, che però parlano della stessa cosa.
Ci sono differenze tra artisti americani e non?
Certo. Gli americani, artisti o no, sanno raccontare storie molto private alle quali danno un respiro universale. Pensate al racconto stesso delle primarie o delle presidenziali, dove i programmi politici si mescolano ad aneddoti o esperienze molto personali, trasformando quella che da noi è una noiosa pantomima piena di polemiche e proclami vuoti in un duello quasi romantico, dove i due eroi si contendono la visione del mondo, non la presidenza della Rai.
Che cos’è cambiato nel rapporto tra arte e propaganda dai regimi totalitari del Novecento a oggi?
L’uso dei media è diventato uguale: dittatori, imbonitori, populisti e leader seri usano il marketing, la comunicazione e le immagini allo stesso modo. È veramente difficile poter distinguere una strategia dalle altre. In questa confusione l’arte è supina rispetto al potere: basta che il potere offra l’adeguata visibilità alla produzione artistica e ai suoi autori.

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da Il Giornale dell'Arte numero 324, ottobre 2012