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Nuove forme di partecipazione e gestione dei beni culturali

  • Pubblicato il: 29/09/2012 - 11:42
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Pietro Antonio Valentino

La partecipazione è un termine in qualche modo abusato, in qualche caso è perfino «imposta» dalle leggi, ma ha assunto sempre maggiore importanza dato che è associata alla:
• modificazione intervenuta nel concetto di valorizzazione delle risorse culturali e ambientali;
• crescita di peso dei “valori identitari” nei processi di tutela;
• diffusione di processi di programmazione di tipo bottom up.

Il concetto di valorizzazione è mutato in quanto ha assunto nuove valenze e da singolare è diventato plurale nel senso che:
• al tradizionale concetto di valorizzazione, che aveva natura puramente culturale, si sono state associate nuove determinazioni e, tra queste con sempre maggiore rilevanza, quelle di tipo economico;
• gli oggetti dei processi non sono più puntuali ma sono insiemi, più o meno articolati, di beni dove quelli culturali, tangibili e intangibili, sono sempre più inscindibilmente associati al paesaggio e ai beni ambientali;
• i soggetti sono sempre più numerosi.

Non è più il soggetto pubblico da solo, lo Stato e/o gli Enti territoriali, a farsi carico dei nuovi processi di valorizzazione ma diventa indispensabile il coinvolgimento dei soggetti privati. Ovvero, l’insieme dei soggetti pubblici è chiamato ad operare in modo maggiormente cooperativo sia al suo interno che con gli attori privati potenzialmente interessati alle attività di valorizzazione.

I «valori identitari» hanno acquistato grande importanza perché la definizione di bene culturale si è «democratizzata» da quando la categoria «bene culturale» si è andata differenziando da quella di «opera d’arte»: la prima viene definita facendo riferimento ai valori identitari mentre la seconda, prevalente nel secolo scorso, si basa su un «valore estetico» attribuito dagli «esperti». [...]Tutto ciò comporta che un oggetto (tangibile) o una attività (intangibile) si trasforma in un bene culturale (o ambientale) quando una data collettività (locale, nazionale o mondiale) attribuisce all’oggetto (attività) la qualità di rappresentare e trasmettere parte di quella loro storia che accomuna i singoli membri del gruppo rendendoli, sotto quello specifico aspetto, «identici». [...] La programmazione di tipo bottom up è una conseguenza dei cambiamenti avvenuti nel concetto di valorizzazione e nel ruolo attribuito ai valori identitari. Le collettività, singolarmente e come pluralità di «portatori di interesse», vengono chiamate ad assumere un ruolo attivo nei processi di valorizzazione perché:
• la selezione e la valorizzazione dei beni dipende dai loro «valore identità»;
• la multidimensionalità degli oggetti e del concetto di valorizzazione può essere
soddisfatta solo con il coinvolgimento dei principali attori del territorio.

Identità e partecipazione attiva delle collettività sono due aspetti inscindibili e complementari; la produzione della prima ed il pieno dispiegamento della seconda hanno effetti non marginali sui processi di valorizzazione.
[...]

Il bisogno di partecipazione si è accresciuto sia come conseguenza dei cambiamenti appena accennati sia perché le collettività vogliono essere sempre più attori diretti e consapevoli del loro sviluppo. Ma la partecipazione è un aspetto e si inserisce in un processo più ampio: quello della governance territoriale. Quest’ultima è costituita da quell’insieme di relazioni, in genere informali e di tipo pattizio, che regolamentano funzioni e ruoli dei diversi attori coinvolti (direttamente o indirettamente) nei processi di conservazione e valorizzazione delle risorse culturali localizzate su un dato territorio. L’obiettivo della governance è quello di accrescere l’efficacia e l’efficienza di processi le cui attività sono spezzettate tra più soggetti e, spesso, portate avanti da ciascuno in modo indipendente dagli altri. […]
Ma il bisogno di partecipazione viene adeguatamente soddisfatto in Italia? E le forme di governance territoriale sperimentate sono efficaci?
E’ indubbio che, anche su indicazione della UE, i processi partecipativi si sono diffusi e in molti casi hanno avuto effetti rilevanti: più sul «disegno» di singoli progetti di conservazione/valorizzazione (per il peso via via maggiore assunto dalle varie associazioni «protezionistiche»), che sulla definizione di strategie più ampie di valorizzazione integrata territoriale. La complessità e le “debolezze” dei sistemi di relazione tra soggetti messi in atto (i sistemi di governance) non ha favorito la partecipazione di soggetti che sono numerosi, diversi (pubblici e privati) e «portatori di interessi» contrastanti.

Una prima «debolezza» nei processi partecipativi investe la relazione tra soggetti pubblici. La partecipazione e la governance di processi che investono il rapporto tra Stato ed Enti territoriali è ancora esile e dovrebbe essere significativamente potenziata per poter mettere in atto processi competitivi di valorizzazione integrata delle risorse dei territori.
La partecipazione pubblico-pubblico costituisce un elemento strategico in tutti i casi in cui lo sviluppo locale (o la rigenerazione urbana o la rivitalizzazione dei centri storici, specialmente di quelli più piccoli) viene fondato sulla valorizzazione di più risorse del territorio. [...] Le strategie partono dal basso e, in genere, sono i Comuni i «soggetti promotori»
dei processi per la valorizzazione culturale ed economica delle risorse territoriali e sono sempre i Comuni a farsi carico delle attività necessarie per integrare i processi verticalmente e orizzontalmente. In queste strategie per la crescita dell’attrattività dei territori, il ruolo dello Stato (MiBAC- Ministero per i Beni e le attività Culturali) non è marginale in quanto in molti casi ha la proprietà di parte dei beni da valorizzare, quelli più di «pregio», e in tutti casi ha un potere forte sulla definizione delle strategie e dei processi che deriva dal fatto che è il consegnatario del potere di definizione degli usi sostenibili. Il MIBAC costituisce una parte non marginale del versante top down della programmazione settoriale.
Nei processi di sviluppo trainati dalla «cultura», il Ministero dovrebbe farsi carico di definire, in forma concertata con gli altri soggetti, gli standard per uno sviluppo sostenibile e cooperare per definire le «buone pratiche» di riferimento.
[...]Una seconda «debolezza» riguarda il rapporto tra settore pubblico e collettività. E’ paradossale che in Italia sia difficile far partecipare le collettività ai processi di valorizzazione in quanto la capacità di integrazione tra Stato, Enti territoriali e altri soggetti pubblici è ancora così fievole. Esiste, per esempio, un elevato potenziale di mecenatismo diffuso che non può esprimersi per le regole di gestione imperanti.
Esemplare è il caso dei modelli e delle forme di gestione che caratterizzano i musei statali. Questi non favoriscono di certo la partecipazione delle collettività e dei portatori di interesse ai processi di valorizzazione anzi, invece di attrarre i potenziali mecenati, li respingono in quanto non permettono, nella gran parte dei casi, di stabilire alcuna relazione tra donatore, donazione, istituto e attività culturale.
[...]Una terza «debolezza» riguarda il rapporto tra governance e governo dei processi.
La partecipazione degli attori ai processi di programmazione strategica e la condivisione degli obiettivi e delle azioni in genere non è sufficiente. È necessario che i rapporti tra i differenti attori siano formalizzati facendo ricorso ad una delle tante forme «contrattuali» finora sperimentate a livello sia nazionale che europeo: patto per lo sviluppo, patto territoriale, contratto d’area, ecc.. Perché è nella «formalizzazione» che si precisano gli obiettivi comuni, sia quelli generali che quelli specifici, e si procede ad una effettiva specificazione della strategia di intervento. Tutto ciò comporta che, da un lato, è necessario individuare e rendere efficaci le procedure che possano condurre ad una gestione strategica concertata e, dall’altro, che si introducano strumenti di gestione (accettati dai principali stakeholder) in modo tale che il processo di trasformazione del territorio sia effettivo e produca gli output desiderati. Vale a dire, uno strumento in grado di poter dirigere il processo in modo coerente con gli obiettivi da raggiungere, in modo, in altri termini, di trasformare la strategia in azioni coordinate e realizzate nella forma e nei tempi previsti.
Se il coordinamento in un processo di valorizzazione è sempre necessario, in quelli di natura territoriale lo è ancora di più, anche se diventa più complesso, in quanto si accrescono gli oggetti ed i soggetti da far virtuosamente interagire. Ma coordinamento e integrazione sono categorie che richiedono come attività «necessaria», anche se non sufficiente, la partecipazione.

Pietro Antonio Valentino è Docente di Facoltà di Economia, Università di Roma «La Sapienza»