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Nessun uomo è un’isola

  • Pubblicato il: 24/01/2017 - 11:25
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Redazione

Così scriveva John Donne, poeta inglese della fine del ‘500. Ma una parte del mondo sul quale siamo temporaneamente residenti pare andare in un’altra direzione, verso una santa alleanza tra populismo e nazionalismo, maxi raduni di xenofobi.
In molti paesi del nostro Continente è forte l’attrattività del protezionismo, espressa come chiara linea politica da USA e Inghilterra. Sono alle porte processi che richiedono un grande sforzo politico e culturale per ripensare la stessa idea di Europa in crisi, crisi che trascina anche i diversi paesi tallonati da urgenze. Uno sforzo con impegni sull’integrazione di politiche sulle migrazioni, sulla sicurezza interna nella lotta contro il terrorismo, la sicurezza esterna per rafforzare la cooperazione tra i sistemi nazionali di difesa, sulla politica economica e sociale. Interventi di ridisegno sul piano istituzionale, di governance dell’UE oltre che dell’Eurozona. “Nella crisi con implicazioni redistributive il consenso intergovernativo ha lasciato il passo a rapporti di forza, degi Stati più grandi (…) E’ evidente che se l’Europa fosse in grado di produrre beni e servizi in grado di migliorare la qualità della vita delle persone, la spinta antieuropeista verrebbe ridimensionata” afferma Sergio Fabbrini nell’efficace editoriale di scenario del Sole 24 Ore di Domenica 21.
Le diseguaglianze infatti non accennano a diminuire, anzi continuano a crescere. Dura la critica al neo-liberismo di Oxfam, una delle più antiche società di beneficienza, lanciata ai grandi della Terra riuniti al World Economic Forum di Davos con la presentazione del rapporto dal titolo emblematico “Un’economia per il 99%” (la percentuale delle persone che si spartisce le briciole). In Italia il 20% più ricco ha in tasca il 69% della ricchezza, un altro 20% ne controlla il 17,6%, lasciando al 60% il 13,3%. Il rapporto parla anche di “capitalismo clientelare” delle grandi corporation in grado di influenzare il potere politico. “In un mondo che sta cambiando impetuosamente stare fermi è un comportamento irresponsabile”, considera Fabbrini.
Un cambiamento in atto, nel quale il Giornale delle Fondazioni continuerà “a stare dentro”, e darne conto ai lettori, ascoltando in profondità, oltre la notizia. Un cambiamento che esige risposte strategiche e soprattutto “culturali”, della quale molte istituzioni filantropiche sono attori centrali. E offre al mondo della Cultura l’opportunità di farne parte, in risposta ai rischi di implosione, di perdita di coesione e di diritti, della democrazia per la quale molti, a lungo, a duro prezzo hanno lottato. Per trasformare le conquiste della ricerca scientifica e tecnologica del tempo di cui siamo figli in opportunità per la qualità diffusa della vita, in una società inclusiva.

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Per questo introduciamo il numero con la lectio magistralisBeauty and Justice in a trouble world”, di Anna Deteridge, anima di Connecting Culture, insignita recentemente dalla facoltà di Medicina di Harvard swl Fritz Redlich Award in Global Mental Health and Human Rights. “Viviamo in una società solipsistica (…) L’abilità di percepire la bellezza è necessaria per l’abilità di occuparsi del mondo intorno a noi (…) genera impegno e attenzione”.
In questo scenario abbiamo chiesto a persone che operano a diverso titolo nel mondo della Cultura e del Terzo Settore, di puntare il dito sui temi chiave (“L’Anno che verrà”). Emerge un racconto alto, di chi vuole guardare la foresta per vedere il singolo albero. Che non si riconosce nel “giardiniere di giardini inesistenti” (titolo del bel racconto metaforico di Franco Milella), sa che terreno fertile da coltivare è grande come una prateria, ma non con forbici spuntate, gesti estetici e casuali. E’ consapevole che pure avendo fatto bene, non è abbastanza per guardare in faccia sfide per le quali non siamo pronti. Occorre fare meglio. Mettere da parte modelli che hanno avuto successo. E avere il coraggio richiesto dai tempi per sostenere il rilancio, non limitarsi a progetti di sopravvivenza, superando la dicotomia pubblico-privato, profit e non profit, per prendersi cura del bene comune unendo le forze, con politiche integrate. E’ uno sforzo di collocare le proprie azioni confrontandosi con i grandi temi tracciati dall’Agenda 2030 dello sviluppo sostenibile tracciati dall’ONU. Temi sui quali l’Asvis, l’alleanza nata un anno fa da Fondazione Unipolis e dell’Università di TorVergata, che oggi riunisce 146 soggetti della filantropia istituzionale, Terzo Settore e reti della società civile, sta cercando di dare un contributo (conversazione con Enrico Giovannini che ne è portavoce), mobilitando gruppi di lavoro trans-disciplinari per una società del benessere equo e sostenibile. Su questi temi, “quello che rende la vita degna di essere vissuta” come diceva Bob Kennedy, sulla crescita della qualità della vita e la crescita socio-economica commentiamo il rapporto Bes di ISTAT. Un rapporto che riconosce oggi il ruolo della Cultura, anche se gli indicatori dovranno essere “affinati” (il Centro Ask di Bocconi ci parla del progetto di ricerca al tavolo Asvis). Continuiamo a indagare il contributo della Cultura al Welfare restituendo l’analisi di pratiche e riflessioni (arricchiscono il pensiero Antonella Agnoli, Aldo Garbarini e Simona Ricci). Per passare dalle pratiche, numerose e felici, alle politiche. Sono processi di innovazione sociale che ci portano a leggere la rigenerazione di Veddel, conosciuto negli anni ’60 come “bordello d’Europa” (per la sua Reeperbahm la strada a luci rosse). E’ la città di Amburgo, luogo di scambio di merci e di storie, porto dal quale fra il 1850 e il 1939 sono partite oltre 5 milioni di persone verso il Nuovo Mondo. Perché anche la Germania era terra di emigranti le cui vicende sono raccontate nell’Hamburg BallinStadt. Dopo vent’anni di investimenti Amburgo ha un panorama culturale vivacissimo. Con New York e Londra, è la terza città del mondo per i musical, con milioni di spettatori nei principali teatri e tante piccole produzioni. Bar, discoteche, club, teatri. La Elbphilarmonie, con calendario sold out per mesi, vara oggi una nuova sede su progetto degli architetti svizzeri Herzog & de Meuron. Un edificio vetrato dal tetto ondulato con una grande valenza simbolica, che ha mantenuto il basamento in mattoni dell’antico magazzino Kaispeicher, dove in passato si stoccavano caffè, tè, cacao. Rigenerazioni urbane e sociali con investimenti pubblici e privati che hanno nella Cultura l’asse. Enti filantropici in primo piano.
Accade anche in Italia. Le Fondazioni di origine bancaria compiono 25 anni e hanno profondamente cambiato pelle. Si trovano oggi nel ricambio generazionale dei vertici, anche grazie al codice di autoregolamentazione del quale hanno sentito urgenza. Cariplo, di cui abbiamo parlato nello scorso numero, è uno delle corazzate europee del bene comune e segna spesso la via. A febbraio faremo un focus su questi importanti attori, focus che anticipiamo con la conversazione con Matteo Melley, presidente della Fondazione Carispezia; con trasparenza estrema ci parla dei “nodi” irrisolti, ma soprattutto delle prospettive di “progetti multistakeholders, partecipati con gli attori locali”, complessi, ma fecondi. Sempre in Italia ci sono esempi illuminanti da storie d’impresa. Fondazioni di famiglia come Paideia (ne parliamo con il segretario generale Fabrizio Serra) ch econ grande lucidità strategica, patrimonializzazione e competenze scientifiche e gestionali, è impegnata verso i nuclei familiari con figli disabili e vara quest’anno un centro di nuova generazione per la gestione integrata dei bisogni speciali, cooperando con le altre fondazioni e con gli enti locali. Fondazioni di imprenditori illuminati come Franco Cologni, maestro di John Rupert, Presidente di Richmond, uno dei tre più grandi gruppi mondiali del lusso che con la nuova Fondazione Michelangelo esporterà nel mondo il modello di intervento sui “Mestieri d’Arte”: il trasferimento generazionale, la formazione e la valorizzazione 3.0 del “saper fare italiano” praticata dalla Fondazione Cologni diretta da Alberto Cavalli. E Fondazioni di Comunità che esprimono il potenziale della partecipazione dal basso, promuovono la cultura del dono. 34 in Italia, come la S. Gennaro del Rione Sanità, un modello di attivatore di opportunità professionali e di inclusione.
Questo e molto altro. Lavori in corso per risposte possibili a tempi cupi.

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