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L'imprescindibilità del rapporto tra economia e cultura

  • Pubblicato il: 20/12/2013 - 19:55
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Giorgia Turchetto

Una Premessa per la lettura
Le relazioni tra economia e cultura sono espresse nella Convenzione Unesco, 2007, al fine di favorire la protezione e la promozione della diversità di espressioni culturali. L’articolo 2, sancisce il principio della complementarietà, nonché della funzionalità reciproca tra gli aspetti economici e culturali dello sviluppo di un paese, evidenziando come sia sostanzialmente «mozzato» un qualsiasi approccio alla conoscenza che non parta dall’assunto che non può prodursi sviluppo economico senza sviluppo culturale e viceversa.
Eppure, nell’interazione tra economia e cultura prevale ancora troppo spesso un approccio teorico da parte degli economisti, che pur riconoscendo l’esistenza di questo rapporto, spesso, ne danno una lettura piuttosto «miope» non riuscendo a definire le influenze che la cultura esercita nel sistema economico di una nazione. La giustificazione risiede spesso nella «pretestuosa» mancanza di dati e di indicatori necessari all’interpretazione, valutazione e misurazione dell’ impatto che la cultura genera sul sistema economico. Un ramo della teoria economica ancora poco sviluppato, poiché comporta uno spostamento dall’asse econo-centrica della visione globale ancora in larga misura prevalente.
Ciò nonostante l’imprescindibilità del rapporto tra economia e cultura è crescente e a dimostrarlo sono, per esempio, i mutamenti in atto nei paesi emergenti che hanno sostenuto il principio dello sviluppo, pur sempre basato sulle moderne teorie economiche occidentali (competitività, innovazione tecnologica, elevati investimenti, orientamento all’esportazione, specializzazione delle risorse umane, ecc), riconoscendo però il valore del radicamento culturale locale e conservatore delle identità territoriali (fede, valore della famiglia, rispetto della disciplina e dell’autorità, etica del lavoro, riconoscimento del valore della creatività e della produzione culturale, innovazione e coesione sociale). Il successo di questi paesi è ormai un dato di fatto, collocandosi questi ai vertici della scala economica globale, sconfessando così lo scetticismo di alcuni economisti sul reale apporto dei fattori culturali.

Bibliografia critica
Nelle righe che seguono si è tentata una ricognizione sui principali rapporti e contributi di ricerca che sono stati pubblicati quest’anno sul tema «economia e cultura». Essere esaustivi rispetto ad un tema ampio come l’economia della cultura è impresa piuttosto complessa pertanto si sono scelti alcuni filoni tematici, quali l’innovazione, la valutazione d’impatto generata dagli eventi culturali, la domanda culturale, l’occupazione, il turismo culturale, che sono i temi «caldi» su cui sono stati prodotti importanti contributi che confermano la profonda interazione tra economia e cultura anche sulle nozioni parallele di valore (capitale) economico e valore (capitale) culturale. Ma partiamo con ordine.

Il terzo Rapporto Symbola, autori Fondazione Symbola[1] e Unioncamere, è una fotografia sull’industria culturale italiana che racconta di un’economia italiana che per il 54% poggia sul 458mila imprese e quasi un milione e 400mila addetti tra industrie creative, culturali, patrimonio storico-artistico e arti visive cui si affianca il sistema culturale della Pa e il non profit di associazioni e fondazioni. Il valore del rapporto sta nella capacità di mettere a sistema un numero elevato di dati sul tema dell’industria culturale e creativa, valorizzando il patrimonio informativo di dati Unioncamere. I focus particolarmente interessanti sono quello sul turismo in relazione alla capacità di attivazione che le industrie culturali producono sulla spesa turistica, quello sulla formazione nel management culturale che ha approfondito in particolare le relazioni tra il sistema formativo e il mercato delle professioni, declinando il concetto di competenza afferente alla figura del manager culturale. Infine, una nuova elaborazione che riguarda il calcolo del moltiplicatore della cultura, che quantifica il prodotto generato a partire da un valore di produzione rilevato nel perimetro delle attività del sistema produttivo culturale. Insieme al Rapporto merita di essere citato anche un altro volume, I.T.A.L.I.A, geografie del made in Italy, scaricabile anch’esso nella homepage del sito di Fondazione Symbola[2] che introduce ad un’altra discussione: se, in tempo di crisi, a «governare» è il capitalismo della conoscenza e delle reti, «l’X-factor» nella produzione di valore dipenderà sempre più dalla capacità delle imprese di produrre, in modo condiviso ed etico quei beni comuni dell'identità, del paesaggio, della coesione sociale, della sostenibilità che alimentano la distintività del made in Italy sui mercati globali. Questo volume traccia attraverso un interessante storytelling le prime proteine di un nuovo DNA, espressione della contemporaneità in cui cultura e manifattura si innestino reciprocamente, affinché l’economia della cultura possa produrre quei moltiplicatori del valore che soli gli consentono di fungere da volano anche per il resto del sistema produttivo.

Il Rapporto Annuale Federculture 2013, edito da 24 ORE Cultura si apre con importanti interventi istituzionali: Giorgio Napolitano, Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati, i Ministri Graziano DelrioeEnrico Giovannini e il curatore Roberto Grossi, Presidente di Federculture. Il volume accoglie poi i contributi di esperti appartenenti a settori anche diversi dalla cultura. Il volume insiste sull’assenza di una politica di programmazione e di indirizzo sui temi della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, della produzione artistica e creativa, ambientale e dell’istruzione. Esso pone l’accento su come la cultura rappresenti l’identità di una nazione, sia un bene collettivo e un diritto «di tutti»: è pertanto dovere dello Stato porre in essere le condizioni per garantirne la fruizione e la valorizzazione. La cultura può essere un’opportunità di sviluppo economico e fattore determinante di crescita, in una società democratica e solidale a patto che la politica smetta di considerarla disancorata dal resto del sistema e s’impegni nel programmare una strategia capace di ripensarla come un progetto complesso che mette al tavolo tutti gli stakeholder. Il volume è arricchito da un’ampia appendice statistica con dati aggiornati e confronti internazionali sui principali andamenti dei settori della cultura e del turismo.

All’interno della feconda attività di ricerca degli Osservatori Culturali delle Regioni, tre recenti contributi meritano di essere approfonditi. Il primo è il rapporto Occupazione e mercato del lavoro nello Spettacolo in Emilia Romagna, a cura dell’Osservatorio dello Spettacolo della Regione Emilia-Romagna, 2012[3]. Esso, stante la centralità del tema della disoccupazione, si propone come una riflessione approfondita sul tema dello spettacolo, con la finalità di dare utili indicazioni a decisori e operatori. Oltre ad una robusta raccolta di dati statistici, il rapporto istituisce un confronto con il modello adottato in Francia per la regolamentazione dell’occupazione dello spettacolo. E’ un importante caso di benchmarking, non già con l’idea di proporre pedissequamente un paradigma da riproporre, quanto per individuare quegli elementi d’innovazione rispetto al modello italiano.

Lo spettacolo dal vivo nelle Marche. I soggetti, gli eventi, i numeri, la storia, promosso dall’Assessorato alla Cultura della Regione è un lavoro di vasta portata durato due anni. Costituisce il primo censimento dei soggetti ed eventi dello spettacolo dal vivo nelle Marche[4]. Parallelamente all’indagine sui soggetti dello spettacolo dal vivo, si è integrata una rilevazione delle strutture teatrali presenti nel territorio tramite una scheda dettagliata che raccoglie informazioni sulla tipologia delle strutture e le relative dotazioni tecniche.

Il tema della misurazione degli impatti generati dagli eventi culturali è stato, invece, affrontato dall’Osservatorio Osservatorio Culturale del Piemonte – Fondazione Fitzcarraldoche ha effettuato L’analisi dell'impatto socioeconomico del Salone Internazionale del Libro. La ricerca, attraverso la metodologia dell'Economic Impact Analysis (EIA), utilizzata per misurare l'economia diretta addizionale generata sul territorio dalla manifestazione, racchiudeun’indagine approfondita sul pubblico del Salone Internazionale del Libro e sulla valutazione dell'impatto economico generato dalla fiera sul territorio metropolitano.
Seppure a livello regionale, questi tre contributi hanno il merito di fornire un modello di analisi applicabile a scala nazionale, proiettati in un contesto extra locale, sono nati con la collaborazione dei responsabili della piattaforma ORMA (Osservatori regionali sui Mercati dell’arte) e seguono un impianto metodologico omogeneo finalizzato a pervenire alla definizione di un unico sistema di rilevazione dei dati che assolva sia i compiti amministrativi sia di rilevazione a fini statistici per la costruzione di corset di indicatori, di criteri di significabilità e applicabilità degli stessi, nonché della comparabilità dei dati.
Interessante anche lo studio La cultura in movimento, Fondazione Rosselli, pubblicata nel novembre 2012, sullo stato dell'economia della cultura[5] .

Il IX Rapporto Civita «Citymorphosis», uscito a febbraio del 2012, è dedicato al rapporto tra città e Cultura, curato dai Prof. ri Marco Cammelli dell’Università di Bologna e Pietro A. Valentino dell’Università di Roma La Sapienza è stato realizzato grazie al contributo di AXA Art e Fondazione di Venezia. Il tema è quello delle città, centri propulsori e diffusori dello sviluppo regionale e nazionale. In quest’ottica, il rapporto insiste sulla necessità di ripensare le politiche culturali, favorendo una visione che prediliga il networking e l’attivazione di logiche di sistema tra le diverse filiere culturali, creative e del turismo e una progettazione e sviluppo di sistemi territoriali integrati. Il volume, con il contributo di esperti e analisi comparate a scala europea, raccoglie riflessioni e proposte strategiche per comprendere le principali condizioni e dinamiche da porre alla base di politiche culturali capaci di produrre effetti concreti in termini di benessere, integrazione e crescita per il tessuto sociale ed economico locale. Focus centrale del Rapporto, la ricerca condotta dal Centro Studi «G. Imperatori» che attraverso un campione di 12 medie e grandi città italiane ed europee (Berlino, Barcellona, Edimburgo, Lione, Londra, Torino, Milano, Forlì, Roma, Bilbao, Mantova e Parigi) genera l’analisi e il confronto tra diversi assi di sviluppo: la valorizzazione integrata del patrimonio culturale, gli eventi temporanei quali mostre e festival, il sistema dell’arte contemporanea. Si tratta di macro-temi che rappresentano i «motori» dell’industria culturale creativa e che quindi si intersecano con settori altamente produttivi.

Civita ha pubblicato un rapporto intitolato l’Arte di produrre Arte. Imprese culturali a lavoro. Il volume curato da Pietro Antonio Valentino, edito da Marsilio, è stato anch’esso realizzato dal Centro Studi «G. Imperatori» dell’Associazione Civita con il contributo della Fondazione Roma Arte-Musei e della Provincia di Roma. Esso descrive il quadro delle attività economiche legate alla produzione o all’uso della cultura e della creatività in Italia. Anche in questo caso centrale è il tema della misurazione (dimensione delle imprese CC e impatti economici che generano anche a confronto con gli altri Paesi europei). Una fotografia esauriente di debolezze e potenzialità esplorate del settore in Italia, in confronto con gli altri Paesi europei: parola d’ordine l’innovazione. La pubblicazione è strutturata in due parti: una prima, in cui si dà conto di ruolo e dinamiche dell’Industria Culturale e Creativa (ICC); una seconda, dove vengono analizzate le caratteristiche della domanda museale in Italia, con particolare attenzione ai «non visitatori», e stimati gli impatti economici più rilevanti associati alle mostre.

Le mostre al tempo della crisi è, invece, lo studio promosso da Fondazione Florens, ideata e realizzata da Fondazione Venezia[6], sul sistema espositivo italiano negli anni 2009-2011.La ricerca descrive come la produzione delle grandi mostre, impegnative dal lato finanziario, ma incerte dal punto di viste delle risposte di pubblico, espongono, oggi, i produttori a rischi crescenti, condizionano le aspettative dei fruitori e drenano risorse pubbliche e private vitali anche ad altre attività (conservazione e gestione istituzionali). A questo si aggiunge il tema delle numerose mostre blockbuster, dedicate ad autori e temi stranieri, realizzate velocemente, prive spesso di un progetto culturale preorganizzato. Il merito di questo studio è quello di fornire risposte verificabili e attendibili a quesiti elementari, ma fondamentali: quante mostre si organizzano all’anno? Quali sono i temi prevalenti e quelli sottorappresentati rispetto alle tendenze internazionali? Quanto durano in media? In quali sedi vengono allestite? Quante sono a pagamento e a ingresso gratuito? Come si distribuiscono nell’anno e dal punto di vista geografico? Questa indagine ha analizzato il sistema degli eventi espositivi allestiti nel 2009 e nel 2011 presso strutture pubbliche e private (escludendo volutamente le mostre organizzate da gallerie commerciali, antiquari e fiere e altri eventi for profit), così da campionare in termini rappresentativi quanto accaduto nell’ultimo triennio.

Nel rapporto che lega economia e cultura un tema emergente è poi quello dell’innovazione sociale a base culturale. Darne una definizione precisa è difficile e probabilmente fuorviante perché agendo su un territorio vasto quale quello dell'Europa e dei suoi vicini, l’innovazione sociale coincide più con un modo di pensare emergente fondato su un’attiva partecipazione della società, dei cittadini. Quindi richiede al cittadino di non essere semplicemente consumatore, ma di partecipare allo sviluppo e all’implementazione, oltre che alla definizione iniziale del problema da risolvere. Spunti interessanti sono forniti dalla pubblicazione Innovazione Sociale made in Italy. Un laboratorio per nuove forme di governo, ottobre 2012, Edizioni FORUM PA, scaricabile dal sito. E ancora il Rapporto finale, Social Innovation Workshops del gennaio 2013, che riassume i risultati dei quattro seminari sull’innovazione sociale, organizzati da Avanzi, che hanno avuto l’obiettivo di declinare il concreto nella realtà italiana, a partire da tre dimensioni: imprenditorialità, dimensione reticolare e sovra-locale, scalabilità. E ancora la ricerca di AICCON, Innovazione sociale e imprese sociali, di Paolo Venturi e Flavio Zandonai[7]

La copiosissima produzione bibliografia su Economia e Cultura rende impari il compito di esaurire la complessità del tema. Citiamo, a chiusura, il Paper sul finanziamento delle organizzazioni culturali non profit, presentato a giugno in occasione del Colloquio scientifico, Irisnetwork sull’impresa sociale 2013, autori Marco Ratti (Banca Prossima) e Giorgia Turchetto (Università La Sapienza, Roma). Il contributo parte da una costatazione: il mondo culturale nonprofit si regge economicamente, per la maggior parte, su trasferimenti, il 90% di questi sono pubblici, ma il loro ammontare è sceso in modo permanente. I trasferimenti europei, dalle fondazioni, da liberalità e sponsorizzazioni non possono compensare questa caduta. Quindi, il mondo culturale deve pensare a come vivere in questo nuovo «equilibrio». La soluzione salvifica non esiste, è invece opportuno perseguirne molte assieme: aumentare le entrate «di mercato» (bigliettazione, attività collaterali), aumentare il ricorso ai volontari, ridurre in generale i costi, al limite fondere organizzazioni e comunque inserirsi in reti, professionalizzare il management, intensificare la raccolta fondi, sfruttare il patrimonio esistente di proprietà o comunque accessibile («federalismo demaniale»), ricorrere alla finanza esterna di debito, se possibile di capitale, e di progetto (project financing anche all’interno di partnership pubblico-privato). In sintesi, per sopravvivere, le organizzazioni del mondo culturale devono accentuare la propria anima di impresa, al di là che la forma giuridica prescelta sia for-profit o rimanga associativa, cooperativa, fondazionale o perfino pubblica. Il settore pubblico deve esercitare una funzione di facilitazione, all’interno di tavoli e partnership con il privato incluso il nonprofit. Sul versante patrimoniale, la fonte finanziaria principale delle organizzazioni culturali è oggi il debito, soprattutto bancario (forse €900 mln di affidamenti al nonprofit culturale). Gli spazi di miglioramento della relazione fra organizzazioni culturali e banche sono, però, ancora ampi. Intanto la qualità della relazione, testimoniata da una ricerca ad hoc della «Sapienza»,, è bassa e inferiore a quella media del nonprofit; va sviluppata una metodologia di analisi specifica del merito di credito nel settore culturale; si può approfondire il ruolo dei fondi di garanzia, a partire dalla creazione di facility a valere sui €210 mln già destinati nell’ambito di Europa Creativa. Infine, si può sviluppare il debito raccolto dal pubblico generale (crowdfunding in versione social lending), anche attraverso piattaforme innovative come Terzo Valore.

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Giorgia Turchetto, Direttore Master Digital Heritage Università La Sapienza

[1] http://www.symbola.net/assets/files/Io%20Sono%20Cultura%202013-WEB_1373367079.pdf
[2] http://www.symbola.net/assets/files/Italia-2013-Geografie-del-nuovo-made-in-Italy_1373016777.pdf

[3] http://cultura.regione.emilia romagna.it/osservatoriospettacolo/report-annuali/Report2012_01813.pdf .
[4] Per informazioni o per richiedere una copia del censimento scrivere a: censimento@marchespettacolo.it
[5] https://www.aspeninstitute.it/interesse-nazionale/articolo/%E2%80%9Cla culturamovimento%E2%80%9D.
[6] http://www.fondazioneflorens.it/wp-content/uploads/2012/11/Le-mostre-al-tempo-della-crisi.pdf,
[7] http://www.aiccon.it/file/convdoc/innovazione_sociale_e_imprese_sociali.pdf