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LIMITI E OPPORTUNITÀ DELLA FILANTROPIA IN ITALIA

  • Pubblicato il: 14/12/2016 - 22:26
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Vittoria Azzarita

L'Altana di Palazzo Strozzi ha ospitato, sabato 10 dicembre, il Simposio “La Filantropia in Italia: limiti e opportunità”, organizzato dalla Palazzo Strozzi Foundation USA in collaborazione con la Fondazione Palazzo Strozzi. L'incontro, che ha visto la partecipazione di alcuni dei più autorevoli esperti e protagonisti del non profit in Italia e all'estero, è stato un'occasione per accendere i riflettori sulle criticità e sulle prospettive future della filantropia in Italia. Con l'intento di approfondire le motivazioni dell'incontro, abbiamo posto alcune domande al presidente Mario Platero. Dal confronto è emersa l'esistenza di un gap culturale che necessita di essere colmato, se si desidera aumentare la propensione a donare degli italiani.
 
 
Dott. Platero, lei è il Presidente della Palazzo Strozzi Foundation USA. Tra le attività più note della Fondazione è possibile citare il Premio “The Renaissance Man or Woman of the Year Award”. Come è nata l'idea di istituire tale Premio?
Cerchiamo di far conoscere Palazzo Strozzi in America, di pubblicizzare le mostre a Firenze, di trovare possibili donatori, ma lo stesso fanno anche altre organizzazioni un po' da tutto il mondo, il Louvre solo per fare un esempio. Però abbiamo capito di avere un punto di forza perché i messaggi legati al Rinascimento fiorentino hanno una forte presa in America. Il Consiglio della Palazzo Strozzi Foundation USA ha così sottoscritto l'idea di lanciare il Premio “The Renaissance Man or Woman of the Year Award”, un riconoscimento destinato a coloro che rappresentano gli ideali e i valori fondamentali del Rinascimento, ossia quei valori di apertura, di curiosità, di recupero degli ideali umanistici, di capacità di guardare al futuro e alle nuove frontiere. In quest'ottica, scegliamo dei personaggi che si sono distinti sia per questa voglia di spingersi verso nuovi orizzonti nel campo del business – dunque nello sviluppo di nuove idee che abbiano un impatto positivo sulla società – che per il loro interesse a promuovere la filantropia. E l'evento di premiazione serve per cercare di raccogliere donazioni.
 
 
Perché quest'anno avete scelto Paolo Fresco?
Perché ha dato uno scossone al settore della filantropia qui in Italia facendo una donazione personale senza precedenti negli ultimi anni: 25 milioni di dollari, una donazione che secondo noi fa da specchio ai valori rinascimentali. Sul piano simbolico, Paolo Fresco rispecchia anche i valori di apertura nel mondo degli affari, sottostanti al premio. Ha aperto nuove frontiere portando a una nuova fase di globalizzazione una realtà molto “locale” come la General Electric. Lo stesso ha fatto anni dopo con la Fiat, e ha ripetuto la sua esperienza di apertura e internazionalizzazione nella filantropia. Non ha solo donato una somma ingente, ha fondato nel contesto della New York University, al Langone Medical Center, l'Istituto Paolo & Marlene Fresco per il Parkinson e i Disturbi Motori. Si tratta di un centro attivo sia in Italia che negli USA per la ricerca clinica e di base sui disturbi del movimento, in particolare del morbo di Parkinson.
Quindi se ci domandiamo cosa sia la filantropia sul piano simbolico, possiamo affermare che è usare la propria fortuna, i propri risparmi, a vantaggio del bene comune nel senso più lato del termine. Questo non vuol dire promuovere soprattutto la cultura artistica, perché il Rinascimento non era soltanto Michelangelo o Leonardo. Il Rinascimento era anche Galileo, era anche Machiavelli, era anche scienza, politica e nuova frontiera.
 
 
Come si lega il Premio “The Renaissance Man or Woman of the Year Award”al Simposio “La Filantropia in Italia: limiti e opportunità”, che si è tenuto sabato 10 dicembre presso l'Altana di Palazzo Strozzi?
Non basta dare un premio, occorre parlarne, discutere del futuro e delle sfide per il settore filantropico in Italia. Come parte della nostra missione, il Consiglio ha deciso che il giorno dopo la consegna del Premio si approfitti della presenza di colui che ha ricevuto il riconoscimento e intorno alla sua figura si costruisca un dibattito su alcuni aspetti della filantropia, anche perché in Italia il settore filantropico ha ancora molta strada da fare.
E dal 2012 il simposio serve proprio a questo, ad esplorare i molti aspetti della filantropia. Ad esempio, l'anno scorso abbiamo discusso della filantropia nei Think Tank perché Victor Pinchuk, fondatore di EastOne Group e della Victor Pinchuk Foundation che aveva vinto il Premio, oltre ad appoggiare con la sua fondazione importanti cause sociali o artistiche, ha organizzato eventi sulle libertà politiche - ad esempio in occasione degli incontri annuali di Davos - alimentando il dibattito intellettuale sui problemi del nostro tempo. L'anno prima avevamo fatto un confronto tra Italia e Stati Uniti con lo straordinario Leonard Lauder e quest'anno, approfittando della presenza di Paolo Fresco, abbiamo deciso di concentrarci sull'Italia con Vicenzo Manes fondatore di Dynamo Camp, Giuseppe Recchi presidente di Telecom Italia, Matteo del Fante presidente della Fondazione Palazzo Strozzi, Ernesto Caffo presidente di Telefono Azzurro e Ken Langone uno dei più importanti filantropi a New York.
 
 
Dott. Platero, quali sono dal suo punto di vista i principali limiti e le maggiori opportunità con cui si confronta oggi la filantropia in Italia?
In Italia abbiamo uno straordinario patrimonio culturale nel senso più lato del termine: primeggiamo dall'arte alla ricerca scientifica. È innegabile però che sul fronte della filantropia privata siamo molto indietro, non abbiamo una cultura del “donare”, anzi della “restituzione”, come quella che c'è in America, e non l'abbiamo per varie ragioni.
È vero in America c'è il vantaggio fiscale ma questo strumento da solo non basta, ci vuole anche la predisposizione a restituire. In America è molto frequente dire: io ho avuto molto dal mio paese in termini di flessibilità, libertà, opportunità, e quindi voglio restituire almeno una parte di quello che sono riuscito a fare, di modo che sia possibile per altri fare le stesse cose. Da noi questa propensione c'è molto meno, e prevale l'atteggiamento di dire “ma quello lo fa lo Stato, non è compito mio”.
In America è tutto diverso ed è molto difficile fare dei confronti con l'Italia. Per questo abbiamo deciso di concentrarci sulla situazione italiana per capire come possiamo uscire dalle difficoltà in cui ci troviamo, conoscendo un certo tipo di cultura e un certo tipo di limiti.
 
 
A quali condizioni, secondo lei, la filantropia in Italia potrebbe compiere dei passi in avanti?
In questo caso lo strumento più tipico è lo strumento fiscale, nel senso che la donazione fatta da una persona viene poi detratta dalle tasse. Ora siccome noi abbiamo dei problemi di bilancio, è chiaro che in Italia questo tipo di interventi siano difficili da realizzare.
Secondo me è necessario intraprendere un intenso lavoro culturale. Bisogna far vedere che queste cose nel momento in cui succedono producono dei risultati, danno un certo prestigio, soprattutto fanno del bene. La cosa più importante è avviare una rivoluzione culturale che ci porti a dire che non dobbiamo dipendere solo dallo Stato, ma che dobbiamo anche cercare di fare delle cose per conto nostro, restituendo alla comunità una parte di quello che abbiamo guadagnato nel corso del tempo.
C'è un gap culturale non facile da colmare e ci vorrà del tempo. C'è una parte tecnica – data dalle regole fiscali – ma c'è soprattutto una componente culturale che deve essere in qualche modo alimentata perché o una persona questa cosa la sente o non la sente.
 
 
Con l'istituzione di una Fondazione che opera attivamente nel contesto americano, Palazzo Strozzi ha dimostrato una apertura internazionale non facile da trovare in Italia. Cosa vi ha spinto a guardare oltre confine?
La Fondazione Palazzo Strozzi, guidata da Matteo del Fante, è certamente una delle più avanzate realtà culturali italiane, non solo perché presenta una riuscita collaborazione tra pubblico e privato ma anche perché con l'Associazione Partners di Palazzo Strozzi, guidata da Leonardo Ferragamo, ha deciso fin da subito di guardare all'estero. In America cerchiamo di generare interesse negli Stati Uniti sulle mostre, sulle attività, sullo straordinario contributo culturale che Palazzo Strozzi porta all'Italia e al mondo, cercando anche di convogliare donazioni. Ma la cosa importante è farci conoscere in un paese dove tutti da ogni parte del mondo vogliono farsi conoscere.
E allora abbiamo identificato un altro veicolo per far parlare di noi, di Firenze e dell'Italia. La Palazzo Strozzi Foundation USA ha lanciato già nel 2010 un concorso per giovani che studiano nelle scuole superiori americane che si chiama “Palazzo Strozzi High School Renaissance Award”. Il concorso è organizzato in partnership con i Dipartimenti dell'Educazione di New York, Los Angeles e Detroit, ed è rivolto ai ragazzi di 16/17 anni che frequentano il penultimo anno di scuola superiore nelle scuole pubbliche con l'intento di diffondere lo spirito del Rinascimento e lo studio dell'umanesimo. Potrà sembrare strano ma i ragazzi americani non studiano il Rinascimento, non sanno che cos'è, non sanno che il Rinascimento è l'anello chiave di congiunzione tra l'Antica Grecia, l'Antica Roma e l'Illuminismo; è quel passaggio che ci ha consentito di sviluppare la nostra cultura e la nostra società. Soprattutto non conoscono le radici dei valori umanistici, che sono altrettanto importanti quanto lo sono lo studio delle scienze e della matematica. E il programma è interamente finanziato da donazioni americane. Già questo è un successo.
 
 
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