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Le nuove regole sancite dalla «magna» carta

  • Pubblicato il: 06/07/2012 - 08:44
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Il primo centenario dell’Acri, l’associazione delle fondazioni di origine bancaria e delle casse di risparmio italiane, coincide con il suo XXII Congresso Nazionale, l’importante appuntamento triennale, sempre molto atteso dal sistema per il quadro che ne emerge e le tendenze evolutive delle strategie dei principali attori del privato sociale. Vent’anni sono passati dalla «Legge Amato» istitutiva delle FOB e molta strada è stata compiuta, ma l’ultimo biennio, così traumatico sotto il profilo economico-finanziario, segnato dalla fragilità pubblica, da pesanti, nuove emergenze sociali e dalla profonda trasformazione del sistema bancario, impone un cambio di paradigma, per tutti. Giorgio Righetti, direttore generale dell’Acri dal 2010, dopo un’esperienza triennale alla guida della Fondazione con il Sud e manager di lungo corso nel campo finanziario e commerciale, ci anticipa l’agenda del Congresso.

Dottor Righetti, molti economisti indicano l’evoluzione delle fondazioni di origine bancaria come l’ago di bilancia nella crisi. Quali sfide e temi avete messo nell’agenda del Congresso?
Non si può pensare che la soluzione all’attuale stato di crisi, conclamato e gravoso, possa provenire solo dalle fondazioni di origine bancaria. Come indica la legge, operiamo in un’ottica di sussidiarietà, non di sostituzione al Pubblico. Non chiarire questo punto potrebbe generare aspettative mal riposte. Oggi, il ruolo delle fondazioni è più profondo e articolato rispetto al passato, ma esiste una grande risorsa nell’opportunità di cooperazione che possono generare nei territori, conoscendoli in profondità ed essendone parte. Fintanto che saranno viste come una fonte finanziaria e non come risorsa sociale, risulterà difficile instaurare una cooperazione e si corre il rischio di una competizione per l’accaparramento delle risorse. Il tema della cooperazione, del fare rete, è oggi centrale e condiviso. Un secondo tema è l’applicazione della Carta delle fondazioni.

Ci spiega in che cosa si sostanzia e come può essere tradotta in pratica?
È un documento che l’Assemblea Acri ha approvato all’unanimità a inizio aprile 2012, nato da un percorso avviato a fine 2010 in occasione di un seminario interno sulle prospettive delle fondazioni cui parteciparono la gran parte dei loro presidenti e amministratori. Risponde all’esigenza di definire un codice di autoregolamentazione volontaria per affiancare la «Legge Ciampi», punto di riferimento normativo. La «Carta delle Fondazioni» si è sviluppata secondo tre linee direttrici: la governance, l’attività istituzionale e la gestione del patrimonio.
Attraverso un percorso fortemente partecipato, circa 90 amministratori, funzionari e dirigenti sono stati coinvolti in 3 gruppi di lavoro sulle 3 tematiche fondamentali. Insieme a un sistema di principi, la Carta ha la funzione di indirizzarle in un’ottica di efficienza, efficacia, responsabilità, trasparenza e autonomia dai condizionamenti esterni. Ora necessita di un percorso applicativo, poiché la maggior parte dei principi dovrebbe incidere negli statuti e nei regolamenti delle fondazioni.  Un percorso di adeguamento che potrebbe richiedere almeno un anno.

Iter veloce per un tema complesso, indice di un’urgenza sentita di rilettura identitaria e risposta alle forti istanze che provengono dall’esterno?
Le fondazioni esistono da vent’anni, ma la piena attività è iniziata da un decennio. Si è avvertita l’esigenza di uno sviluppo ulteriore della capacità di essere un corpo intermedio all’interno della società, nell’ottica di un miglioramento continuo, nonché di completamento fattuale e operativo della «Legge Ciampi». Nel contempo, è spinta dalla diversificazione e dall’aumento dell’intensità dei bisogni, sempre più complessi, che emergono dai territori. Se le istanze sono molte, la risposta deve essere efficace e razionale, oltre che trasparente e documentabile. La Carta, nel rispetto delle autonomie e dell’indipendenza delle fondazioni, lascia spazi di adeguamento per tener conto delle specificità territoriali, dimensionali e organizzative, evitando applicazioni standardizzate che potrebbero risultare inadeguate in alcuni contesti.

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(dal XII Rapporto Annuale Fondazioni)