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Landscape for democracy

  • Pubblicato il: 15/06/2015 - 12:38
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Paolo Castelnovi

Tra il 3 e il 6 giugno, vicino a Oslo, Uniscape (l’associazione delle università e dei centri di ricerca europei che dibattono sul tema del paesaggio, in base alla Convenzione europea) ha svolto il suo seminario annuale. Il tema sembra astratto, ma è straordinariamente interessante per le politiche territoriali contemporanee: Defining Landscape Democracy. Quello che segue è un contributo sul tema, che è stato ben apprezzato.
Il senso condiviso del paesaggio è stato considerato da una parte fondamento dell’identità locale e delle decisioni comuni di piccole comunità, dall’altra fondamento della consapevolezza dei beni universali, dati dalla natura a tutti gli  uomini della terra. Per rinforzare le pratiche democratiche le due dimensioni (locale e globale) devono essere integrate. Il paesaggio è terreno ideale di sperimentazione per potenziare sia l’efficienza della democrazia con l’abitudine alla decisione collettiva sia la sua efficacia abituando a superare i contrasti tra comunità in vista della difesa di valori di tutti

 
 

L’idea di democrazia nel paesaggio. La dimensione del Comune antico
Da tempo consideriamo le piazze italiane il teatro della democrazia comunale. La loro caratteristica, dice Louis Kahn, è la dimensione: quella che consente, a chi entra nella piazza, di riconoscere un amico che è situato all’altro lato. E’ il luogo che contiene quantità ridotte di persone, tali da consentire il confronto da pari a pari. La piazza comunale, come l’agorà della polis greca (dove prende significato il termine politica) è priva di vettorialità, è senza tribune o podi da cui «uno» parla al «popolo», ma è il luogo dove si prendono decisioni comuni. Erano assemblee da cui sortivano decisioni che per lo più riguardavano la difesa e la cura dei luoghi che si abitano, che erano contemporaneamente i centri di produzione e di riproduzione della comunità.
Non si trattava solo di prendere le armi per difendersi da invasori, ma anche di gestire al meglio il proprio territorio: dalla conduzione delle acque alla organizzazione agraria, fino a regole come il Bellosguardo, che hanno fatto memorabile il paesaggio toscano. Secondo la regola del Bellosguardo chi costruisce su un colle per godere della visuale sul colle di fronte deve migliorare con la sua costruzione il panorama di chi guarda dal colle di fronte. Fai per gli altri il paesaggio di cui vorresti godere tu: la traduzione paesaggistica della raccomandazione evangelica.
Dunque nella piazza italiana si condensa l’idea di Comune, che ancora oggi è il livello meno contestato del potere politico. La continuità attraverso i secoli del valore politico del termine comune è probabilmente connesso alla dimensione di esercizio della democrazia «diretta», che non può strutturalmente superare l’ambito della conoscenza diretta dei problemi. E questo vale anche per la «presa in carico» del paesaggio. La dimensione del paesaggio che ciascuno di noi sente come proprio è limitata ad ambiti territoriali modesti, di poche decine di chilometri quadrati, oltre i quali il paesaggio non è più connesso ad un’esperienza complessa e diretta, ma diventa parziale, episodico, meno coinvolgente. Insomma normalmente siamo disponibili a prenderci responsabilità per il paesaggio che sentiamo come «nostro» perché ne abbiamo la «proprietà culturale», pensiamo di essere tra coloro che l’hanno prodotto e lo stanno producendo. E questo sentimento mobilitante non si applica a territori estesi, ha confini abbastanza precisi, che dobbiamo esplorare e capire se vogliamo contare su un esercizio attivo della democrazia, in termini di assunzione di responsabilità e di cura collettiva.
 
 
L’idea di democrazia nel paesaggio. La dimensione del Bene universale
Se l’etimo di Paysage porta a valorizzare il senso di identità, il lavoro per produrre i luoghi e l’impegno politico per gestirli, l’etimo di Landschaft introduce all’emozione del rapporto con la Natura, con la Terra (madre o aliena che sia).
All’opposto del senso di proprietà culturale del paesaggio, che corrisponde all’impegno di una comunità, sta l’individuo delle passeggiate di Rousseau e degli sguardi stupefatti di Friedrich.
L’illuminismo e il suo versante sentimentale, il romanticismo, scoprendo la bellezza della solitudine di fronte alla natura, costituiscono le basi per un manifesto del Paesaggio come Bene, come diritto universale al rapporto emozionante con i luoghi e le vedute.
Si vogliono valorizzare le qualità fondamentali dell’individuo, evidenziando le condizioni base da garantire per tutti, indipendentemente dalle declinazioni operative e dalle condizioni specifiche. Il diritto al Paesaggio mira a rendere disponibile a tutti una materia prima preziosa come la felicità: l’accesso all’emozione, sia quella rassicurante del senso d’identità, sia quella esaltante del senso di esplorazione e di stupore di fronte all’alterità della natura.
Il valore universale dell’emozione attiene propriamente ai diritti dell’individuo e il diritto al Paesaggio riguarda un Bene universale (di tutti gli individui) e non tanto un Bene «comune», se al termine «comune» associamo un impegno collettivo a decidere e a operare.
E’ una differenza sostanziale: ad esempio oggi l’impegno per la democrazia non istituzionale è concentrato nel garantire diritti generali, spesso di resistenza a cambiamenti imposti (Occupy…, No…), piuttosto che ad assicurare le condizioni per esercitare il potere e gestire i cambiamenti.
 
 
Il Paesaggio per la difficile integrazione tra Bene e Comune
In sintesi, la rivendicazione dei diritti è oggi l’azione che appare più coerente con l’essenza etica della Democrazia, ma in altri tempi l’idea di Democrazia è associata più alla capacità di decisione collettiva che non alla legittimazione di diritti generali.
Il clima culturale e politico attuale inclina a premiare lo sforzo per assicurare il Paesaggio come Bene a cui tutti hanno diritto. La lezione della gestione Comune delle risorse, che i paesaggi storici ci testimoniano, rimane sullo sfondo. Non diamo priorità alla componente progettuale e gestionale del paesaggio di cui però c’è grande necessità, ma piuttosto curiamo per tutti i fruitori, di oggi e di domani, il diritto all’accesso, la difesa dalle alterazioni improprie dei luoghi, la conservazione delle situazioni di eccellenza
Questo atteggiamento sottintende una considerazione del Paesaggio come Land, un sistema morfogenetico, capace di evolvere in equilibrio se non viene disturbato. Al contrario il Paesaggio europeo è oggi sottoposto in ogni punto a processi antropici, e non è in condizioni di autonomia neppure se ci astenessimo per anni da ogni azione. Non si può che gestire il paesaggio in interazione continua con le strategie di azione antropica, ed è questa interazione che deve dipendere da un processo democratico di decisioni, perché attiene ad un Bene di tutti. 
Dunque per il Paesaggio in Europa il Bene (di tutti) deve diventare Bene Comune, cioè gestito con un alto tasso di democrazia delle decisioni. E’ un obiettivo che non riguarda solo il paesaggio ma tutti i beni comuni: in generale riguarda il senso attuale della democrazia.
Ma per i Beni comuni attuali non si può fare riferimento tout-court al modello del Comune medioevale o della Polis antica. Emerge con tutta evidenza il problema delle dimensioni. La battaglia della democrazia si è spostata in piazze diverse da quelle italiane: Tienanmen, Tahir sono nomi che evocano luoghi immensi, dove si misurano le forze e non le idee, le decine di migliaia e non i singoli. In questo cambio di dimensione emerge drammaticamente la fragilità delle «democrazie di massa», il loro equilibrio instabile, che non consente di porre le basi per strategie sostenibili o la cura costante dei luoghi dell’abitare. 
Si devono sperimentare ponti tra le due dimensioni: rendere praticabile quel termine GLOCAL che ci aveva entusiasmato anni fa ma che non è mai diventato sussidiarietà organica e sistematica.
Diventa urgente per i valori fondanti della Democrazia sperimentare nuove forme di operatività comune, non solo nelle scelte progettuali ma anche nella gestione di processi duraturi. Occorrono nuove imprese verso obiettivi condivisi che consentano alle collettività di sentire come proprio un tempo e uno spazio comune.
Il Paesaggio si offre come terreno fertile per avviare strategie collettive per il Bene Comune. Nel rapporto necessario tra Landschaft e Paysage c’è già implicito lo sforzo per una strategia glocal, che costituisce la sfida per la Democrazia dei prossimi anni.
Per ridare senso alla Democrazia, impegnata su temi globali e ingestibili dalle comunità, si deve tentare di far tesoro del residuo senso comune dei luoghi, del modello gestionale del passato rurale, della capacità di controllo attivo sugli interventi presente nelle città, che già oggi costituiscono competenze diffuse, capaci di aggregare su temi operativi comunità per altro latenti o disperse.
Ripartiamo dal Paesaggio per la Democrazia.
 
 
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