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La Stagione dei festival culturali

  • Pubblicato il: 07/09/2012 - 13:03
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Valentina Gatti
Marc augé al Festival della Mente di Sarzana

Sarzana. Si è aperta l'intensa stagione dei  festival culturali. La costante, rilevante affluenza  di pubblico conferma come, a diversi livelli di scolarizzazione, sia presente un desiderio di conoscenza, di profondità, anche e soprattutto in questo periodo di crisi. Festival, resi possibili in grande parte dall'intervento delle Fondazioni di origine  bancaria, che si rivelano percorsi  di trasformazione delle comunità  nelle quali e con le quali si realizzano (rif. Guido Guerzoni, a cura di, Effetto Festival, Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia – Fondazione Eventi, 2008). Fondazioni che spesso giocano un ruolo chiave nella costruzione di un dialogo proficuo tra i diversi attori della scena locale,  e non solo nel contributo economico. Esperienze queste che si configurano quale «contenitore sociale, dove tutti sono chiamati a contribuire alla sua realizzazione, dall’accoglienza dei visitatori, in qualità di ambasciatori del territorio, al dibattito collegiale sui contenuti culturali di alto livello intellettuale, nonché costruiscono percorsi di approfondimento anche a “riflettori spenti” durante l'anno, con le scuole e le associazioni locali» (cit. Neve Mazzoleni, Effetto Festival, Il Giornale delle Fondazioni, 15 giugno 2012; si veda inoltre Catterina Seia Marocco, Effetto Festival: la mente a Sarzana., XII Rapporto Annuale Fondazioni)
Il  nostro  viaggio attraverso i festival culturali italiani inizia dalla nona edizione del Festival della Mente di Sarzana, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia.
Conversiamo con un grande pensatore, l’antropologo della post modernità Marc Augé, sulle tesi del suo ultimo libro «Futuro». Il Giornale delle Fondazioni lo incontra poco prima del suo intervento al Festival della Mente di Sarzana per un’intervista dedicata.

Marc Augé, tra i maggiori africanisti dei nostri tempi, negli ultimi vent’anni si è affermato quale figura di riferimento nel dibattito sull’antropologia della tarda modernità.
Nel suo ultimo libro, dal titolo «FUTURO» ed edito in Italia da Bollati Boringhieri, da antropologo che ha trattato i non-luoghi[1] ed il non-tempo[2], ragiona sul futuro in una prospettiva insolita, che si discosta dall’eccesso di visione, di rappresentazioni precostituite, per trarre lezione dalla storia della scienza, che «pur reggendosi sulle conoscenze acquisite non le considera mai definitive, poiché lo stesso movimento con cui essa progredisce nell’interpretazione del reale può spingerla a riconsiderarle.» [3] Augé, nel dipanare una trama densa, ma di piacevole lettura, arriva a coniugare scienza e futuro affermando che «forse stiamo imparando a cambiare il mondo prima di immaginarlo, a convertirci a una sorta di esistenzialismo politico e pratico. (…) Bisogna rivolgerci al futuro senza proiettarvi le nostre illusioni, dar vita a ipotesi per testarne la validità, imparare a spostare progressivamente e prudentemente le frontiere dell’ignoto: è questo che ci insegna la scienza, è questo che ogni programma educativo dovrebbe promuovere e che dovrebbe ispirare qualsiasi riflessione politica»[4]

In questa nona edizione del Festival interviene con un contributo dal titolo «La priorità della conoscenza» e nel suo ultimo libro dedica un intero capitolo a quella che definisce «utopia dell’educazione», sottolineando come tale utopia debba considerarsi foriera di un passaggio all’atto ed in quanto tale fregiarsi degli aggettivi “pratica, pragmatica, progressista, ma progressiva” [5]. Ci parli di questa utopia.
L’educazione è un tema cruciale, il punto è questo: il divario tra quelli che sono più addentro al sistema dell’educazione, che sono più istruiti e quanti invece ne sono esclusi, in quanto estranei all’istruzione e al sistema delle conoscenze di cui disponiamo attualmente, non cessa di accrescersi. C’è stata un’indagine condotta recentemente negli Stati Uniti dalla quale è emerso che la media della cittadinanza è di un livello d’incultura che potremmo dire spaventoso, tuttavia osserviamo che la scienza progredisce rapidamente nonostante tanti rimangano esclusi dai frutti di queste conoscenze. Per questo parlo di «utopia dell’educazione» perché penso che l’educazione generalizzata sarebbe la salvezza del genere umano, ma siamo molto lontani, nonostante tutte gli sforzi, nonostante i vari piani che in proposito vengo attuati in diversi paesi, ed anzi, il divario continua ad accrescere.
Vorrei osservare che questa specifica situazione è tutt’altro che ineluttabile, io sono convinto che tutti gli uomini virtualmente sono simili nelle loro capacità di essere educati, certo non tutti dispongono degli stessi strumenti, dunque questo problema di un crescente divario educativo si potrebbe risolvere tecnicamente, ovvio a fronte di grandissimi investimenti, ma non è questa la direzione in cui stiamo procedendo, parlo di utopia perché evidentemente le priorità sono altre.


In un altro passaggio del suo ultimo libro Lei illustra quanto oggi l’innovazione sia intrinsecamente connessa all’ideologia d’impresa ed in ultima analisi alla necessità di allinearsi a quanto atteso dalle differenti parti in gioco, delineando un quadro di «sconvolgimento della tradizionale cartografia dei saperi» (Chouteau, Fourest, Nguyen, Innovation) che ha ripercussioni non trascurabili sul mondo della Ricerca e dell’Università. Intravede possibili fratture nel continuo perpetrarsi di questo ideale circolo (forse vizioso) che oggi lega ideologia d’impresa, aspettative dei consumatori, ricerca e innovazione?
No, penso che si tratti di un aspetto dell’attuale modello di produzione delle merci ed io ho la sensazione, un pò pessimistica forse, che l’innovazione attualmente stia sostituendo l’estensione del mercato; ovvero ciò che chiamiamo mercato non ha bisogno di un’estensione indefinita del numero degli utenti perché comunque si rinnova costantemente la produzione. Tutti sanno che questo sistema ha bisogno dei consumatori per funzionare, tuttavia coloro che sono esclusi dal consumo possono restare esclusi perché ormai non è più la domanda, bensì l’offerta che fa andare avanti il mercato. Non mi fraintenda, questa è solo una delle tendenze, ma è una tendenza forte, lo dimostra il fatto che oggi nessuno fa più riparare un televisore o un telefono, bisogna semplicemente ricomprarlo, quindi è possibile che coloro che noi consideriamo gli esclusi dai consumi restino tali perché effettivamente il sistema oggi ha meno bisogno di estendere, di espandere la massa dei consumatori.

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[1] Augé Marc, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Torino 2009, ed. Bollati Boringhieri
[2] Augé Marc, Rovine e Macerie. Il senso del tempo, Torino 2004, ed. Bollati Boringhieri
[3] Augé Marc, Futuro, Torino 2012, ed. Bollati Boringhieri, cit. pag. 102
[4] Ivi pag. 106
[5] Ivi pag. 117