La salute disuguale e la pratica culturale
Arte e cultura fanno bene, possono aiutare a guarire e soprattutto, contribuiscono a prevenire alcune serie patologie. Nell’ambito dell’edizione 2017 del Festival dell’Economia, a Trento, dedicata alla Salute, OCSE LEED per lo Sviluppo Locale, TSM – Trentino School of Management, servizio attività culturale della Provincia autonoma di Trento, hanno curato una conversazione su "Cultura, salute e benessere", moderato da Stefano Barbieri, capo del Centro OCSE LEED di Trento. Paolo Grigolli, direttore della Trentino School of Management, Annalisa Cicerchia, della redazione di Economia della Cultura e direttrice di OIS - Osservatorio Internazionale della Salute, Luca Dal Pozzolo, responsabile scientifico dell’ Osservatorio culturale del Piemonte, Ola Sigurdson, professore di Filosofia e Teologia, direttore Centro per la Cultura e la Salute dell’Università di Göteborg, hanno confrontato esperienze, ricerche, prospettive di lavoro futuro in una sala gremita e attenta. Alcuni spunti su cui meditare.
Rubrica di ricerca in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo.
Ci stiamo accorgendo sempre più chiaramente che la delicata e complessa realtà del benessere e della malattia, nel nostro mondo e nel nostro tempo, richiede nuove capacità di visione, analisi, comprensione e trattamento e rende necessarie nuove competenze.
Nuove. O forse, ispirate da lezioni antiche, che poggiano sulla capacità, che un tempo era comune, di percepire l’unità di corpo e mente, di cultura e salute. Ola Sigurdson, professore di Filosofia e Teologia, direttore Centro per la Cultura e la Salute dell’Università di Göteborg intervenuto a Trento all’appuntamento confezionato da OCSE in tema nell’ambito del Festival dell’Economia, per esempio, ha citato il Breslauer Arzneibuch, un trattato di farmacologia del 13mo secolo, dove, oltre a numerosi rimedi per malattie e patologie dell’epoca, si parla del Mal d’Amore (Minne, in alto tedesco[1]) e come curarlo. ”C’è una malattica, chiamata amore, più grave di ogni altra, perché colpisce la mente.Chi ha questa malattia, i suoi occhi non vedranno più. Sono instabili, perché i pensiri sono instabili. Le loro palpebre sono pesanti. Il coloro della faccia è pallido. Spesso giacciono svegli. Se occupa i suoi pensieri, caccerà il dolore dal corpo come dall’anima. Perché il cuore segue l’anima nella sua azione e l’anima segue il corpo nella sua sofferenza.”
Secondo il Breslauer Arzneibuch, il mal d’amore ha quattro cure note:
- Una grande quantità di buon vino
- L’ascolto di musica di strumenti a corda
- Buona compagnia
- L’ascolto di buone storie.
Musicoterapia e biblioterapia, ricorda Sigurdson[2], sono trattamenti riconosciuti da moltissimo tempo, e non solo per il mal d’amore. La familiarità con le arti e le attività culturali, così come viene documentato ormai da almeno due decenni da studi internazionali, si associa regolarmente a valori positivi o molto positivi della salute percepita dalle persone[3], e, di converso, la mancanza di attività di tipo artistico o culturale aggrava, con ripercussioni misurate sulla salute percepita, l’esclusione sociale dei gruppi più svantaggiati[4].
Luca da Pozzolo, Direttore dell’Osservatorio Culturale del Piemonte, invita a considerare la natura culturale di alcune patologie, purtroppo diffuse e di norma trattate con il ricovero: presso categorie marginali e fragili, per esempio gli anziani soli, per i quali il malessere e il decadimento fisico è dovuto in grande misura alla rottura dei rapporti sociali, che degenera in abbandono, inattività, apatia, perdita di motivazioni, di abilità e di capacità. Le Istituzioni culturali possono fare molto, e attraverso le loro attività, gli stimoli e i significati condivisi possono contribuire in modo rilevante alla prevenzione dei fenomeni e al loro contrasto senza ospedalizzazione, dando così luogo a forme di assistenza più efficaci e meno costose per la collettività.
Cresce il numero di iniziative a favore del benessere e della salute da parte delle organizzazioni della cultura e dell’arte, non solamente all’estero, in paesi tradizionalmente all’avanguardia su questa linea di ricerca, come la Svezia, la Finlandia e il Regno Unito, ma anche in Italia: dal progetto Medicinema presso il Policlinico Gemelli di Roma agli ambienti di degenza decorati da artisti – ”Curiamo i luoghi della cultura” - al Sant’Anna di Torino o alle ”Vitamine musicali”, nello stesso ospedale, per contrastare il burnout degli operatori e contribuire all’umanizzazione dei luoghi di cura; dai laboratori di ceramica per i piccoli pazienti del Gaslini di Genova alle visite alla Cupola del Santuario di Vicoforte che abbattono i livelli di cortisolo di chi vi partecipa; dai percorsi ”La memoria del bello”, progettati dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna per i malati di Alzheimer e coloro che se ne prendono cura ai ”Parkinson Dancers”, che combattono la loro malattia attraverso la danza, e che sono diventati così bravi da esibirsi con il tutto esaurito nel corso di importanti festival di arti coreutiche.
Dal lato della medicina, sono ormai affermate, negli USA, nel Regno Unito, in Svezia, le Medical Humanities, che si occupano del significato delle arti per la salute e per la cura, del ruolo delle discipline umanistiche nella formazione dei medici e della riflessione critica su salute, medicina e i loro presupposti culturali di base [5]. In Italia, qualche esperimento c’è stato, qualche anno fa, per esempio con una iniziativa dei responsabili della formazione di medici di medicina generale della Provincia di Trento. Si tratta di eventi isolati e privi di continuità, ma la cui direzione è chiara e la cui importanza dimostrata.
Che fare, dunque? Concentrare gli sforzi, sostenere la ricerca, favorire i contatti e la collaborazione. Un lavoro certamente lungo, difficile e faticoso, ma necessario e possibile.
Annalisa Cicerchia, redazione di “Economia della cultura”, direttrice dell’Osservatorio Internazionale della Salute