La Napoli delle contraddizioni è eletta dal nostro network la città ad alto potenziale culturale
Abbiamo chiesto a una rete di opinion leader, al di là delle Capitali europea e italiana della Cultura, di identificare la città che più di ogni altra, nel 2017, ha manifestato un tasso di “risveglio”, di innovazione, partendo dalla Cultura, di mobilità dei privati in collaborazione con il pubblico, in grado di esprimere ulteriori potenzialità, stimolare altri contesti e auspichiamo le politiche. E’ Napoli la città più segnalata, seguita da Bologna. Una città nella quale i superdirettori della riforma Franceschini, seppur nelle complessità, hanno portato nuove energie; nella quale i privati stanno investendo, gallerie internazionali prendono casa
E’ la città laboratorio per l’apprendimento collettivo, con luci nelle ombre. La città che in questi giorni sta mettendo davanti agli occhi degli italiani il rischio sociale dell’abbandono scolastico- che a Napoli raggiunge il 18% per la cultura giovanile.
Commenta l’esito del confronto il prof. PierPaolo Forte, docente di diritto amministrativo a UniSannio e Presidente della Fondazione DonnaRegina, che guida il MADRE, il museo di arte contemporanea della città, un progetto sul quale le riserve erano molte, ma che è cresciuto facendo rete e oggi ha ottenuto riconoscimenti dal mondo della cultura internazionale. “Il movimento in corso a Napoli, a me sembra, ha ancora molto margine di spinta, e dunque, se non si commetteranno errori grossolani, si possono prospettare evoluzioni interessanti, tra le quali penso vadano annoverate le responsabilità che i players culturali devono assumere in confronto al tema dello sviluppo economico, aiutando cioè le nostre comunità ad evolvere ed innovarsi non in termini di mera crescita economica”.
E’ Napoli la città segnalata dal nostro network per le sue potenzialità. Una Napoli ferita che in questi giorni occupa le cronache per la violenza urbana, per le “barbarie, della cultura della sopraffazione”, termini usati da Roberto Saviano per definire “una realtà giovanile con tassi di abbandono scolastico al 18%, ragazzi fuori dagli spazi familiari e scolastici” e che pone davanti agli occhi degli italiani la responsabilità verso generazioni disorientate, private di futuro.
Una Napoli che si muove, si ripensa, alla ricerca di risposte. E’ proprio la rinascita della catacombe di S. Gennaro con l’omonima Fondazione di Comunità in testa alle segnalazioni dei nostri interlocutori con la trasformazione di un bene abbandonato in una risorsa identitaria, ma soprattutto in una impresa per giovani, “quelli senza futuro”, che se ne prendono cura. Una Fondazione presieduta da un artista, il grande Mimmo Jodice, che nel rione Sanità è nato, e quest’anno per dare energia al progetto ha varato 1000x1000, donando 1000 sue fotografie da cedere su donazione di 1000 euro. Un milione di euro per dare solidità a un progetto di ispirazione.
Un progetto che ha assonanze con Made in Cloister, voluto da imprenditori illuminati per il recupero del secentesco complesso della Chiesa di Santa Caterina a Formiello per il rilancio dei mestieri artigianali, anche grazie alla cooperativa sociale Dedalus, dei ragazzi del quartiere.
Progetti di rete, come ha saputo promuovere uno dei protagonisti culturali della città e della nazione, il Museo Madre costituito nel 2005, che fa capo alla Fondazione DonnaRegina. Il direttore Andrea Viliani in scadenza di mandato ha portato a compimento un rigoroso ed esemplare disegno di ricerca pluriennale culminato a fine 2017 nelle mostre in collaborazione con il Museo di Capodimonte - il progetto “Carta Bianca-il Sensibile guardare” con il direttore Sylvain Bellenger di rilettura inedita della collezione che parte dai fruitori, dieci personalità del mondo della Cultura molto diverse tra loro e dal coinvolgimento via social del pubblico per le proprie scelte curatoriali - e Pompei, coniugando reperti archeologici con l’arte contemporanea. Progetti condivisi ad ampio raggio, partiti con le maggiori autonomie della Riforma Franceschini. Il Madre, collocato nel cuore della città, sulla via dei musei nello storico quartiere di S. Lorenzo, a pochi passi dal Duomo e dal Tesoro di S. Gennaro, ha contribuito a ridisegnare la vocazione turistica di un’area ricca di valori sociali.
E’ prossimo al MANN, il Museo Archeologico di Napoli, risvegliato anche grazie a Paolo Giulierini, che nella propria strategia di engagement di pubblici apparentemente lontani come interessi e linguaggi, da un’ idea dell’economista della cultura Ludovico Solima, ha commissionato al game designer Fabio Viola - noto a queste colonne - il primo video gioco museale, facendo da apripista internazionale: una nuova espressione della valorizzazione delle collezioni museali attraverso “Father and Son”, per IOS e Android disponibile gratuitamente in 5 lingue, è stato scaricato da quasi 1,5 milioni di persone. Il nuovo episodio verrà lanciato il prossimo marzo e la gamification sarà contenuto aggiuntivo per ogni grande mostra del museo.
Si sta formando un vero eco-sistema di nuove energie che abbraccia la Reggia di Caserta, capitanata da Mauro Felicori e il sito archeologico di Paestum, con il giovane direttore tedesco Gabriel Zuchtriegel. Due dei super-direttori della riforma.
Numerosi soggetti privati sono in campo, tra iquali la Fondazione Morra Greco, voluta dall’omonimo collezionista di arte contemporanea: una nuova vita per il palazzo dimenticato che fu dimora dei Principi di Avellino, a due passi dal Duomo e da Spaccanapoli, recuperato per una pubblica destinazione, grazie al coinvolgimento degli enti pubblici. Perché a Napoli un centro di ricerca internazionale sulla giovane ricerca artistica? “Napoli come laboratorio di idee, città sperimentatrice e conservatrice, di pensiero e filosofia, città complessa e poietica, con un grande passato artistico che nei tempi più recenti l’ha vista toccare da grandi maestri come Joseph Kosuth, Andy Wharol, come Joseph Beuys. Napoli in grado di infondere energia”.
Il 2017 è stato segnato anche dall’acquisizione e la riapertura del settecentesco Palazzo Spinelli di Tarsia da parte del collezionista Giuseppe Morra, che, attraverso l’omonima Fondazione Morra diventerà la casa del Maestro del Gutai, Shozo Shimamoto, al quale nel 2006 aveva dedicato una associazione. Si tratta di un importante tassello che va a rafforzare il grande progetto del “Quartiere dell’Arte” con il quale Morra sta operando una riqualificazione di un’area degradata del centro storico. Dal 2008 è già attivo il Museo Herman Nitsch, Archivo Laboratorio per le Arti contemporanee e Casa Morra a Palazzo Ayerbo d’Aragona Cassano, sede della Fondazione.
Non dimentichiamo la Fondazione Banco di Napoli, con l’ente strumentale Cartastorie, il museo dell’archivio storico della banca e le memorie del banco dei pegni dal 1534. Unico nel suo genere, insignito di numerosi premi nel 2017, fa dialogare i testi antichi con installazioni multimediali, grazie all’associazione culturale Nartea, ha attivato con il curatore Gianluca Riccio un programma di residenze di artisti che si confrontano con il patrimonio e l’edificio storico.
Una Napoli colma di pulsioni, in cui è sbarcato con un nuovo spazio, “con una scelta romantica, in una città seducente come nessun’altra in Europa” il gallerista londinese Thomas Dane, che arricchirà l’offerta dei grandi mercanti Lia Rumma, Alfonso Artiaco, Studio Trisorio, Raucci-Santamaria, Tiziana Di Caro, Annarumma, Umberto Di Marino, solo per citarne alcuni. Un grande il fermento che riporta all’epoca d’oro di Lucio Amelio, uno degli indiscussi protagonisti della scena dell’arte, grazie all’inesauribile sperimentazione della sua “Modern Art Agency” partita nel 1965 che ha saputo rendere Napoli uno degli epicentri della produzione artistica e della riflessione critica.
Diamo la parola per un commento al prof PierPaolo Forte, docente di diritto amministrativo a UniSannio e Presidente della Fondazione DonnaRegina, che guida il MADRE.
Napoli è una città ultra millenaria, dalla storia lunga quanto poche altre grandi città possono vantare. Non è irrilevante, perché, a tacer d'altro, ormai sappiamo meglio che in passato quanto quel complesso di elementi che chiamiamo sinteticamente con il termine “storia” entrano a far parte delle menti e della biologia delle persone, e dunque anche inconsapevolmente si riversa nelle strutture della vita sociale, nel tessuto comunitario dei viventi.
A Napoli, che ha mantenuto il greco antico ufficialmente fino alla tarda età imperiale romana, usiamo ancora molto di quella lingua, e, per dire, il teatro e più in generale la rappresentazione, la musica, l'immaginifico sono endemici nella cultura della città, e non solo nella sua parte colta, e tantomeno solo nelle classi upside, ma soprattutto è interessante che lo siano nei ceti popolari, che non si fanno ridurre, perciò, a un comune pop.
E’ insomma un posto dove, a dispetto degli indici economici e delle tante contraddizioni, le energie culturali sono di storia lunga, e numerosissime, pluralissime, attivissime, interessantissime, e questo è un presupposto necessario da considerare per comprendere luoghi del genere, e sarebbe il caso di lavorarci, per esempio promuovendo una lega delle città mondiali bimillenarie, che potrebbero apportare valori e senso a un secolo che si prospetta denso di incognite e sfide gigantesche, persino antropologiche.
Ma questa complessa condizione non è recente, e dunque, da sola, non spiega la percezione corrente della città che anche i lettori di questo giornale hanno testimoniato. Tra molto altro, a me sembra sia accaduto che si siano insediati in alcuni luoghi chiave per la cultura del territorio persone portatrici di una nuova visione, e che perciò, in una sorta di avvicendamento generazionale, trovino più facile che in passato discutere, parlarsi, collaborare.
Vorrei usare, per spiegarmi, l'esempio che conosco meglio, la mostra Pompei@Madre. Materia archeologica, in corso al Museo di arte contemporanea partenopeo, dove reperti degli straordinari depositi archeologici dell’antica città vesuviana, per lo più mai esposti prima, sono allestiti in relazione con opere moderne e contemporanee, all’esito di un eccezionale confronto fra i direttori delle due strutture, Massimo Osanna ed Andrea Viliani, e dei rispettivi staff.
È stato un gran privilegio poter osservare la preparazione del progetto, le discussioni, anche accese, i dialoghi, le transazioni tra diverse abitudini disciplinari, tra approcci scientifici non necessariamente omogenei, e il risultato non è solo splendido, ma denso di significati, di stimoli, di elementi di riflessione, e induce effetti sorprendentemente attivi, maieutici, generando idee, discorsi, nuove domande, nei visitatori, come anche nei professionals coinvolti.
Bene, tutto ciò solo qualche anno fa sarebbe stato non solo irrealizzabile, ma persino impensabile, nel senso che – sostengo - non sarebbe nemmeno venuto in mente ad alcuno. Il fatto che sia successo, invece, è dovuto, in sintesi, alla nuova mentalità con cui, in alcuni casi, chi ne ha la responsabilità gestisce il patrimonio culturale, con un approccio finalmente desacralizzato, disponibile ad un uso non solamente specialistico, e per nulla sacerdotale, per metterlo, con rigore e serietà scientifica, a disposizione di un pubblico largo e, dunque, fisiologicamente eterogeneo, e di percezioni che non necessariamente sono manualistiche, ricorrenti, abitudinarie, ma plurali, sperimentali, innovative, le quali peraltro sono spesso attinte dal passato, e ri-editate.
Quando si accetta una disposizione del genere, ne può nascere un metodo di lavoro, e non sorprende che il Museo di Capodimonte, riattivando l’intuizione che già trent’anni fa gli aveva fatto accogliere il Grande Cretto Nero di Burri (e con esso un primo, grande nucleo di opere contemporanee), riprenda la linea, e, insieme al Madre, gli ponga in dialogo Split di John Armleder, o dia a dieci figure autorevoli in varie discipline Carta bianca per scegliere tra i 6000 oggetti del suo patrimonio e riallestire le proprie sale con nuovi, sorprendenti e densi significati. O che sette luoghi culturali concentrati in una mattonella urbana intorno a Via Duomo, a prima vista diversissimi tra loro (per funzione, tra pinacoteche, musei, biblioteche, archivi, e per natura delle collezioni), diano vita ad un unico soggetto decisionale, “La strada dei Musei”, che si profila come un nuovo attore collettivo di rigenerazione culturale ed urbanistica. O che si arrivi a produrre un videogioco di successo nato dalla fantastica collezione del MANN, un antichissimo museo (è nato nel 1777!) che si spinge, facendoci discuterne accanitamente, ad ospitare cimeli legati all’amatissima, e azzurrissima, squadra di calcio. E potrei continuare con i tanti meccanismi di relazione generatori di sistemi, che sostengono produzioni pubbliche e private numerosissime e di grande livello e prospettiva.
Le scelte di governo, ad ogni livello, non sono ovviamente estranee a tutto ciò; pur se non tutto è lineare, ed anzi tra tante debolezze e limiti, occorre dire che la riforma Franceschini ha avuto un enorme ruolo, che parte importante dei protagonisti di questa stagione è costituita da risorse pubbliche, e che gli effetti più interessanti, mi pare di poter dire, si sono avuti quando essi si sono comportati da soggetti della Repubblica, trovando cioè intese con risultati anche molto evidenti, come testimonia, quasi a sintesi, la nuova composizione del Comitato scientifico del Museo Madre.
Il messaggio che ne risulta, a mio avviso, è che in ambito culturale la politica dà il meglio di se’ quando, per usare le parole di Marco Cammelli, accetta di far fare anziché intervenire troppo direttamente.
Il movimento in corso a Napoli, a me sembra, ha ancora molto margine di spinta, e dunque, se non si commetteranno errori grossolani, si possono prospettare evoluzioni interessanti, tra le quali penso vadano annoverate le responsabilità che i players culturali devono assumere in confronto al tema dello sviluppo economico, aiutando cioè le nostre comunità ad evolvere ed innovarsi non in termini di mera crescita economica.
E’ un ambito complesso, come ben sanno i lettori di questo Giornale, ma ci sono condizioni, conoscenze e strumenti per provare ad occuparlo, e fare di Napoli uno dei laboratori di questa ricerca potrebbe essere la sfida affascinante dei prossimi anni.
© Riproduzione riservata
Articoli correlati:
C’È TANTO XXI SECOLO IN CAMPANIA. “NE VEDREMO DELLE BELLE”
MADE IN CLOISTER: SAPIENZA ARTIGIANALE, ARTE E DESIGN SI INCONTRANO A NAPOLI
FONDAZIONE SAN GENNARO E RIONE SANITÀ: QUANDO IL CAMBIAMENTO È REALTÀ
UN ARCHIVIO DI STORIE E MEMORIE NEL CUORE DI NAPOLI
DOVE LA PLASTICA È REGINA
CHE COS'È LA MEDITERRANEITÀ?