La geometria romantica di Chillida
Saint-Paul-de-Vence (Francia). Nel 1950 Eduardo Chillida era il più giovane della scuderia di Aimée Maeght, il gallerista che per primo sostenne l’artista basco (1924-2002) ai suoi esordi a Parigi: un «protegé» che, all’epoca, aveva alle spalle studi di architettura abbandonati e una promettente carriera calcistica come portiere della Real Sociedad di San Sebastián, prima che un infortunio la stroncasse, proprio nel momento in cui si concentravano su di lui le attenzioni del Real Madrid e del Barcellona. Da quel sodalizio di lunga data, rafforzato negli anni dall’intensa produzione di opere grafiche di Chillida per le edizioni Maeght, trae il suo fascino una mostra in corso sino al 13 novembre. Esposti 140 sculture, alcune delle quali monumentali, disegni, collages e incisioni, oltre a brani poetici di un artista che nelle sue appassionate letture spaziava da Teresa d’Avila a Octavio Paz, da Lao Tse a Baudelaire.
La rassegna è curata da Ignacio Chillida, figlio dell’artista, e si sviluppa, come di consueto per gli allestimenti alla Fondation Maeght, all’interno e nel giardino, collocazione, quest’ultima, che esalta la volontà dell’autore di far dialogare volumi, spazio e natura, una relazione entro la quale si sviluppa tutta la ricerca di Chillida, all’insegna del connubio tra razionalità modernista e retaggio romantico, misticismo e materismo: Hölderlin e Novalis, del resto, erano tra i suoi autori prediletti. Se le sculture rivelano l’estrema versatilità di Chillida, capace di spaziare dal metallo alla terracotta (tecnica da lui appresa e perfezionata proprio nei laboratori annessi alla Fondation Maeght), dall’alabastro al legno, il prezioso nucleo grafico conferma la stretta connessione tra incisione e tridimensionalità. Qui le forme astratte, sempre desunte da elementi biomorfici (è memorabile una serie dedicata alle metamorfosi e alla sintesi di una mano) emergono tra una materica adozione dell’acquatinta e i rilievi impressi alla pasta morbida delle carte utilizzate.
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