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La Fondazione CON IL SUD alla Piazza dei Mestieri di Torino

  • Pubblicato il: 28/09/2012 - 15:24
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
La Piazza dei Mestieri di Torino

Torino. Oggi 28 settembre e domani a Torino, al convegno promosso dalla Fondazione CON IL SUD, si confrontano sul disegno di nuovi modelli sociali e buone pratiche, i protagonisti del Terzo Settore. Ad ospitare la manifestazione «A Torino CON IL SUD» è la Piazza dei Mestieri, luogo simbolo dell'azione di inclusione sociale dei giovani  in difficoltà, attraverso l'educazione – nel suo più intimo significato di educere - e le professioni. La Piazza dei Mestieri accompagna i giovani durante la delicata fase che li porta dall’adolescenza alla vita adulta e professionale sviluppandone e valorizzandone il potenziale.
Dario Odifreddi, Presidente dell’omonima Fondazione, ci racconta storia, progetti e ambizioni del luogo che ogni anno accoglie – proprio come una piazza - centinaia di giovani.

Ci descrive la realtà di Piazza dei Mestieri, gli obiettivi che si pone e le strategie per raggiungere i traguardi?
Piazza dei Mestieri è nata nel 2004 con l’obiettivo di aiutare gli adolescenti, soprattutto quelli in difficoltà, a fare un percorso educativo, a trovare un lavoro e ad aprirsi alla dimensione completa della vita, quindi alla cosiddetta cittadinanza attiva. Ogni anno Piazza dei Mestieri viene frequentata da 550 ragazzi. Il punto di partenza alla base della nostra idea è che sussista in un giovane l’interesse e l’attrazione verso la nostra realtà e che sia disposto ad incontrare la bellezza. La Piazza dei Mestieri è stata pensata come uno spazio di ristrutturazione, un posto che non fosse grigio come le nostre scuole, ma a colori. Abbiamo agito dando importanza rilevante alla cultura – ogni anno viene calendarizzato un cartellone di attività culturali indirizzato alla città e ai ragazzi, che prevede attività teatrali, musicali, di cabaret, incontri. Il fattore caratteristico e motivante è la capacità di essere interessanti e attrattivi per i giovani, intercettare i problemi nella complessità delle loro esigenze umane e non solo dello studio.

E costruire una sensibilità di base sulla quale innestare la ricerca della loro sostenibilità?
Certo. La capacità di linguaggio dei giovani è performante e straordinaria. La maggior parte dei ragazzi non ha mai visto il teatro, viene da condizioni di partenza difficili, situazioni familiari complicate nelle quali non è semplice entusiasmarsi. Abbiamo il 70% dei ragazzi con un reddito ISEE sotto i 6000 euro. La componente è multiculturale, il 20% è straniero. Si costruiscono dei percorsi strettamente connessi al loro percorso didattico, ma che passano attraverso una manifestazione espressiva. Abbiamo puntato tanto sul recupero della dignità, del lavoro manuale e sul sapere legato ai mestieri del territorio piemontese. In alcuni casi, le attività sono legate anche alla cittadinanza.

In cosa si sostanziano i percorsi formativi della Fondazione Piazza dei Mestieri?
I nostri percorsi formativi si sostanziano nel raggiungimento di una qualifica professionale, che dura tre anni, o di un diploma professionale, che dura quattro anni. I settori di intervento sono mirati a formare figure professionali quali: cuochi, barman, pasticcieri, cioccolatieri, esperti in grafica multimediale, acconciatura, estetica. L’attività educativa entra nel nucleo della formazione professionale. Sono titoli riconosciuti, quindi i ragazzi rispondono all’obbligo di istruzione come se si iscrivessero a un Istituto Tecnico o Professionale di stato.

Una scelta del genere nasce per supplire a una carenza di attività non svolta dalle strutture pubbliche o una frammentarietà delle private o, ancora, per colmare un vuoto? Come avete scelto di dare un’area di priorità con un impegno così forte?
Esistono due motivi. Il primo è che abbiamo strutture pubbliche - in particolare gli istituti professionali di stato  - che negli ultimi decenni si sono spinti sulla licealizzazione diffusa, dove le le attività di natura puramente tecnica o professionale sono scemate e quelle di laboratorio sono state ridotte tantissimo. Nella Piazza dei mestieri, i ragazzi sono operativi già dal primo mese, a contatto con il professionista di turno. In Italia è avvenuto quello che possiamo definire un «tradimento» delle scuole professionali, centri che sono stati il fulcro del successo del Made in Italy. Da questo punto di vista è possibile affermare, quindi, che ci sia stato un venir meno della scuola pubblica. Una proposta attraente come la nostra è capace di far ripartire un giovane nello studio e nella vita, dare nuovo slancio.
Condividiamo perciò la scelta con la miglior formazione professionale presente sul territorio e nel Paese, con due differenze sostanziali: diamo vita ad una proposta che è più ampia del mero aspetto formativo, e si estende alla cultura e allo sport. La seconda questione è che, in Italia, non esiste un’esperienza strutturata equivalente alla Piazza dei Mestieri, che collega il lavoro e l’educazione. L’idea dominante nella nostra organizzazione è che i ragazzi imparino a misurarsi con il mondo del lavoro già dall’adolescenza.

Seguite i ragazzi anche fuori dalla struttura e monitorate il loro tasso d’inserimento?
Certo, la crisi colpisce tutti. Potevamo vantare inserimenti lavorativi coerenti sino all’ottantacinque per cento. Ultimamente siamo scesi al sessantacinque per cento proprio a causa della crisi. Per ovviare alle dinamiche abbiamo deciso di attivare un job center che segue i ragazzi, sia nell’inserimento lavorativo sia nei due anni successivi all’uscita dalla scuola.

Come si accede ai programmi? Dove attingere le candidature?
Abbiamo più di mille richieste ogni anno, massimo fisico della struttura e tetto previsto dalla programmazione regionale. Non facciamo una grande pubblicità, il meccanismo è il passaparola portato avanti dalla rete degli assistenti sociali, dalle scuole medie con le quali collaboriamo e da altri organismi. Purtroppo non riusciamo ancora a prendere tutti quelli che vorrebbero venirci.

Come si sostiene la vostra organizzazione?
Per i ragazzi la partecipazione è senza costi. L’attività formativa in senso stretto è sostenuta con fondi pubblici regionali. Abbiamo comunque un problema di sostenibilità causato dal fatto che un centro d’eccellenza come il nostro contempla alti costi di gestione. Non riusciamo a stare dentro i parametri regionali e, quindi, abbiamo attivato delle collaborazioni con una serie di stakeholders e di grandi imprese. Una parte di attività è sostenuta da erogazioni liberali, come L’Oreal, che dal 2004 ha un rapporto di collaborazione con la Piazza dei Mestieri e ha finanziato l’acquisizione dei laboratori. Inoltre, durante l’anno, finanzia le attività culturali e la mensa, il cui onere è sostenuto anche da altri sponsor privati.

Condivisione di percorso con privati, quindi. Gli elementi che vi hanno reso così attrattivi?
Nel caso specifico collegato al business di L’Oreal, l’attività formativa tradizionale sfornava ragazzi impreparati ad affrontare la realtà. Un problema non tecnico ma operativo. Una volta conosciuta la Piazza dei Mestieri, il loro ragionamento si sposava con gli intenti della fondazione. È piaciuto il progetto educativo, quindi il rapporto di partnership è forte perché non chiediamo solamente un sostegno economico, ma offriamo delle attività di sostegno all’impresa come gli incontri tra i dipendenti e i ragazzi che producono idee ed esperienza, stimolati dal confronto. Un discorso di corporate identity, insomma. Collaboriamo anche sulle docenze e sulla strutturazione dei programmi.
Altra impresa del territorio che collabora con noi è l’IREN, con cui abbiamo costruito e dato la luce a La Piazza Due, spazio nel quale è stato creato un istituto tecnico superiore - frequentato da 150 ragazzi - che si occupa di tecnologie multimediali, energie rinnovabili, pannelli solari e così via. Alla base deve esistere un legame, una connessione reale con il territorio e con il core business dell’impresa, partendo dal riconoscimento della valenza educativa . Altri due partners sono Compagnia di San Paolo e Intesa San Paolo, che hanno esigenze differenti: azione di welfare vero sul territorio e riqualificazione/rigenerazione territoriale profonda. Le due fondazioni di origine bancaria ci hanno sostenuto nell’operazione immobiliare alle seguenti condizioni: un business plan di tre anni e abbiamo garantito la copertura di eventuali di buchi di gestione, di cui ci assumevamo la massima responsabilità. Come fondazione abbiamo comprato per due milioni e mezzo una struttura in cattive condizioni, e abbiamo chiesto che la ristrutturazione fosse totalmente a carico degli stakeholder per un valore di 12 milioni di euro.

In termini di governance, qual è il veicolo giuridico della fondazione?Di diritto civile, partecipata pubblico privato o completamente privata?
Piazza dei Mestieri è una fondazione completamente privata, dall’anno scorso riconosciuta a livello territoriale e nazionale, stiamo aprendo anche a Catania. Agli stakeholders è stata garantita la massima trasparenza a patto che la forma di governance rimanesse la nostra, e fortunatamente hanno accettato. Il rischio era quello di entrare in una logica non adeguata per rispondere alle esigenze che si presentano quotidianamente.  È una necessità di rispondere e prendere decisioni tutti i giorni, anche perché accompagniamo i nostri ragazzi nella vita vissuta. Non si poteva fare un organo formale.

Chi sono i privati? E quanta gente ci lavora?
I famosi quattro amici al bar, persone fisiche legate da una forte personale e di amicizia familiare, con le quali sussistevano una serie di scommesse imprenditoriali in ambito educativo. La Piazza dei Mestieri impegna 65 persone e circa un centinaio di docenti che fanno parte di natura specialistica. I nostri docenti rispondono al criterio unico di professionalità sperimentato sul campo e non imparato solo sul libro, criterio che permette di tramutare il loro sapere in moduli esperienziali.

Progetti futuri?
Come dicevo, stiamo aprendo a Catania, abbiamo firmato la settimana scorsa il canone di locazione di un immobile. In realtà, abbiamo iniziato l’attività educativa da due anni, nonostante non sia stata pubblicizzata. La fondazione è frequentata da 150 ragazzi e  l’idea è di presentare il modello aggiungendo le attività caratteristiche e collaterali, che vanno da quelle culturali  alle produttive, ovviamente legate alle esigenze del territorio.

È un modello tutto italiano?
Esatto, è un modello tutto italiano. Siamo stati subissati di richieste di riproduzione del modello stesso. Abbiamo deciso di essere sensati e abbiamo preferito verificare l’efficienza di quanto proposto, constatare se quanto sosteniamo potesse esistere davvero. Abbiamo fatto ricerche, deciso questo passaggio a Catania e oggi si può provare a lanciare il modello. Non credo che la Pubblica Amministrazione sia in grado di sostenere selettivamente iniziative del genere, ma la sfida che mi porrei è la seguente: «vediamo se esiste una borghesia che ha a cuore il futuro dei suoi giovani e di questa nazione».
Una cosa che non ci aspettavamo all’inizio, e che poi ci ha meravigliato, è l’adesione di 35 persone - amici della Piazza dei Mestieri - che una volta al mese si incontra e discute di tutto con la massima trasparenza: da come vanno i percorsi educativi al budget, dalle iniziative da intraprendere alle risposte sulle contingenze. Condivisione e aiuto per non essere autoreferenziali.

È un valore per chi siede al tavolo, filtro per leggere la realtà. Tuttavia esistono delle belle spinte dal basso ma con uno scarso riconoscimento per il terzo settore.
Questo è vero, esiste questa cultura. Però il terzo settore dovrebbe aprirsi in maniera migliore alla realtà. Tante cose, anche bellissime, esistono ma non ci si mette in gioco e questo dipende anche da noi.

Una domanda sul significato della presenza del congresso della Fondazione CON IL SUD, forte riconoscimento in termini di progetto esemplare.
Siamo veramente onorati di ospitare un appuntamento simile, un aspetto progettuale che dimostra che anche al Sud si può costruire e che l’unica soluzione non è il lamento. Manifestazioni importanti come questa danno la possibilità agli operatori del terzo settore di conoscersi e farsi riconoscere. L’importanza delle stesse non è riconosciuta fino in fondo come valenza educativa, anche se è determinante per lo sviluppo del paese. Siamo molto contenti, molto onorati e ci adoperiamo per  essere buoni padroni di casa.

Le chiediamo un consiglio per una lettura: un pensatore di riferimento, un libro al quale è affezionato?
Tantissime cose, il punto più importante credo sia quello di imparare a leggere autori e articoli inerenti la realtà. La lucidità di analisi di Luca Ricolfi mi convince molto. Bisogna leggere testi che partono dall’esperienza e, da essa, sanno leggere la realtà.

Avete stabilito delle partnership per lo sviluppo dei vostri programmi culturali?
Non ci sono partnership stabili, ma vengono generate collaborazioni – vedi Hiroshima Mon Amour o il catering del Castello di Rivoli. La nostra cifra è l’apertura a tutto quello che si muove nel mondo.

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